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"FALCE E MARTELLO" SUI FATTI ALBANESI (E NOSTRANI)

Falce e Martello è tra i pochi gruppi (ed anche i singoli non sono più troppi) che si stanno dando da fare contro l’intervento italiano in Albania chiamandolo col proprio nome: un’intromissione economica, politica e militare di puro stampo imperialista in combutta (e in concorrenza) con le altre buone lane occidentali. Di conseguenza, nessun ridicolo balletto su un "altro tipo" d’intervento "veramente umanitario" sotto le insegne ONU o perlomeno europee etc. etc. Il nemico principale sta qui in casa nostra e l’unico intervento cui guardare è quello internazionalista, proletariato italiano a fianco di quello albanese.

Una confortante premessa. L’importante, allora, è far sì che essa non resti soltanto tale, ma si traduca in una reale comprensione marxista delle questioni e in atti conseguenti ad essa, oltre la soglia di quattro slogan stereotipi "giusti".

Avendo tra le mani un opuscoletto di FM sulla questione albanese ci permettiamo, molto cameratescamente, di segnalare a questi compagni dove e qualmente la loro analisi zoppica su tutta la linea, tirandosi dietro un programma d’intervento del pari claudicante. Crediamo che anch’essi convengano che meriterà discuterne.

Primo rilievo. Le cause del dissesto albanese attuale sono fatte ricadere sulle povere spalle di E. Hoxha in quanto questi "portò agli estremi la pazzia dell’autarchia del ‘socialismo in un paese solo’, cioè il tentativo di costruire in un piccolo paese arretrato un’economia socialista avanzata" e se ne ricava che "l’attuale arretratezza economica ha le sue radici in quel periodo". Questo è un doppio falso, storico e teorico: col regime di Hoxha l’Albania ha potuto conoscere il massimo di sviluppo capitalistico (nomi di battesimo "marxista" a parte) compatibile col quadro internazionale. Necessariamente chiudendosi a riccio rispetto al mercato capitalistico occidentale, com’era necessario, ma aprendosi economicamente a quello dell’Est (Jugoslavia, URSS, Cina nell’ordine...) con le logiche ricadute su tutti i piani.

Quale sarebbe stata l’alternativa antiautarchica che FM avrebbe suggerito? Su questo punto c’è un’arrampicata alquanto scivolosa sugli specchi. Si dice che "il problema del vecchio regime non stava nella nazionalizzazione dei mezzi di produzione" (che non solo va benissimo, ma, per i nostri, è, al solito, un sinonimo di semisocialismo, visto che per l’Albania del dopofetenteHoxha si parla di "passaggio al capitalismo" -dal pre o dal post?-), "bensì nel controllo di questi nelle mani di una cricca di burocrati privilegiati" in luogo di comitati di gestione "eletti democraticamente dai lavoratori" nelle singole aziende. Quest’idea demoaziendale del socialismo, metà gramsciana metà anarchica, sta per noi, in tutti i sensi, al di sotto del "folle" Hoxha. Costui fu non diciamo folle, ma dall’altra parte delle nostra barricata per aver chiuso le frontiere albanesi alla "merce" dell’internazionalismo proletario e, dentro le frontiere nazionali, per aver vincolato il "proprio" proletariato ad un nazional-industrialismo del tutto interno alle leggi del capitale con il sovrappiù della demagogia iper-marxista. Ma su questo terreno (l’unico compatibile con gli orizzonti del Komintern stalinizzato) fece borghesemente del suo meglio (il che, indirettamente, va bene anche per noi) concentrando dittatorialmente e dall’alto tutte le energie disponibili del paese per sottrarlo agli orrori del sottosviluppo precedente passato in eredità. L’orizzonte aziendalista, con in più la ciliegina appestata della democrazia, avrebbe condannato l’Albania all’immobilità. E’ un orizzonte incompatibile con le reali leggi dello sviluppo borghese, massimamente nell’epoca imperialista attuale (vedi Marx, dalla a alla zeta). Lo è, più ancora, con la prospettiva del socialismo (vedi Lenin sul piano centrale versus autonomia aziendale; vedi Bordiga).

In definitiva: il sistema Hoxha, colpevole di non aver passato i poteri delle aziende che non c’erano ai proletari che non esistevano allora (poche migliaia di salariati in tutto all’atto della presa del potere!), ci ha perlomeno passato in consegna dei proletari in carne ed ossa cui rivolgerci e con cui lavorare in comune sulle nostre barricate. Il che è meglio della modellistica "gestionaria" che, se e quando funziona, vale solo e comunque per legare il proletario (peggio se con verniciatura "comunista") alla realtà "di mercato" aziendale in totale sottomissione alle leggi "invisibili" del mercato globale.

Ancora un’idea "praticissima" di FM. "L’unica via di uscita (dalla situazione attuale in Albania, n.) passa per la nazionalizzazione di quelle poche industrie che restano e nella riapertura delle vecchie industrie. Ciò però non basterebbe: ci vogliono anche degli investimenti per modernizzare queste industrie, altrimenti si tornerebbe alla situazione di prima. Dunque i lavoratori albanesi hanno bisogno dell’aiuto dei lavoratori di paesi come l’Italia, la Grecia, di tutta l’Europa". Questo pezzo vale un perù. Al blocco ed alla reinversione dello sviluppo industriale precedente causato dall’inevitabile -da un punto di vista strutturale- rottura della semiautarchia hoxhiana e dal suo impatto con le leggi stritolatrici del processo capitalistico mondiale si potrebbe, dunque, porre rimedio ritornando allo status quo ante, ma con... investimenti sostitutivi sicuri. Una rimessa in piedi dell’economia "pazzamente autarchica" precedente, ma garantita dagli investimenti proletari. Non si dice e non si capisce bene se poi diventeremmo tutti azionisti di una sana economia borghese non dipendente in Albania (che è già una bella trovata!) o di un socialismo albanese in un paese solo, ma a cedole d’investimento internazionali.

