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LA LOTTA OPERAIA IN DIFESA DELLA SALUTE

Una volta, non molto tempo fa, si chiamava "diritto alla salute", e non se ne discuteva nelle aule di tribunale, ma era materia di scontro quotidiano, faceva parte di un pacchetto complessivo di rivendicazioni da opporre allo sfruttamento dei padroni. Quand’anche si arrivava nei tribunali, ci si arrivava in forze, fisiche, che, spesso, presidiavano le aule, e quelle non fisicamente, ma politicamente, presenti, frutto di una mobilitazione costante di massa.

Quella del ‘68 non fu l’epoca delle rivoluzioni -né lo poteva per condizioni oggettive e forze soggettivema, pure, rappresentò un momento alto di difesa di classe contro il consumo capitalista della forza-lavoro proletaria. E, in questa difesa, c’era la lotta per il salario accanto a quella per il controllo sui ritmi e sugli orari, c’era la lotta politica (riformista, certo, per conquistare "spazi" di potere e non tutto il potere, come pure si diceva nelle piazze) accanto alla lotta per il "diritto alla salute". Dopo di allora tutto il fronte è arretrato, le esigenze operaie son finite in seconda, terza fila, fino a scomparire, mentre quelle delle aziende, dei profitti, dell’economia nazionale occupavano tutta la scena. E il diritto alla salute ha finito anch’esso col cedere il passo ai superiori "interessi generali". Con le lotte di quegli anni non si risolse il problema, ma si delineò un percorso realistico per impostare, almeno, un difesa della salute operaia finchè si è sotto il dominio capitalista: quello della lotta collettiva su tutti i terreni dello scontro.

Non si risolse il problema perchè nessuna lotta parziale può mai veramente risolverlo. Infatti la salute operaia non è attaccata solo da sostanze particolarmente pericolose, da singoli procedimenti di lavoro particolarmente usuranti o rischiosi, ma subisce un attacco complessivo da una combinazione di fattori d’usura che attentano persistentemente alle strutture vitali della persona umana. A produrli è il capitalismo, la ricerca del profitto al di là e al di sopra della persona. E l’intensificazione dello sfruttamento capitalistico aumenta in modo parossistico il loro potenziale assassino.

Negli ultimi anni, infatti, non solo abbiamo assistito alla (quasi) scomparsa della lotta per la salute, ma anche all’aggravamento di tutte le condizioni che minano alla salute degli operai: allungamento degli orari di lavoro, intensificazione dei ritmi, estensione dei turni, in particolare di quelli notturni e festivi. A questo si aggiunge la disoccupazione e la precarizzazione del lavoro, che rende i lavoratori ancora più ricattabili, e li costringe a cedere sulla salute pur di conservare il lavoro e il salario.

E, di conseguenza, la lista nera degli incidenti, dei morti, cresce senza sosta insieme con quel consumo non rilevato dai necrologi, della vita operaia: qualunque statistica riconosce che la durata media della vita di un operaio è inferiore a quella di qualunque altro lavoratore, per non parlare della vita di quelli che come attività organizzano, disciplinano e "fanno rendere" il lavoro altrui.

La stessa estensione dell’impiego di macchine sempre più sofisticate, che il padronato invoca come uno dei mezzi che lo "sviluppo" mette al servizio anche della salute operaia, non ha migliorato affatto le condizioni di salute. Queste macchine hanno avuto una diffusione molto limitata, e solo nei paesi capitalisticamente più potenti. In secondo luogo la loro introduzione, proprio perchè diretta ad aumentare la produttività del lavoro, ha incrementato al massimo grado il vero fattore patogeno.

Quella del "lavoro pulito" è una favola che i borghesi raccontano per convincere gli operai ad accettare l’introduzione di sistemi che ne sfruttano di più il lavoro. Sia allorquando si tratta di introdurre macchinari più produttivi, sia quando si tratta, come a Portomarghera di recente, di convincerli a far smantellare apparati produttivi giganteschi (con una forza operaia concentrata e organizzata) per sostituirli con insediamenti più piccoli (con una forza operaia disgregata e disorganizzata). Le favole non possono oscurare la realtà, che mostra un peggioramento continuo delle condizioni di salute sul lavoro e per causa del lavoro.

La classe operaia non ha completamente abbandonato questo terreno di lotta. Nessuno dei casi clamorosi (Ravenna, gli incidenti del ‘96 a Genova, su una nave e a Cornigliano, l’esplosione della fabbrica di armi a Ghedi, Brescia, ecc.) è passato sotto silenzio, ogni volta sono seguiti scioperi e manifestazioni. Ogni volta il sindacato ha annunciato impegni solenni. Ogni volta è finita... con l’attendere la prossima volta.

Se questo accade, se il livello di attenzione sul tema-salute è debole, non è perché gli operai sono insufficientemente informati su questo o quel rischio. Il motivo è un altro: è che non c’è, in questo momento, una risposta generale, di classe, a tutto l’insieme dell’attacco capitalistico, e, quindi, i lavoratori stessi sentono di essere completamente dipendenti dalle aziende, sentono di non avere la forza per opporre una resistenza reale alle pretese di quelle.

Gli sforzi generosi fatti da militanti operai, da lavoratori che hanno subìto colpi alla propria salute, o dai loro familiari, di tener vivo il tema-salute e di chiamare alla lotta gli altri lavoratori, sembrano cadere nel vuoto assoluto, e, nell’isolamento, finiscono col dirigere le proprie speranze nella "giustizia" borghese, confidando che la magistratura sanzioni adeguatamente il padrone colpevole o vigili attentamente sull’applicazione delle leggi esistenti. Ma la magistratura è disposta sempre meno a sanzionare i padroni, e ancor meno è disposta a creare difficoltà al normale andamento produttivo delle aziende nazionali, impegnate in uno scontro sui mercati da cui dipende il benessere di tutta la classe borghese (magistrati compresi).

Che fare, allora? Attendere che la classe operaia riprenda la sua lotta generale contro il capitalismo, per finalmente riproporre la questione salute? No. La lotta della massa operaia non deve essere sospesa su nessuno dei problemi che la toccano, ma nello stesso tempo non si deve dimenticare che tutti questi problemi traggono origine da una stessa radice e debbono essere affrontati unitariamente. Perciò, è necessario promuovere una lotta di resistenza su tutti i piani, puntando ad un cambiamento dei rapporti di forza di carattere generale.

L’utile contributo che le avanguardie possono portare a questo fine, deve essere rivolto a favorire una presa di coscienza politica dell’attuale situazione del proletariato. Deve, cioè, puntare al centro della questione: il suo accettare passivamente il peggioramento delle condizioni di salario, di vita e di salute, è legato dialetticamente con la sua sottomissione al capitalismo, alla sua convinzione che nulla possa chiedere per sé se l’insieme del sistema, dell’economia nazionale e dell’azienda non girano come devono. E’ questa accettazione delle regole e delle compatibilità del capitalismo che l’avanguardia deve contribuire a mettere in discussione in modo da potere fornire ad una ripresa della conflittualità il quadro di riferimento ad essa indispensabile di una vera politica di classe.

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