Questione religiosa |
Il suicidio di massa degli Heavens’ Gate di San Diego in California è solo l’ultimo indizio di quanto il fenomeno delle sette religiose si sia radicato in profondità nel tessuto sociale statunitense, e di come la vita delle (masse di) persone che vi sono coinvolte ne sia condizionata fino alle più estreme conseguenze. Gli USA sono l’epicentro mondiale di questi movimenti. Ma l’Europa non scherza, coi suoi 1.300 "nuovi culti" in rapida espansione, ai quali aderisce il 4% della popolazione (in Italia pare sia, invece, il 2%, con una punta massima di diffusione nel "felice" Nord-Est (1)). Né è finita qui, perché di sette religiose di ogni sorta pullulano sia l’America centro-meridionale, sia il Sud-Est asiatico, sia, negli ultimi tempi, i paesi dell’Est-Europa e la Russia post-"sovietica". E si può dare per certo che l’avvicinarsi della fine-millennio fornirà nuovo propellente al loro sviluppo.
Data l’estensione del fenomeno a realtà tanto differenziate e il suo polimorfismo, queste note si limiteranno a essere un’introduzione riferita al solo contesto metropolitano ed alle sole tendenze che hanno maggiore presa sulle masse lavoratrici.
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Una società frantumata e disorientata
Forme e contenuti religiosi sono da sempre il prodotto storicamente determinato delle condizioni socio-economiche esistenti. Quel che vi si manifesta (e vi si cela) non è un dio immutabile e eterno, bensì l’evoluzione dei mutevoli rapporti degli esseri umani tra loro e con la natura. Ciò vale anche per l’attuale efflorescenza delle sette, che ha una comune radice sociale nel presente stato di malattia della società. Esse sono il riflesso dell’esasperata atomizzazione dei rapporti sociali e della incertezza sempre più acuta che grava sul futuro di questa putrescente società tardo-borghese e, allo stesso tempo, una confusa reazione a tutto ciò.
Dei membri della Heaven’s Gate si è osservato -e non si trattava certo di figli degli strati sociali più emarginati!- che avevano alle loro spalle storie personali con "solitudini grandi come gli spazi siderali", famiglie spezzate (negli USA più di un matrimonio su due finisce in divorzio), violenze, discriminazioni, stati di abbandono. Uno dei pochi sopravvissuti del gruppo ha raffigurato in questi termini la propria condizione di assoluta "indigenza" nel momento in cui chiese l’affiliazione: "Nel vero senso della parola, io non avevo nulla" (Newsweek, 14.4.’97). Come a dire: non avevo nulla -né persone, né scopi- di cui e per cui vivere.
E’ questa un’esperienza che in tutto l’Occidente, in forme più o meno acute, milioni di individui sono costretti a fare. Milioni di essere umani che, proprio nel mentre sono impegnati in una battaglia per la sussistenza sempre più pesante e densa di incognite, vedono ogni giorno violato e calpestato, in quanto "più deboli", -e quale condizione è strutturalmente più svantaggiata, nel capitalismo, di quella dei proletari?-, il proprio bisogno di socialità, di fiducia, di stima, di affetto. Ed è una esperienza che in molti casi li sospinge fuori dall’ambito di una "normalità" nevroticamente competitiva ed asociale entro la quale davvero è homo homini lupus (questa, non altra, è la "morale", cioè la pratica dei rapporti sociali borghesi), verso i "protettivi" circuiti, a loro modo "solidali", delle sette.
Oltre che da un inappagato bisogno di vera socializzazione, le sette sono alimentate da un altrettanto inappagato (e generale) bisogno di certezze. Infatti dall’alto in basso la società capitalistica tutta, come ogni società prossima al suo capolinea storico, è attraversata da un forte disorientamento, che sta iniziando a tramutarsi finanche nei giovani, in una gioventù che pure è la più amorfa e conformista, la più precocemente invecchiata da mezzo secolo in qua, in una sorta di (ancora malcelata) inquietudine. Incerte sono le prospettive materiali, sempre più all’insegna della precarietà. Non meno incerta è la linea di marcia generale della società. E, paradossalmente, il dimissionamento del movimento operaio ufficiale da ogni vera lotta anche solo agli effetti più gravi del capitalismo, il suo giurare e spergiurare che questa formazione sociale è la migliore possibile e che è degna di durare in eterno (parola di ex-avversari di essa), invece di alleviare il disagio sociale, lo sta inasprendo. Poiché, checché vadano raccontando in giro con ben impostata voce i D’Alema o i Cofferati, un numero crescente di persone, proletari anzitutto, avverte di vivere sempre peggio e, sopratutto, teme che la tendenza al peggio sia destinata a durare. E così, dalla caotica oggettività di una crisi la cui portata epocale si impone per primo all’evidenza di quanti direttamente la subiscono, erompe di continuo -più o meno consapevole- la domanda cruciale: dove siamo, e dove stiamo andando?