Sono queste questioni d’ordine teorico, quindi pratico, su cui dobbiamo qui per forza andar via di corsa. Ci basta, per ora, aver suonato un campanello d’allarme.

Ma veniamo al "concreto", all’attualità. FM titola ed argomenta che in Albania siamo in presenza di una Rivoluzione. Bene che si smentiscano le chiacchiere antialbanesi e controrivoluzionarie circolanti sul tema. Ma, Lenin e il buon senso insegnano, la parola rivoluzione è troppo seria per usarla a sproposito o con leggerezza. Il fucile in mano alle masse non è, per un marxista, l’equivalente di una rivoluzione, meno ancora di una rivoluzione comunista. Non crediamo ci si possa sospettare di "sputtanare" gli eventi albanesi se diciamo che quest’esperienza è solo un primo anello a scala locale della catena che, a quella internazionale, rimette in causa l’ordine imperialista mondiale attuale. Esagerare la portata immediata e locale degli avvenimenti albanesi significa truccare le carte, ignorare le condizioni reali (quelle sì concrete!) del terreno di scontro, mistificare la questione del rapporto partito-classe in senso spontaneista (e... autoillusionista). Non si corregge il tiro, poi, spiegando che questa "rivolta" (così intanto si declassa la Rivoluzione precedente!) è "oggettivamente" "contro il capitalismo", per confessare che il soggetto comunista manca platealmente a tutt’oggi. "Oggettivamente contro il capitalismo", nel senso attutito di FM (cioè contro determinati fenomeni, determinate conseguenze del capitalismo), potrebbe ben essere persino un movimento borghese secessionista, Italia compresa, con tanto di operai col fucile in spalla. Quando vi è la "mancanza di un’alternativa rivoluzionaria" e "la classe operaia non ha una propria voce indipendente" si possono avere sì spiacevoli conseguenze del sistema capitalista mondiale, si possono avere sì salutari reazioni di massa ad esse (persino con connotati interclassisti, da "tutto il popolo"); si può e si deve partire da qui per attivare il famoso "soggetto" (la dottrina, l’organizzazione marxista, anche embrionale), ma non truccando i dati sino a definire sulla carta le regole addirittura del funzionamento dell’economia albanese "in mano ai rivoluzionari"... e agli investitori proletari esteri.

Infine. S’era detto che FM giustamente riconosce che il nemico principale è in casa nostra. Su questo terreno non ci si esime dal dire che "in Italia i dirigenti del PDS sono al governo con veri e propri borghesi come Dini e Prodi" e che, in Italia come in Albania, sostengono indefettibilmente politiche borghesi. Ma su Rifondazione ci si arresta subito: "Dai dirigenti di RC ci si aspetterebbe qualcosa di diverso. Purtoppo sentiamo Bertinotti dire" cose in senso contrario alle aspettative ed anche i rifondatori, come i pidiessini, "si limitano (!) a chiedere "aiuti"... ignorando (!) chi manderebbe questi "aiuti"". Siamo alla "commedia degli inganni" o alla farsaccia: i dirigenti "operai"-borghesi che fanno coerentemente il loro mestiere, ubbidendo alle regole dell’economia borghese nazionale cui vanno subordinati gli interessi operai, quando ancora se ne tenga conto, vengono gentilmente richiamati all’ordine perché dicono cose che "non ci si aspetterebbe" da loro, perché "si limitano" anziché... espandersi (e per fortuna!), perché "ignorano" (poverini!, a cominciare da Fassino, dato il suo posto d’osservazione non proprio trascurabile). Questa, forse, dovrebbe essere l’applicazione della tattica "trotzkista" (povero Leone!) di "smascheramento" dei "riformisti" come via per conquistare le masse. In realtà, si tratta di un mascheramento, di una doratura della pillola del tutto estranea alle indicazioni dello stesso Trotzkij. Il terreno di scontro su cui soltanto può poggiare una politica di reale fronte unico è bellamente eluso. Il bello è che per l’Albania non si ha paura di sconfessare i dirigenti "al vertice del movimento" che "rischiano di deragliare la rivoluzione" e si dice giustamente che "il regime di Tirana non ha le forze per disarmare i lavoratori" e che "la sua arma risiede ora nella "politica"", col tranello delle direzioni democratiche legali, delle elezioni, del conseguente disarmo del movimento. Tutto inappuntabile. Ma come mai quando si torna qui in Italia tanta indignazione si volatilizza nel momento in cui si tratta di fare i conti con le direzioni di qui? Quelle, per intenderci, non contrarie in linea di principio ad un intervento occidentale per rimettere ordine in Albania e contrarie all’intervento italiano per puri motivi di opportunità, ma mai comunque al punto da minacciare crisi di governo per simili inezie... imperialiste. O forse che qui Bertinotti prepara i binari giusti per la rivoluzione... di FM? Un tantino di serietà e coerenza, anche a scapito di un pizzico di strasuccessi tattici, non guasterebbe. Ed anche papà Trotzkij ne sarebbe, immaginiamo, contento...

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