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Donna

DONNA E ISLAM

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Per la liberazione delle donne del mondo islamico, da sempre

Vivendo nell’era della più sistematica delle disinformazioni, è nostra buona abitudine dubitare sempre della veridicità delle "notizie" somministrate dai mass media tramite le due-tre agenzie e le due-tre tv mondialiste che ne curano lo spaccio a scala internazionale, essendone le proprietarie monopoliste. Tanto più ne dubitiamo quando le suddette "notizie" riguardano paesi con cui "noi"-Occidente- siamo in conflitto perché -"incredibilmente"- osano riluttare ai "nostri" ordini. Ciò vale in modo speciale per il mondo islamico, col quale l’imperialismo occidentale si considera ed è in guerra permanente su tutti i piani, quello della (dis)informazione tra i primi.

Sicché quando le cronache (per qualche dì) hanno narrato con raccapriccio euro-comandato delle "barbare usanze islamiche" dei Taleban andati al potere a Kabul, ci siamo sforzati di verificarne la veridicità per esser certi che sotto la notizia ci fosse davvero qualcosa, e non -come mostra un utile libretto di Fracassi per episodi di risonanza mondiale quali l’"orrendo massacro" di migliaia di persone a Timisoara, mai avvenuto- il nulla. Risultato dell’accertamento: sì, nelle zone dell’Afghanistan già da un paio d’anni sotto il controllo dei Taleban, le scuole femminili sono state chiuse, le impiegate statali rimandate a casa (talvolta, continuando a percepire lo stipendio), è stato affermato il principio della esclusione delle donne dal lavoro extra-domestico (con l’eccezione di infermiere e donne-medico ad Herat e Kandahar, quelle addestrate modernamente dall’"imperialismo russo"), e infine sancito l’obbligo del velo in pubblico. (Meno scandalo, "curiosamente", ha suscitato la loro abitudine -in comune con l’intoccabile regime saudita- di punire con pene corporali, incluso il taglio della mano, e con condanne capitali, i reati contro la proprietà e contro il patrimonio... Quel che è sacro, è sacro, e nessuna punizione è troppo estrema per riconfermarlo tale!).

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Da cosa nasce l’oppressione delle donne islamiche.

Si tratta di odiose misure reazionarie contro le donne che ne rendono le condizioni di esistenza ancora più pesanti di quelle legittimate dal precedente regime "islamico". Misure che noi comunisti, a modo nostro e restando ben distinti dall’ipocrita coro borghese, denunziamo e lottiamo, come si vede dal documento nel riquadro, fin dal primo momento in cui il comunismo marxista prese ad attecchire in quelle terre. E che torniamo a denunziare e a lottare oggi davanti a sviluppi regressivi come quelli afghani, possibili soltanto perché il nostro primo assalto al cielo, in cui era ben dentro il bisogno e l’attesa di emancipazione e di liberazione delle donne del mondo islamico, è andato sconfitto dalla controrivoluzione borghese.

Si tranquillizzi, dunque, chi teme di vederci indifferenti davanti alle vessazioni subite dalle donne dell’Islam (o resti pure deluso chi spera di coglierci in fallo su questo) per il nostro schieramento incondizionato dalla parte delle masse islamiche. Non lo fummo nel caso dell’Iran, quando il movimento islamico in questione era comunque portatore di un’istanza anti-imperialista seppur deviata; tanto meno possiamo esserlo ora, davanti a un movimento-"partito" (peraltro più marcato in senso etnico-tribale che, come si dice di solito, fondamentalista-religioso) il cui aggiogamento al carro dell’imperialismo USA è palese.

Soltanto che ogni cosa deve andare al suo posto. E perciò è bene dire subito che le Emma Bonino, gli Adriano Sofri e gli altri mascalzoni della loro risma che prendono cinicamente a pretesto i "diritti violati" delle donne afghane per glorificare proprio il primo violatore delle donne e delle masse islamiche, l’imperialismo occidentale, vanno considerati alla stregua di prezzolati agenti della guerra dell’imperialismo al mondo islamico. Tali furono nella guerra del Golfo, quando "dimenticarono" i diritti violati (più violati di così!) delle donne saudite e kuwaitiane, tali sono ora quando a comando latrano "per" le donne afghane.