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Un surrogato della solidarietà e della prospettiva di classe
Dalle sette avventiste, pentecostali, messianiche -ci limitiamo ad esse, per il momento (2)- viene la seguente risposta: siamo in una società a tal punto "corrotta" e decadente da non poter essere più riformabile (affermazione, questa, corredata da concrete denunzie che potrebbero essere pure da noi sottoscritte). Se non si vuole restar travolti dal suo crollo, bisogna proiettarsi, in modo collettivo, verso un "altro mondo", si tratti di un "regno di Dio" da venire (presto) sulla terra, ovvero di una "terra" completamente nuova da raggiungere, alternativo (idealmente) al presente ordine borghese.
A queste correnti "fondamentaliste", per lo più a matrice cristiana, affluiscono in larga maggioranza membri delle classi subalterne; del proletariato per primo, ed in modo speciale dei suoi comparti più disgregati. Esse si caratterizzano spesso per una religiosità "intensiva, carismatica, egualitaria", non priva di autenticità, che fa gustare agli individui che aderiscono a queste sette i piaceri della "vera" vita comunitaria. Entrando in esse, si ha l’impressione di non essere più soli, sballottati e calpestati, come lo sono i salariati nella quotidiana lotta per l’esistenza che si combatte nella giungla del mercato, ma di trovarsi finalmente in una calda casa comune che non può venir meno da un momento all’altro (in quanto l’ha voluta "Dio", e non un qualche volubile ed "egoista" padrone che oggi ti assume e domani ti licenzia), ed in cui non solo si riceve un aiuto materiale, ma si è accettati e ascoltati come dei veri esseri umani. Una casa le cui semplici gioie anticipano, per questi credenti, quelle degli attesi paradisi ultramondani.
E’ ovvio, per noi marxisti, che queste risposte che hanno la pretesa di essere risolutive, sono invece fasulle e impotenti, sia sul piano teorico che su quello pratico, in quanto non vanno ad aggredire, con la sola forza che può reciderla, quella dell’organizzazione di classe del proletariato, la causa ultima dei disagi e delle angosce sociali che si diffondono nel mondo di oggi: il sistema sociale del capitale, che ha dato da tempo tutto quel che poteva dare in termini di liberazione dell’uomo (dalle catene pre-borghesi). Ma domandiamo: ci vuole tanto a capire che affiliarsi alle sette costituisce per molti sfruttati un mero surrogato (non diciamo un equivalente) dell’associazionismo proletario e "popolare" sul tipo delle Case del popolo? che il presidio che essi cercano nell’organismo religioso è quello che dovrebbe essere assicurato dal sindacato e dal partito di classe? che nel loro "ingenuo" (?) desiderio di un mondo interamente nuovo si esprime come può il sano bisogno istintivo di un generale rivoluzionamento dei rapporti sociali capitalistici? e che a sospingere verso questi (provvisori) approdi religiosi masse di oppressi è stata solo la sistematica distruzione, ad opera dello stalinismo e del riformismo, di tutto ciò che ha rappresentato la grande tradizione di classe comunista, tanto in termini di organizzazione materiale quanto di "idealità"?
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Nessun settarismo verso i proletari attratti dalle sette
Ecco perché la natura mistificante del "messaggio salvifico" delle sette religiose, e lo spirito spesso "fanciullesco" dei loro adepti non ci inducono affatto a fare nostro l’atteggiamento di sufficienza di talune "menti illuminate" nei confronti di quanti, specie se proletari, ne sono attratti. Nella adesione di costoro alle sette leggiamo infatti, con Marx, una forma di protesta (pur se deviata e deviante) "contro la miseria reale", materiale e psichica, della loro vita e, almeno nei movimenti "apocalittici", il giustissimo presentimento dell’avvicinarsi di autentici cataclismi sociali e la percezione di un’assoluta necessità di condizioni sociali totalmente trasformate (un’"altra terra"). Tutte cose che le "menti illuminate" pronte a deridere i settari creduloni non sono in grado nemmeno di intuire, ottenebrate da una adesione fanatica alla iper-reazionaria dogmatica di quel Dio-Mercato che, con il pluslavoro degli ingenui credenti, li tiene a stipendio.
Ed è ancora una volta alla presente "nullità politica" della classe operaia internazionale, a quel "progressismo" totalmente infeudato alle esigenze di conservazione del capitalismo che oggi la guida (al baratro), che va addebitato il rischio che l’azione delle sette religiose (3) vada a connettersi con e a subordinarsi agli interessi del potere politico borghese. Ma nessuna connessione del genere, e ve ne sono, può spiegare da sola il crescente seguito che i movimenti neo-religiosi incontrano nella società, o può essere una scusante per scansare i problemi che il loro sviluppo ci pone.
