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CURDI: O UNITI,  O CALPESTATI DA TUTTI.

Il martirologio dei curdi (cominciato, in epoca moderna, con l’impero ottomano e proseguito poi senza pause nell’epoca dell’imperialismo capitalistico) non ha davvero fine. In nessuno dei paesi in cui li divise l’infame trattato di Losanna, sottoscritto dall’Italia mussoliniana e mai disdetto dall’Italia anti-mussoliniana.

Non ha fine anzitutto in quella Turchia che, essendo stata finora uno dei più sicuri bastioni dell’Occidente e della NATO in quell’area, ha sempre avuto carta bianca nel deportare, falciare a migliaia, inseguire sul territorio degli stati vicini, imprigionare, torturare quelli che la propaganda di stato ha riclassificato come "turchi della montagna" o, se militanti della loro causa nazionale, come terroristi tout-court. Ma anche l’Iraq di Saddam, o quel moncone che resta di esso, non si è tirato indietro non appena gli si è presentata l’occasione di infliggere ad essi un altro colpo ad Irbil e dintorni. Né si può credere che il momentaneo allentamento della pressione e repressione dell’Iran islamico sulla porzione di Kurdistan interna al suo territorio sia destinata anche solo a diventare permanente, e meno ancora ad esser un primo passo verso il riconoscimento del diritto alla auto-determinazione.

I comunisti e, per quel che ci riguarda, la nostra organizzazione sono schierati interamente ed incondizionatamente dalla parte dei curdi oppressi e contro tutte le borghesie e gli stati che li opprimono, il che vuol dire per noi innanzitutto contro l’imperialismo, contro il nostro stato e la nostra borghesia imperialisti. Ciò è scontato e, crediamo, anche conosciuto dagli stessi militanti curdi sia in Italia che fuori. A questa rinnovata solidarietà nella denuncia e nella lotta agli oppressori, vogliamo aggiungere una sola considerazione cui ci obbliga -al di là dell’ultimo scontro tra i curdi del clan di Talabani e quelli del clan Barzani- l’intera storia curda dell’ultimo secolo.

Ed è questa: i curdi, le masse lavoratrici curde, non riusciranno mai a scrollarsi di dosso l’oppressione capitalista-imperialista che li martirizza fino a quando non si uniranno entro ed al di là degli stati in cui sono divisi; fino a quando non spezzeranno le catene claniche e semi-feudali che ancora li astringono a fedeltà servili che sono la loro rovina; fino a quando non abbandoneranno la pratica suicida e, diciamolo, anche fratricida di cercare aiuto in stati e borghesie che opprimono "altri" curdi; fino a quando non dismetteranno di appellarsi, per la propria liberazione, a quell’imperialismo (democratico) e a quella social-democrazia europea le cui fortune sono direttamente proporzionali allo sfruttamento ed all’oppressione i più spietati dei "popoli" non metropolitani; fino a quando non ricercheranno quegli alleati di cui hanno grande bisogno nelle schiere regionali e mondiali degli sfruttati.

Ma questa svolta storica nella lotta delle masse curde non potrà essere opera di nessuna delle attuali direzioni nazionaliste o sub-nazionaliste, della lotta curda, perché queste in un modo o nell’altro, nonostante siano in armi, si sono accomodate a una qualche forma di compromesso con le borghesie dell’area e con l’imperialismo, ed anche -spesso- con le vecchie classi proprietarie pre-borghesi, che ne tarpa la stessa azione nazional-rivoluzionaria. Ci vuole una nuova direzione, una nuova prospettiva per la liberazione delle masse curde oppresse, e può essere solo quella del proletariato e degli sfruttati. A farla ricomparire ed affermare bisogna lavorare sodo, lì ed ancor più qui.

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