Ciò premesso, vediamo in breve la questione, rinviando ad altra volta e altra sede la trattazione per esteso di un problema che semplice non è.

Primo: è mistificante chiamare in causa prioritariamente la religione islamica o il Corano come responsabili di queste misure reazionarie. La storia e l’influsso della religione vanno spiegati partendo dalla storia e dalle vicende della società, e non viceversa. Si tratti di una società "cristiana", o di una società "islamica". Tanto per stare al tema: avrebbe senso dire che lo jus primae noctis è stato una barbara usanza dettata dalla religione cristiana? o che tale è stata la tratta degli schiavi? o le guerre coloniali? No, evidentemente. Si tratta di civili costumanze del feudalesimo, del capitalismo nascente, del capitalismo imperialista, ammesse, legittimate, benedette dalla Chiesa feudale, dalla Chiesa borghese, dalla Chiesa al servizio dell'imperialismo, non però generate dal cristianesimo, né dagli evangeli. Lo stesso si può dire per la condizione delle donne afghane (o, mutatis mutandis, di altri paesi islamici altrettanto arretrati). Essa dipende prioritariamente -ed in ordine di importanza crescente- dal permanere del patriarcalismo tribale, dal capitalismo "nazionale" (dalla sua incapacità di aggredire fino in fondo i rapporti sociali pre-borghesi), dall’imperialismo (che mantiene questi paesi nell’arretratezza), e potrà esser superata e sradicata solo sradicando dal suolo afghano, islamico e mondiale queste malepiante sociali.

All'Islam, ad un certo Islam patriarcale e semi-feudale, va imputato di difenderla e legittimarla in modo militante. E perciò esso entra di forza nel novero dei nemici delle donne, e dei nostri nemici di classe, come un lacché dei reali padroni del paese, che stanno a New York (è la stessa stampa a scriverlo), non a Kabul o nei villaggi pashtun. E suggono avidamente le tavole della loro legge, la legge del non-clemente e non-misericordioso Dio Profitto, dai notiziari di Borsa e dai bilanci delle spa, non certo dalle sure coraniche o dagli hadit del Profeta.

Come e qualmente il colonialismo occidentale abbia stroncato sul nascere entrambi i tentativi di modernizzazione borghese del tessuto sociale globale -e quindi anche della condizione della donna- verificatisi in questo secolo in Afghanistan, lo vediamo in altra parte del giornale. Qui fissiamo la tesi: il passo indietro delle donne afghane verso una ancor più buia segregazione dalla vita sociale, si deve innanzitutto alle società petrolifere yankee ed al Pentagono (via Pakistan e governo della "femminista" Buttho). Sono loro che hanno addestrato ed organizzato a suon di bigliettoni verdi -altro che scuole coraniche!- l’"orda dei Taleban". Ed è nei fatti a loro vantaggio che, volontariamente o meno, oggi abbaiano i cagnolini-mullah (magari poi domani potranno morderli una mano, non è escluso), e chi lo nasconde artatamente, o non lo vede affatto per propria insipienza, non aiuta la causa delle donne islamiche, si mette di traverso ad essa.

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Ci sono diversi Islam. I più cari all’Occidente sono i più repressivi verso le donne.

Secondo: è mistificante identificare l’Islam talebanico con l’Islam come tale. Lo è per riguardo al passato perché, non diversamente da quel che accadde con il primitivo moto di rivolta cristiano, il primitivo Islam rivoluzionario di Maometto elevò in certa misura la condizione materiale e spirituale della donna, che nella società pre-islamica era davvero miserevole.

Ma lo è anche per il presente. Ci sono, infatti, diversi Islam, che presentano connotati differenti, anche per quel che riguarda "i diritti (borghesi) della donna". Che sono a zero là dove impera una versione dell’Islam che corrisponde alle necessità di classe del patriarcalismo tribale o "semi-feudale" (Arabia Saudita, Kuwait, Afghanistan). Che sono in parte riconosciuti limitatamente alle classi alte là dove ha esercitato una qualche influenza l’Islam riformatore della Nahda (in Egitto, in Siria, in Libano, ad es.). Che sono parzialmente, con molte contraddizioni e limiti, ammessi su scala sociale più larga -più larga in rapporto a quel che avviene nel resto del mondo islamico- solo là dove s’è affermato un Islam "rivoluzionario" (il Sudan e, in parte, l’Iran) o in presenza di un Islam fortemente nazionalista integrato nel moto nazionale indipendentista (come quello dei Ben Badis in Algeria).