Rifiutiamo, perciò, ogni spiegazione semplicistica del fenomeno, da mera ignoranza (di base) o da mero complotto (di vertice). Le sette sono -lo ripetiamo- il segnalatore d’un crescente star male sociale, e dell’incapacità delle istituzioni borghesi (stato, chiese, partiti parlamentari) di dare risposte tranquillizzanti sulle prospettive a venire, di dissolvere il crescente, e giustificatissimo, timore del futuro. Ed esprimono al contempo la tensione (benché inconcludente o peggio) ad uscire da questa condizione di disagio e d’incertezza.
(Non è per caso se il movimento delle sette, che ha avuto la sua incubazione alla fine dell’800 -lo stesso periodo di incubazione dell’imperialismo-, e un primo slancio universale intorno alla prima guerra mondiale, conosca un rigonfiamento incessante proprio dagli anni in cui si è inceppato il ciclo dello sviluppo post-bellico. Né è un caso che la maggior parte di questi movimenti agisca in un’ottica "internazionalistica", riflettendo, in modo fin che si vuole deformato, la natura mondiale dei mali che patiscono le classi sfruttate e delle soluzioni ad essi.)
L’organizzazione comunista si trova, al momento, in uno stato troppo embrionale del proprio sviluppo quantitativo e qualitativo per poter svolgere un intervento davvero onnilaterale e completo da partito. Ma, una volta chiarita l’origine e la valenza, anti-rivoluzionaria -è chiaro, e però particolare- dei movimenti neo-religiosi, può e deve, con maggior forza e convinzione di quanto non accada già:
(1) Se il Veneto sembra conquistare la palma dell’area di massima diffusione delle sette, spetta alla "capitale morale" della Padania il titolo di "nuova capitale dell’occultismo" (cfr. La Padania, 6-7 aprile), un fenomeno per molti versi interrelato con perlomeno una sezione dei gruppi "neo-religiosi", alla cui base ci sono la stessa atomizzazione, gli stessi disagi materiali ed esistenziali che spiegano la crescita delle sette. Il giornale della Lega appare preoccupato da entrambi questi processi, consapevole che essi, e quel che ne sta alla base, possono indebolire e minare quella "sana e robusta" costituzione che Bossi&C. vagheggiano per la nazione padana. Ma quali sono, poi, i rimedi leghisti? "Un serio albo professionale" per i maghi, una "più seria" legislazione per le sette... Rimedi impotenti, come in generale non possono non essere quelli del sotto-nazionalismo borghese, che non sa fare altro se non riprodurre, su scala minore, i malanni e le false soluzioni della presente società.
(2) Ci riferiamo, per fare qualche nome, ai Testimoni di Geova, agli Avventisti del Settimo Giorno, ai Bambini di Dio, a tutto il filone primivista-pentecostalista (Assemblee di Dio etc.). Sono queste, per noi, le più interessanti perché coinvolgono un "materiale umano" in larga misura proletario e perché, -e tra le due cose c’è un preciso nesso-, sono portatrici di una critica in un certo senso radicale, seppure espressa in linguaggio religioso, all’attuale società.
Il secondo grande filone del movimento settario è quello socialmente e ideologicamente assai differente del "Potenziale umano", della "New Age", del sincretismo, delle sette di ascendenza buddista o orientale, etc. Queste formazioni, che aggregano in massima parte elementi delle classi medio (o piccolo) borghesi, non hanno -e pour cause!- alcuna autentica vis oppositoria all’ordine borghese, di cui biasimano soprattutto l’eccesso di "materialismo", di massificazione, di meccanicità. L’esperienza che vi si fa, più che comunitaria-religiosa, è una esperienza psico-terapeutica, fortemente segnata, nonostante avvenga in "collettivo", da una filosofia individualistica. Anche la loro crescita è un segno -evidentemente- del disorientamento e della decomposizione della società; bisogna aggiungere, però, che il "materiale umano" che vi è coinvolto (pensate ad una "processione" degli Hare Krisna) è esso stesso già abbondantemente... decomposto.
(3) Anche sotto questo aspetto è il caso di distinguere. Il filone che ha i rapporti più organici con l’establishment imperialista, specie negli Usa e in Giappone, è decisamente il secondo: Scientology, il lamaismo tanto caro alla sinistra, l’Aum Shinrikyo di Asahara ne sono gli esempi più palesi. Tra le tendenze a sfondo "profetico-messianico" il caso più famigerato di compromissione col potere è quello della Chiesa dell’unificazione del sud-coreano Moon, unanimemente indicato per agente della CIA.