Dossier: Quale internazionalismo

L’internazionalismo marxista: 
dalle origini fino… ai giorni a venire


"I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo della lotta fra proletariato e borghesia". "Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno".

Marx-Engels, Manifesto del Partito Comunista (1848).


La classe operaia emerge nella storia attraverso una serie iniziale di lotte "primordiali" tra singoli gruppi di proletari e singoli gruppi di borghesi, ma è lo stesso cammino dello sviluppo del capitalismo, attraverso il processo della sua concentrazione e centralizzazione — sino alla fase "estrema" dell'imperialismo, che ne fa un sistema mondiale unitario —, a trascinare il proletariato nel movimento politico, ad organizzarne le file da "massa disseminata" entro i singoli paesi a classe per sì, internazionale com'è internazionale il sistema di dominio della borghesia.

Sostenere l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo, ha sempre significato, perciò, per il marxismo sostenere in teoria e nell'azione politica la causa dell'unità internazionalista del proletariato come classe che "non ha patria". Il "Manifesto" del 1848 nasce, non a caso, come Manifesto del Partito Comunista mondiale, pur in presenza di un livello di maturazione delle forze produttive capitalistiche infinitamente basso e perciò non ancora in grado di favorire lo scontro frontale fra le due classi storicamente antagoniste. Tra il risultato finale cui si mira ed i compiti immediati vi è tuttora una grande distanza, ma se è vero che "la lotta del proletariato con la borghesia comincia con la sua esistenza", è anche vero che il "primo grado di sviluppo" del movimento di classe non può che essere posto in conformità "all'interesse del movimento complessivo".

È così che la Lega dei Comunisti, per la quale fu scritto il Manifesto, pur essendo composta per la maggior parte di lavoratori non ancora proletarizzati e costituita essenzialmente da artigiani tedeschi sparsi per i vari paesi d'Europa, fissa di già un fondamentale passo in avanti del movimento proletario da cui esso non potrà mai più tornare indietro: essa tende ad essere un'organizzazione militante internazionale.

Con 1'AIT (l'Associazione Internazionale dei Lavoratori), la Prima Internazionale, nata nel 1864 e sciolta nel '73, quest'acquisizione si traduce nella nascita di un vero e proprio partito politico del proletariato europeo e nordamericano. Nei suoi statuti sta scritto che "l'emancipazione degli operai non è un problema né locale né nazionale, ma un problema sociale che abbraccia tutti i paesi in cui esiste la società moderna".

La Comune di Parigi conferma questa diagnosi, segnando per la prima volta lo scontro in atto tra forze borghesi di vari stati in lotta tra loro per l'affermazione dei propri interessi "nazionali" ed il proletariato di Parigi in quanto espressione del "movimento complessivo" del proletariato internazionale. La Comune parigina indica che, d'ora in poi, in tutti i paesi avanzati, la classe operaia non potrà più fare alcun cammino insieme alla borghesia radicale per realizzare la propria emancipazione: essa è ormai chiamata ad agire come "classe per sé", internazionale, in scontro diretto con la borghesia internazionale, che ha definitivamente compiuto la sua rivoluzione antifeudale e si erge come forza controrivoluzionaria nei confronti del proletariato.

La Prima Internazionale "dissolve ed assorbe" le piccole sette, abbozzando il futuro partito politico chiamato a dirigere questa lotta. Engels scrive nell'87: "Credo che la prossima Internazionale sarà direttamente comunista ed inalbererà decisamente i nostri principi."

Nell'89, dopo anni di provvisoria eclisse del movimento rivoluzionario, viene costituita la Seconda Internazionale. Essa rappresenta per i partiti "nazionali" del proletariato una scuola di azione politica e di internazionalismo. In tutti i paesi più o meno sviluppati nascono partiti politici ed organizzazioni sindacali operaie di massa, legati tra loro da questo comune vincolo internazionalista. Questo stadio di sviluppo del movimento e del partito era già stato fissato dal Manifesto: "La lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. È naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia".

Il lungo periodo di "pacifico" sviluppo capitalista porta nella Seconda Internazionale i germi del riformismo e del revisionismo. Le sezioni "nazionali" di essa sviluppano, nei singoli paesi, caratteri particolaristici, nazionali e locali, sempre più accentuati, sino a trasformarsi — nella maggior parte dei casi — in partiti "sostanzialmente nazionali", alla coda degli interessi borghesi, di cui, allo scoppio della prima guerra mondiale, non disdegnano di prendere nelle proprie mani la bandiera. È il "tradimento" della Seconda Internazionale che, dopo lunga incubazione si rnostra in piena luce col 14 agosto della socialdemocrazia tedesca e, dietro di essa, dei maggiori partiti socialdemocratici.

In ciò la Seconda Internazionale si può dire abbia compiuto un arretramento rispetto alle esperienze precedenti. Ma il suo risultato storico, di raggruppamento delle forze proletarie in organizzazioni di massa capaci di azione politica, non sarà cancellato. Il nuovo stadio di sviluppo del Partito non potrà nascere che dalla riacquisizione di tutto il percorso precedente, depurato dalle escrescenze prodotte dal "pacifico" sviluppo capitalista tra l'89 ed il 1914. E questo Partito sarà l'Internazionale di Lenin, nata nel '19, che rappresenta la continuità del movimento rivoluzionario di classe "nell'epoca della rivoluzione proletaria" internazionale.