Distinguiamo questi differenti Islam, sussunti a differenti sistemi di rapporti sociali, a differenti classi sociali, non certo per preferirne qualcuno come "compagno di strada" o suggerirlo alle donne islamiche, tutti meritandosi l’appellativo marxista di oppio delle masse (maschili e femminili), e nessuno di essi, neppure il più plebeo e "anti-imperialista" potendo, e volendo, rivendicare a sé la funzione di emancipatore e liberatore della donna. Sappiamo bene d’essere schierati, rispetto ai capi, alle istituzioni ed all’ideologia di ognuno di essi, sul fronte di classe opposto. Distinguiamo per un'esigenza generale di aderenza all’oggettività (fondamentale per l’azione dei comunisti), per allinearli secondo il giusto ordine di battaglia, per trovare il modo specifico per ciascuno di essi atto a "svuotarli" dal seguito delle masse oppresse islamiche, infine per mettere in luce come l’imperialismo euro-americano abbia una sistematica propensione a stringer patti d’interesse con i più oscurantisti tra gli Islam su piazza ed a tenere invece metodicamente nel mirino quelli sia pur inconseguentemente modernizzatori-nazionalisti. Per la ragione che la stella polare delle sue scelte è il profitto, non i diritti universali dell’uomo e del cittadino, o del bambino, o della donna...

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Solo la lotta e la rivoluzione possono riscattare le donne dell’Islam.

Terzo: poiché solo con la trasformazione radicale delle condizioni generali di esistenza della società, della famiglia, della casa è possibile trasformare realmente e radicalmente la condizione della donna, nell’Islam e dovunque, il riscatto delle donne islamiche è legato a triplo filo allo sbaraccamento totale dei vecchi rapporti sociali, alla rivoluzione sociale. Lo dice la storia stessa. Solo l’Ottobre dei soviet e dopo, ad Ottobre sconfitto, i bagliori pur assai meno rilucenti della rivoluzione anti-coloniale consentirono dei primi passi in avanti delle donne islamiche rispetto alla segregazione, all’oppressione, allo stato di nullità sociale, di "schiava di quattro padroni" (l’emiro, il baj -proprietario terriero-, il mullah, e il marito, o il padre, o qualsiasi altro parente maschio), di cui il velo è appena appena un simbolo. Non prescritto, peraltro, da Maometto, bensì dalle classi dominanti pre-borghesi (le cristiano-bizantine, per prime) come obbligo di sottomissione non verso dio in cielo ma verso l’uomo-padrone in terra.

Il processo di erosione delle posizioni conquistate dalla donna islamica (ed araba) nell’ultimo secolo -di cui il caso afghano fa parte- discende direttamente dall’offensiva dell’imperialismo contro i popoli "di colore" e contro i moti anti-coloniali, e dallo scaricamento sulla periferia della crisi capitalistica. Se nel mondo islamico, entro cui e contro cui l’Occidente ha scatenato guerre su guerre, la condizione materiale di masse sterminate di lavoratori maschi sta diventando insopportabile, come può non esserlo a doppio quella delle "loro" donne? come possono queste accrescere la loro partecipazione alla vita sociale, se hanno da combattere disperatamente anche solo per sottrarre sé ed i propri cari alla fame? non suona beffardo, o almeno impotente, ogni appello a riconoscerne "i diritti umani elementari" che resti separato dall’attacco alle cause strutturali, locali ed internazionali -leggi in primis: imperialismo-, dei loro tormenti?

Eppure, siamo certi che questa erosione non continuerà all’infinito e che, nel quadro della ripresa della lotta delle masse sfruttate, anche la lotta delle donne del mondo islamico necessariamente riprenderà. Non ci sarà barba di mullah o tela di parandja o altro che potrà impedirlo, come dimostra una loro prima risposta di lotta a Mazar-i-Sharif, città del nord afghano nella quale centinaia di donne si sono appellate, contro le misure prese dai Taleban, alla "mobilitazione internazionale".

