Sul Petrolchimico di Portomarghera si stanno addensando nubi minacciose. Si prospetta una sua totale chiusura e destrutturazione. Il più esplicito è stato, finora, il ministro dellAmbiente, Ronchi (ex-sinistro, con trascorsi in Avanguardia Operaia) che ha proposto per Marghera il "modello Bagnoli" (a proposito del quale cè una scheda nella pagina). Altri utilizzano un linguaggio più criptico, che, se decrittato, rileva, al fondo, identico obiettivo. Per esempio il sindaco Cacciari assicura (La nuova Venezia, 21.11) "Nessuno si sogni di salvare Marghera chiudendo le fabbriche", ma poi aggiunge: "Lobiettivo è quello di riqualificare lintera area... per renderla un luogo appetibile, dove si possano impiantare nuove attività in vista del Duemila". Mutatis mutandis, la conclusione è la stessa. La differenza è nel tono con il quale ci si rivolge agli operai. Ronchi, forsanche per dimostrare daver definitivamente chiuso col passato pro-operaio, attacca duro, Cacciari, eletto anche con i voti degli operai di Marghera, e istruito alla scuola della borghesia italica sulluso del linguaggio mistificante nei confronti della classe operaia, va giù più "morbidamente".
Lattacco al polo industriale di Portomarghera (40.000 occupati negli anni 60, 14.000 oggi, di cui 5.000 al Petrolchimico) è condotto, al momento, dagli ambientalisti, che lo presentano come il principale, se non lunico, responsabile dellinquinamento della laguna. Ma accanto a loro si è collocata in prima fila anche la magistratura, che ha aperto inchieste su inchieste sulle morti e gli infortuni agli operai, rivelando uno zelo assolutamente inusitato in un paese che ha avuto negli ultimi 50 anni oltre 100.000 morti sul lavoro e qualcosa come 70 milioni di infortuni sul lavoro. Un vero massacro di vite proletarie, compiuto dalle imprese e non certo dal caso, quasi completamente "sfuggito" alla magistratura. Nello stesso Veneto, nel solo 95, nella piccola e media impresa ("fiore allocchiello" del miracolistico Nord-Est) ci sono stati 20 morti sul lavoro e 110.000 infortuni, tutti regolarmente ignorati da questa magistratura tanto filo-operaia da voler salvare la salute degli operai chiudendo le fabbriche e mandandoli per strada.
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La fabbrica è un'argine alla melma sociale.
A perseguire questo tipo di "salvezza" cè anche buona parte del Pds e del Prc. Il primo ha preso ufficialmente una posizione di difesa del Petrolchimico e di richiesta di finanziamenti per risanarlo, ma molti suoi esponenti locali (abbagliati dalla prospettiva di trasformare Venezia in sito esclusivamente turistico) ne perorano lo smantellamento. Il Prc è addirittura più compatto del Pds a voler smantellare, sia a livello locale (con poche eccezioni) che a livello nazionale, con titoli e articoli su Liberazione (per es. il 19 e 24.10) che non lasciano dubbi (daltra parte non ha detto Ripa di Meana che Bertinotti è un ambientalista più coerente di tanti Verdi?).
Dietro le posizioni di questa sinistra cè lidea di poter eliminare i lavori inquinanti sostituendoli con "lavori puliti". Come se potesse, capitalismo imperante, esistere un qualche "lavoro pulito"! A questa stregua bisognerebbe chiedere la chiusura di migliaia di fabbriche e di interi settori (basti pensare alledilizia, in cui si muore più che in ogni altro settore industriale!). Ma lo stesso non si otterrebbe leliminazione dei "lavori sporchi", tuttalpiù, si otterrebbe di trasferirli altrove, in paesi più poveri e ricattabili. Inoltre smantellare lindustria provoca, ovunque, un aumento della disoccupazione, della precarietà, del lavoro nero, disgrega completamente i vecchi assetti sociali favorendo la diffusione della prostituzione, della droga, etc. e consegnando intere aree alla criminalità organizzata (che si è già appropriata, a Marghera, di unintero quartiere, la Cita). Insomma, unidea di industria pulita portatrice di molta più sporcizia sociale e ambientale di quella attuale.