L'agguerrita resistenza controrivoluzionaria della borghesia, che può giovarsi dell'opera dei "traditori" della Seconda Internazionale, non permette alla Terza Internazionale di portare a termine il compito per cui essa era nata. Essa non riesce a diventare un partito mondiale fuso in un unico blocco in grado di dirigere internazionalmente la lotta anticapitalista in unità di teoria, principi, tattica, azione politica ed organizzazione. Sotto la schiacciante pressione di condizioni sfavorevoli, la stessa Terza Internazionale finisce per rivelarsi una "federazione" di partiti nella maggior parte dei casi non ancora svincolatisi sostanzialmente dalla tradizione socialdemocratica del ciclo precedente; la sua linea tattica e strategica si frammenta a seconda delle "situazioni specifiche" ed, in particolare, non traduce in realtà l'esigenza posta a Bakù nel 1920 dell'unificazione delle lotte metropolitane e dei paesi colonizzati e dipendenti attorno ad un unico, coerente centro direttivo.

Nel '26, l'affermazione della teoria stalinista del "socialismo in un solo paese" sancisce il passaggio in atto nell'Internazionale da partito della rivoluzione proletaria internazionale a movimento rinserrato, in Russia, entro i confini della costruzione di un capitalismo di stato conquistato per via rivoluzionaria grazie alla mobilitazione del proletariato per bandiere di "progresso" borghese e, nei paesi metropolitani, entro quelli di una lotta riformista di "democratizzazione" della società, mentre nei paesi della periferia il movimento anti-imperialista è direttamente consegnato nella mani di esigenze (e, spesso di organizzazioni) proprie della "borghesia nazionale rivoluzionaria".

La Terza Internazionale cade, dunque, sullo scoglio dell'internazionalismo effettivo, ma, al tempo stesso, mostra come lo scontro su questo terreno si sia ormai imposto irreversibilmente per il futuro.

Si apre da allora un periodo pluridecennale (cesura inaudita nella storia del movimento proletario!) di trionfo della controrivoluzione, a misura tale che niente e nessuno poteva pensare di ricostruire immediatamente, sulle ceneri dell'Internarionale "sfigurata" e "tradita" una larva di effettivo partito comunista a scala internazionale.

Ciò non toglie che, sin da allora, tutti gli sforzi delle avanguardie comuniste presenti sulla scena, non potessero configurarsi al di fuori della previsione e del concreto lavoro per lo "stadio di sviluppo" futuro, come tentativo di tracciare un bilancio internazionale della disfatta ed una prospettiva altrettanto internazionale di riorganizzazione teorica, politica ed organizzativa del proletariato rivoluzionario.

È fallito ancor prima di nascere il tentativo operato da Trotzkij di mettere in piedi una Quarta Internazionale che rappresentasse la continuità non deformata dell'Internazionale di Lenin, non solo e non tanto per la mancanza di un, peso effettivo nella classe, quanto per l'insufficienza — vivente Trotzkij — degli elementi costitutivi di un reale superamento delle cause oggettive e soggettive che avevano presieduto al tracollo del '26 e, successivamente — coi "trotzkisti" delle varie tendenze ufficiali quartinternazionaliste —, per il definitivo slittamento nel campo del neo-stalinismo "di sinistra", criticamente aggiornato, o, peggio, del populismo e del democratismo piccolo-borghese.

Ed è anche venuta meno la possibilità da parte della Sinistra "italiana" di trasmettere sino in fondo il filo rivoluzionario durante il periodo della controrivoluzione sino a riconnetterla fisicamente alle prime manifestazioni della ripresa, anche se l'essenziale degli insegnamenti della Sinistra entra nel processo della ripresa (nonostante certi suoi "eredi").

Lavorare da un punto di vista internazionalista non può ancora ed all'immediato significare oggi la messa in cantiere di organizzazioni "internazionali": esse risulterebbero inevitabilmente fittizie al di fuori di un corso generalizzato di ripresa, che investa movimenti di massa ed avanguardie politiche e ne renda possibile l'assorbimento e la fusione. Significa, però, questo sì!, Lavorare sin da subito per superare il particolarismo nazionale o, peggio, localistico; per inserire tutti gli aspetti della propria azione, di teoria, propaganda, agitazione ed organizzazione, entro un quadro che "metta in rilievo e faccia valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato", com'è non "utopia" o lontano traguardo per il domani, ma compito imperativo posto dalle condizioni stesse dello sviluppo del capitalismo e della lotta di classe.

Il mondo intero è diventato oggi l'arena di uno scontro di classe che si decide a questa sola scala. "Proletari di tutti i paesi, unitevi". Questo non è un sogno "cosmopolita", non è un "ideale", ma il concreto grido di battaglia su cui si decidono gli schieramenti di classe ed i loro destini. Un'avanguardia comunista reale non può che prendere atto di questa realtà!