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Situazione politica italiana

IL MITICO NORD-EST:TERRA PROMESSA PER I LAVORATORI...

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Tra i tanti medici che s’affollano al capezzale dell’agonizzante Italia, ci si azzuffa per scovare le cure più efficaci e i migliori modelli da imitare. I più li mutuerebbero dall’estero, ma molti sono convinti di possedere già, in patria, un esempio importante per uscire dalle secche della crisi, almeno sul piano economico: il mitico nord-est. Per estendere questo modello economico all’insieme del paese, e per rafforzare lo stesso nord-est, sarebbe sufficiente, si dice, creare un sistema istituzionale e politico in grado di dare slancio allo spirito di iniziativa delle specificità locali e dell’imprenditoria diffusa: un vero federalismo. Il "benessere" che sgorgherebbe da questo amalgama, finirebbe anche a vantaggio dei lavoratori. E’ vero?

L’attuale "fenomeno nord-est" è già il prodotto delle tendenze al federalismo che si sono sviluppate in ogni classe, in ogni istituzione, in ogni partito, in ogni sindacato. Uno sguardo alla situazione attuale dei lavoratori, frutto di questo federalismo già realizzato, consente di comprendere, al meglio, quale destino prepara loro un federalismo ancora maggiore, più codificato, più "vero".

L’accordo per Melfi ha costituito un passaggio determinante per intaccare l’omogeneità delle condizioni operaie, e per indebolire quei legami materiali che favoriscono l’unità della classe operaia. La spinta padronale in tale senso non è nata con Melfi, ma da questa vicenda ha tratto un impulso vitale: per la prima volta i sindacati confederali, rappresentanti riconosciuti dell’insieme della classe operaia, davano legittimità al binomio occupazione-flessibilità. Dopo di allora il "modello Melfi" ha risalito lo stivale e, in contemporanea con il fatto che tutte le forze politiche e sindacali si aprivano al federalismo fino a farsene dominare, si è esteso ad aree che si credevano al riparo. Fincantieri, De’ Longhi, G&B (v. scheda) non sono più sparuti esempi, ma, ormai, pane quotidiano per i lavoratori del nord-est, e non solo.

Più si accentua il distacco, materiale e psicologico, tra nord e sud, più il virus del federalismo corrode, indisturbato, il tessuto unitario della classe operaia. Anche una maggiore autonomia fiscale e amministrativa del nord avanzato dal sud "parassita", non può che marciare di pari passo con lo sfilacciamento generale di tutti i precedenti vincoli contrattuali e normativi, conquistati dal proletariato a prezzo di dure lotte. Il Veneto ne fornisce l’esempio vivente. Vediamo, brevemente, perchè.

Per numero di lavoratori questa regione si colloca al secondo posto (dopo la Lombardia), e produce un saldo commerciale pari al 27% di quello italiano. Ma si colloca ai primi posti anche in altre classifiche: nel ’95 è al terzo posto per infortuni mortali sul lavoro, con l’artigianato che sembra una variabile impazzita.

Secondo l’Inail, nel ’95 gli infortuni sul lavoro sono stati, nel Veneto, 110.000, in tutta Italia 1.000.000. Quanto a sicurezza sul lavoro, il nord-est è, secondo le stime, al di sotto della soglia nazionale. Schizofrenia dei dati, o "normali" contraddizioni di un’area che ha fatto della flessibilità e del liberismo il binomio vincente? L’intensificarsi dei ritmi, il prolungamento degli orari, il diffondersi dei contratti "atipici" confermano la seconda ipotesi.

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Piccolo è bello. Per il profitto.

Un supporto strutturale, di grande importanza, al determinarsi di simili condizioni, è stato offerto dalla riduzione delle dimensioni medie delle imprese. Infatti, più è piccola la dimensione della fabbrica, minore è la forza operaia concentrata, tanto più facile per il padrone imporre ritmi, regimi e orari estremi. Piccolo è bello? Sì, per i padroni e per i loro mentori alla Bossi o alla Berlusconi, alla Prodi e (perchè no, ormai?) alla D’Alema. Nel ’51 il 28% della manodopera manifatturiera era concentrato nella piccola-media dimensione (6-99 addetti), nel ’91 era il 57%.

L’organizzazione della produzione, nell’ultimo decennio, principalmente nel tessile e abbigliamento, si è andata modificando anche grazie alla diffusione del sistema "a rete". Con tale sistema una impresa-guida affida a terzi segmenti sempre più consistenti di produzione. Due esempi: Stefanel aveva nei primi anni ’90 circa 200 laboratori terzisti e 1.110 negozi; Benetton poteva contare su 600 laboratori e circa 7.000 negozi. Il 90% dei terzisti delle due imprese era nel Veneto.

Con vari meccanismi di controllo, le imprese-guida si garantiscono la massima produttività e qualità delle merci e il minor costo possibile. I lavoratori delle imprese terziste si trovano letteralmente tra l’incudine e il martello: da una parte i sub-fornitori, per aumentare i profitti propri, cercano di limare i tempi di produzione d’ogni singola operazione; dall’altra i controllori inviati dalle imprese madri ricalcolano i tempi così da consentire all’azienda-guida di diminuire i compensi.