Oggi, si sa, si ragiona sempre più in termini localistici, di conseguenza i "sinistri" di cui sopra se ne fanno un baffo dei "grandi problemi" e si preoccupano unicamente del micro-territorio in cui vivono, e amerebbero vederlo pulito e disinquinato: "che vadano altrove i mostri industriali, a Venezia li sostituiremo con altre attività, centrate sul turismo". Come se il turismo non fosse inquinante, come se i turisti non abbandonassero in laguna migliaia di tonnellate di rifiuti organici e inorganici, come se le strutture turistiche fossero dotate di depuratori, come se il traffico dei natanti turistici fosse innocuo. Come se il turismo non avesse un potere inquinante della stessa stuttura sociale, trasformando intere sezioni di proletariato da comunità organizzate che difendono i loro diritti in maree di lavoratori precari, frantumati, senza diritti, servitori del turista-consumatore. Come se la sindrome da disoccupato, fino al suicidio, non colpisca quasi unicamente i proletari (in 5 anni -81/86- sono morti a Portomarghera 50 cassintegrati per suicidio). La verità è che la melma non è la fabbrica, anzi essa è un argine alla melma sociale.
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La "sinistra" fa "pulizia" a pro del capitale.
A voler smantellare il Petrolchimico, gli ambientalisti e i "sinistri" localisti non sono, naturalmente, soli. Essi godono, innanzitutto, della buona, e discreta, compagnia degli "interessi forti" della speculazione edilizia e commerciale. Ma godono anche della compagnia del governo. Prodi andò, in campagna elettorale, a promettere ai lavoratori di Portomaghera il suo impegno a difenderne le industrie. Ma, Ronchi, ministro del suo governo, ha già calpestato la promessa. Divisioni nel governo? Affatto. Lo stesso Prodi nel nominare il nuovo ministro dei Lavori Pubblici (in sostituzione Di Pietro) ha attinto, nominando Costa, alla folta schiera degli anti-Petrolchimico veneziani. E, per completare, ha escluso Marghera (che, pure, era inizialmente, nella lista) dai primi finanziamenti per le "aree di crisi", quelli che dovrebbero servire a re-industrializzarle. Insomma lo schieramento si delinea meglio: ambientalisti, "sinistri localisti", speculazione, governo. Ma non è ancora completo. Cè un ulteriore convitato, ed è il più importante e potente: il sistema capitalistico e lintero padronato.
Smantellare lindustria di Portomarghera vuol dire, infatti, trasformare una sezione di proletariato, unita e organizzata, in una forza-lavoro divisa e ricattabile che consentirebbe agli appetiti capitalistici di consumarla in modo indiscriminato, sottoponendola a quelle condizioni di massima flessibilità divenute -nellavanzare della crisi capitalistica- lossessione dei padroni italiani e internazionali. La scelta che si vuole imporre ai lavoratori di Marghera non è tra posto di lavoro e difesa della salute e dellambiente, ma tra lavoro stabile (con il corollario dellorganizzazione unitaria) e precarietà generalizzata per loro e per i loro figli. Ecco l"agente inquinante" da cui ripulire lambiente: la classe operaia organizzata! Lattacco è, quindi, parte dellattacco più generale che il sistema capitalista conduce contro lintero proletariato italiano e mondiale. Nel condurlo si ritrova al fianco alleati scontati (governo, speculatori, magistrati) e alleati meno "scontati" (ambientalisti, sinistri), i quali ultimi, poco importa se consapevoli o no, svolgono il lavoro "più sporco" (e inquinante in sommo grado delle coscienze, e non solo): quello di presentare la realizzazione di questa istanza capitalistica fortemente anti-operaia come se fosse un interesse operaio!
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Difesa congiunta dei posti di lavoro e della salute
Se le cose stanno così, ci ha chiesto qualcuno, credete voi che gli operai debbano subordinare la loro salute alla conservazione della loro unità organizzata? No, non crediamo questo. Crediamo lesatto contrario, e cioè: che per difendere la loro salute, e per difendere lo stesso ambiente che li circonda, gli operai hanno bisogno di conservare la loro forza organizzata. La stessa esperienza di Portomarghera dimostra come questa non sia solo una nostra convinzione, ma una realtà.