Noi siamo e saremo dalla loro parte. Senza porre pre-condizioni di sorta. Senza neppure nasconderci che l’iniziativa può partire da settori sociali di estrazione borghese ostili al nuovo governo, ma non altrettanto alle forze internazionali che lo hanno insediato. E senza però tacere loro che non è possibile alcun avanzamento della causa delle donne dell'Islam fuori o, peggio, contro il generale moto anti-imperialista degli sfruttati islamici; che non è dall’ONU, non è dall’Occidente padrone dei loro padroni-sgherri, non è da un esangue e sciovinista femminismo borghese metropolitano, abbarbicato come un’ostrica all’ordine sociale costituito, che potranno avere sostegno non verbale a scala internazionale, ma -come in passato- solo da un movimento proletario finalmente tornato a essere sé stesso, solo da un movimento, da un partito comunista finalmente ritornato ad essere forte.

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Per la liberazione delle donne del mondo islamico, da sempre

Il movimento cui le donne dell’Oriente danno ora inizio, non deve essere considerato dal punto di vista di quelle femministe frivole per le quali il ruolo della donna nella vita pubblica deve essere quello di una pianta delicata o di un giocattolo elegante; questo movimento deve essere considerato come una conseguenza importante e necessaria del movimento rivoluzionario generale che attualmente attraversa il mondo. (...) Se le donne, che sono la metà dell’umanità, restano le avversarie degli uomini, se non si dà loro l’eguaglianza dei diritti, il progresso della società umana sarà evidentemente impossibile. (...)

"Noi sappiamo anche (si dice questo dopo aver criticato la totale insufficienza delle misure per la donna prese dalla "rivoluzione turca" del 1908 -n.) che in Persia, a Bukhara, a Khiva, nel Turkestan, in India e negli altri paesi musulmani la condizione in cui vivono le nostre sorelle è ancora peggiore della nostra. Ma l’ingiustizia di cui noi e le nostre sorelle siamo vittime, non resta impunita; lo testimonia lo stato di arretratezza e di decadenza di tutti i popoli d’Oriente. Sappiate, compagni che il male che è stato fatto alle donne non è mai restato e non resterà mai impunito.

"(...) i compagni delegati, che hanno la grande missione di diffondere nei loro paesi i grandi principi della rivoluzione, non debbono dimenticare che tutti i loro sforzi per assicurare ai popoli la prosperità resteranno sterili senza il reale aiuto delle donne. Per mettere fine a tutti i mali i comunisti credono necessario istituire una società senza classi, e a questo scopo conducono una guerra implacabile a tutti i borghesi e alle classi privilegiate. La lotta delle donne comuniste di Oriente sarà ancora più dura, perché dovranno combattere, in più, anche il dispotismo degli uomini. Se voi uomini d’Oriente resterete, come in passato, indifferenti al destino della donna, siate sicuri che i nostri paesi, voi e noi, soccomberemo; l’alternativa è intraprendere, assieme agli altri oppressi, una lotta a morte per la conquista dei nostri diritti.

"Ecco, in sintesi, le principali rivendicazioni delle donne. Se voi volete la vostra liberazione, prestate ascolto alle nostre rivendicazioni e dateci un aiuto ed un sostegno efficaci:

  1. Completa eguaglianza dei diritti.
  2. Diritto della donna a ricevere, allo stesso titolo dell’uomo, la stessa istruzione generale o professionale in tutte le scuole a ciò adibite.
  3. Uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna nel matrimonio. Abolizione della poligamia.
  4. Ammissione senza riserve delle donne a tutti i pubblici impieghi, e a tutte le funzioni legislative.
  5. Organizzazione in tutte le città e i villaggi di comitati per la protezione dei diritti della donna.

"Tutto ciò è incontestabilmente un nostro diritto esigerlo. I comunisti, che ci hanno riconosciuto tutti i diritti, che ci hanno teso la mano, avranno in noi le compagne più fedeli. E’ possibile che noi vaghiamo ancora nelle tenebre, che dobbiamo ancora varcare dei pregiudizi, ma non abbiamo paura, perché sappiamo che per arrivare all’alba è necessario attraversare la notte."

(Dall’intervento della compagna Nadja, delegata turca alla settima seduta del Primo Congresso dei Popoli dell’Oriente di Baku, 7 settembre 1920)

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