Pressati dalla grande impresa, che impone ritmi e prezzi al limite della sopportazione, i contoterzisti si fanno una concorrenza sfrenata, col conseguente peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti.

Un’ulteriore complicazione è rappresentata, poi, dalle diffusissime imprese a conduzione familiare, che hanno dato un contributo straordinario al generale abbassamento del costo del lavoro. Spesso il dipendente si trova a competere gomito a gomito col titolare, che lavora quanto e più di lui. Non è difficile immaginare il livello di ricattabilità dei lavoratori.

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Flessibilità e precarietà

La flessibilità e la precarietà (sempre più giustificate e assunte da sinistra e sindacati), fanno carta straccia della tutela dei più elementari bisogni dei lavoratori, quelli fisiologici compresi (v. De’ Longhi). I contratti "atipici" sono sempre più numerosi e si estendono velocemente dalla piccola alla grande impresa. Tra il ’91 e il ’93 le assunzioni a tempo indeterminato sono calate, in Veneto, di 40.000 unità, mentre i contratti a termine sono esplosi dai 95.000 del ’93 ai 160.000 del ’95. Notevolmente cresciuti sono i contratti di durata inferiore ai 4 mesi, mentre i contratti di formazione-lavoro sono stati, nel ’95, 30.000.

Alto è stato il ricorso anche agli extra-comunitari: nel ’95 circa 20.000.

L’impiego di manodopera giovanile, al di sotto di 18 anni fino a 15/16, ha avuto negli ultimi anni un balzo notevole. Proporzionalmente si è registrato un calo della frequenza scolastica alle scuole superiori.

Da un indagine svolta tra le giovani lavoratrici tessili emergono due aspetti fondamentali: 1. sfiducia nel futuro: si ha come la sensazione che la società sia posta su un piano inclinato, condannata inesorabilmente a scendere. 2. scetticismo verso le istituzioni e la Chiesa. Il 51% ritiene che la criminalità aumenterà e con essa la paura e la violenza. Occupazione, sanità e pensione sono i tre problemi ritenuti più pressanti. La percezione è che proprio nel Nord-est, colmo di tutte le sfortune!, si rischia di restare poveri anche lavorando.

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Il federalismo non è a vantaggio dei lavoratori.

Intanto la sinistra e il sindacato seguono a ruota il federalismo. Il trasversale partito del nord-est stenta a decollare, ma la convinzione che la prospettiva federalista sia di sinistra, e quindi vantaggiosa per i lavoratori, viaggia a vele spiegate. Contro il centralismo padano di Bossi, si eleva il regionalismo del Prc, il comunalismo di Cacciari, i 10-100-1000 Carc. In tutto questo non ci si accorge neanche di come l’applicazione del federalismo alla stessa vita di partito stia sfibrando il tessuto connettivo che unisce le forze proletarie. Impantana le energie di classe in una rincorsa inutile, e, peggio!, dannosa verso un fantomatico federalismo "serio", "solidale". In pratica, verso una prassi politica e sindacale di "liberismo di sinistra".

In campo sindacale non si intonano note diverse. Dopo aver sfiorato per un pelo la firma di un contratto "regionale" per i metelmeccanici del Veneto, la Cisl continua sulla strada di un marcato federalismo. Nel mentre lavora per affermare "nuovi modelli di contrattazione aziendale" per la piccola e media impresa, la sua attenzione principale è rivolta a sciogliere gli ultimi legami che "imbrigliano" l’autonomia previdenziale. E così il sindacato col maggior numero di iscritti in Veneto ha dato il via ai fondi pensioni regionali: il Fondo Solidarietà Veneto. E la proposta non cade nel vuoto. Tra i lavoratori del nord-est, nonostante il dinamismo economico, sociale e politico dell’area, è diffusa una sorte di frustrazione e di inferiorità rispetto alle altre categorie dell’area. Eppure quando si pone loro un confronto col sud scatta un senso di superiortà: esso è percepito come una palla al piede per lo sviluppo del paese. Che i lavoratori del nord, allontanandosi da quelli del sud, possano ricavarne dei vantaggi, è non solo illusorio, ma suicida per la classe operaia, perchè consente a tutto il padronato di sfruttare al massimo il differenziale di sviluppo tra le due aree, per imporre ai proletari del sud prima, e a quelli del nord di seguito, un bestiale peggioramento della condizioni di vita e di lavoro.

Il nord-est dimostra come questo processo sia già in stadio avanzato. La deriva federalista della "sinistra" e del sindacato sta disorganizzando e disgregando le forze proletarie. Per arrestare il processo di strisciante balcanizzazione, il proletariato deve opporre la propria unità programmatica e organizzativa. Non lasciarsi incantare dal federalismo, che gli prepara il peggio, ma rafforzare la sua unità, e riprendere il suo programma e l’organizzazione di classe.

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