Per anni i lavoratori e gli organismi sindacali di Marghera hanno denunciato e si sono mobilitati contro le morti sul lavoro e per il miglioramento delle condizioni di salute in fabbrica nel più completo silenzio di magistratura e ambientalisti (ai quali sta a cuore la salute di tutte le specie, viventi e non, esistenti sulla faccia della terra, tranne quella dei lavoratori), imponendo alle aziende di migliorare le condizioni di lavoro e dellambiente circostante. Hanno offerto per tutti gli anni 70 un grande esempio a tutto il proletariato, dimostrando che la sola forza capace di risanare, sempre in senso relativo, ambienti di lavoro e ambiente esterno alla fabbrica è quella della classe operaia. Quando la classe operaia è forte, ben organizzata e sicura delle sue sacrosante ragioni, è in grado di difendere sia il posto di lavoro che la salute. E in grado di difendere il salario e di imporre alle imprese anche misure di tutela dellambiente esterno. Viceversa, quando la classe operaia allenta la sua mobilitazione e inizia a credere di poter scambiare il salario con loccupazione, la salute con il posto di lavoro, ecc., allora perde su tutti i piani.
Sotto la dittatura del capitale, del mercato e del profitto, ogni lavoro è nocivo. Per il corpo e per la mente. E due volte nociva è quella condizione di disoccupazione e precarietà che questi teorici del "lavoro pulito" vorrebbero far provare ai lavoratori del Petrolchimico. Nella stalla del capitalismo i lavoratori hanno un solo modo per conquistarsi un lavoro meno sporco: riprendere la battaglia per ridurre e abbattere la nocività in fabbrica. Non è battaglia che possono dare da soli i lavoratori del Petrolchimico, che pure hanno iniziato a darla con uno sciopero il 19 novembre, indirizzato, naturalmente, dal sindacato solo contro la "speculazione", senza vedere linsieme dello schieramento che vi sta intorno, meno che mai il ruolo di primo piano del governo. Anchessi per darla con successo abbisognano che linsieme del proletariato si sollevi dalla situazione di prostrazione al mercato e al profitto in cui il riformismo lha condotto.
La battaglia dei lavoratori di Marghera non può e non deve restare una lotta locale, e neppure regionale o di categoria. Lattacco ai lavoratori del Petrolchimico è un attacco a tutto il proletariato industriale. La risposta contro di esso deve coinvolgerlo tutto. Può farlo a condizione che si attesti sui propri autonomi interessi di classe e sulla propria tenuta organizzata per opporsi alle sirene dei mercati (anche quelle "suadenti" che fingono di parlare la sua lingua) che ne vogliono la de-strutturazione per meglio sottometterlo e sfruttarlo.
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Il "modello Bagnoli"La vicenda dellItalsider di Bagnoli, nonostante la lotta profusa e la radicalità con cui si è espressa, può essere ascritta come unaltra pagina delle lotte operaie di questa fase politica (come lEnichem di Crotone, lAlenia di Casoria/Pomigliano.....), in cui nel campo dei lavoratori si alimentano illusioni micidiali su una probabile e possibile conciliabilità tra gli interessi operai e quelli padronali. E poi si paga duro per esse. Per anni i lavoratori di Bagnoli hanno sostenuto, e non solo la ristretta cricca dei
servi sciocchi dei bonzi sindacali, anche con forme di lotta durissime, obiettivi come
l"uso alternativo e/o sociale dellacciaio" o "la fruizione
democratica dei suoli di Bagnoli". Una svendita costante che ha accompagnato tutto lo snodarsi degli avvenimenti di questi
anni: dalle iniziali ristrutturazioni operate sotto lincalzare delle guerre
commerciali tra i padroni multinazionali della siderurgia, ai vari accordi, sempre "a
perdere", che puntualmente venivano messi in discussione da padroni e governo fino
allaffondo finale rappresentato dal progetto attuale: lo smantellamento fisico della
fabbrica a opera di una piccola minoranza di lavoratori e la loro più totale
incertezza occupazionale per il futuro (dopo il danno, la beffa). |