Dini deve in grande parte a Cgil, Cisl e Uil se il suo governo è riuscito a durare oltre un anno; e a loro deve anche buona parte della credibilità di uomo di "centro", punto di incontro tra grande capitale e "sinistra", tra esigenze di risanamento e mediazione coi sindacati. La sua politica è stata schiettamente di destra ed ha continuato a far gravare sul proletariato il ripianamento del deficit pubblico e il rilancio della competitività delleconomia nazionale, ma, rispetto a quella berlusconiana, meno pesante, irruente e arrogante. Ciò è stato sufficiente a far proferire ai DAntoni e ai Larizza vere e proprie dichiarazioni damore verso il rospo. Lo stesso Cofferati non gli ha lesinato giudizi positivi. Tra i tre leaders sindacali è stata, però, polemica quando DAntoni sè apertamente schierato nella ricostruzione del "centro" attorno a Dini, e Larizza ha manifestato, persino, la possibilità di candidarsi nelle liste del capo del governo. La Cgil li ha richiamato al rispetto dell"autonomia sindacale".
Anche il "governissimo per le riforme", Cisl e Uil serano impegnate ad appoggiarlo, mentre la Cgil si era tenuta in disparte con unopposizione, poco gridata ma insistente, allipotesi di un governo destra-sinistra che avesse tra gli impegni quello di una finanziaria "pesante".
Una volta il tema dell"autonomia del sindacato" era usato contro la Cgil per combatterne il legame col Pci. Oggi sembra un tema della Cgil contro i nuovi collateralismi di Cisl e Uil! Poco male, ...se di vera autonomia si trattasse. La realtà è unaltra: lautonomia è assente nel sindacato "cattolico" e in quello "laico", ma manca del tutto anche alla Cgil.
Tutto sta a intender bene quale debba essere lautonomia del sindacato. La Cgil rivendica, per esempio, la sua autonomia da ogni governo, anche nel caso in cui governasse lUlivo. Pur ammesso che accada, si avrebbe con ciò l"autonomia"? Dallinterno stesso della Cgil emerge -tanto nella maggioranza che nelle minoranze- una richiesta di autonomia oltre che da ogni governo anche dal "quadro politico". La prima, insomma, non basta. Ma, con laggiunta della seconda, il problema sarebbe risolto? La fumosità del concetto ("quadro politico") sembra fatta apposta per rimanere nellambiguità e non chiudersi tutte le porte.
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Il partito delle "leggi di mercato"
Vediamo la cosa, allora, partendo da un altro punto di vista. Bertinotti ha lanciato di recente (quando il "governissimo" sembrava sul punto di concretizzarsi) la proposta di "coordinamento dei comunisti nel sindacato". Lha rimbeccato subito Cofferati: così si attenta allautonomia della Cgil, la si vuole trasformare di nuovo in "cinghia di trasmissione" di un partito! Per la cronaca -a dimostrazione di quanto il Prc sia poco "partito"- anche dallinterno di Rc, e della minoranza Cgil di "Alternativa sindacale"- cè stato chi sè unito a Cofferati nella condanna. Gli altri hanno, invece, risposto: già ora la Cgil non è autonoma, già ora essa è sottomessa a un partito -il Pds- e alla sua politica di ricerca daccordo col "centro moderato".
Cè in questa risposta un elemento di verità. Ma uno soltanto, e molto parziale. La Cgil non è sottomessa solo al Pds, ma è sottomessa -al pari del Pds- al partito delle "leggi di mercato", espressione eufemistica che sta per laltra -"vetero-marxista", ma quanto mai attuale- di "leggi del capitalismo". Sono queste a dominare i programmi di tutti i sindacati. Il loro dominio ha generato laccettazione delle "compatibilità", con tutto quel che ne è conseguito: assunzione del deficit statale come un problema alla cui soluzione i lavoratori debbono essere cointeressati e partecipi al punto di accettare tagli al welfare state; contenimento dei salari per "bloccare" linflazione; aumenti di produttività, ritmi e orari per favorire la competitività delle imprese. Né si finisce qui. Questa sottomissione già prepara per i lavoratori ulteriori arretramenti. Infatti, a misura che la crisi del capitalismo si approfondisce trascinando capitali, imprese, interi paesi nel vortice di una concorrenza sempre più aspra, le sue "compatibilità" si fanno sempre più pressanti. Un sindacato che non sia affrancato dal dominio del partito "delle leggi di mercato" non potrà che opporvi linee di resistenza sempre più flebili.
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Prc: il comunismo? Tra 3 o 400 anni...chissà?
Il Pds non è libero da quella sottomissione, né lo è la Cgil. Lo sono il Prc e Alternativa sindacale?
Da questi ambienti si elevano critiche dure ai cedimenti operati dai sindacati, e critiche altrettanto dure alla diffusione del "moderatismo" dentro il Pds e la Cgil. Si rivendica una difesa più radicale delle conquiste economiche, sociali e politiche dei lavoratori, si rifiuta la subordinazione alle "compatibilità" del padronato, si propongono, addirittura obiettivi che sembrano "dattacco", come la riduzione generalizzata dellorario di lavoro a parità di salario.
Tutto ciò è collocato, però, in un ben preciso quadro: una società che non neghi nulla a nessuno, che non neghi, da un lato, la proprietà, lo sfruttamento, la divisione in classe, e, dallaltro, un salario decente, lo "stato sociale", i diritti dei lavoratori, ecc.; che cerchi, insomma, di contemperare le varie istanze delle diversi classi, rieditando un "patto sociale" simile a quello degli ultimi decenni, ai fini di evitare lesplosione incontrollata dei conflitti. Un consiglio al capitalismo affinché non esasperi le diseguaglianze sociali, elargitogli per un senso di solidarietà verso i più "sfavoriti", e pel suo stesso bene: evitare di moltiplicare e radicalizzare i conflitti di classe. Mai consiglio fu più malposto! Per il sistema capitalista è inaccoglibile, né potrebbero indurlo ad ascoltarlo massicce lotte dei lavoratori. Da quando la crisi del capitalismo internazionale sè svelata -20 anni orsono- le "leggi di mercato" sono divenute un vero e proprio potere dittatoriale onnipresente. Non vè democrazia -consociativista o conflittuale- che vi possa resistere.
Laspirazione del Prc è, dunque, a un sistema "veramente" democratico, ove democratico vuol dire coesistenza di interessi diversi, compensazione dei conflitti tramite la mediazione della "politica" (con la "P" maiuscola, non quella degli interessi "di parte" di un Berlusconi!) nelle sue sedi istituzionali (parlamento) e sotto la protezione della Costituzione "più democratica del mondo".
Il comunismo? Una bella cosa, realizzabile, chissà, tra 3 o 400 anni.
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O interessi di classe o interessi del "paese"
E sufficiente questa aspirazione per sottrarsi alla subordinazione alle "leggi di mercato"? Assolutamente no. La controprova la fornisce lo stesso Prc. Ricorriamo, per dimostrarlo, a un esempio.
Per rendere le imprese più competitive sul mercato, i padroni vogliono "comprimere" il costo del lavoro: meno salario e occupazione, più produttività. Il Prc rifiuta la compressione del costo del lavoro (che porterebbe lItalia ai livelli "asiatici") e oppone un contropiano centrato sull"innovazione dei prodotti".
L"oggettiva" legge del mercato della concorrenza è, dunque, pienamente accettata. Si cerca, tuttalpiù, di scansare le conseguenze ai danni dei lavoratori. Il tentativo è fallace, e del tutto illusorio. Per innovare i prodotti ci vogliono capitali immensi. Non si arriva ai livelli americani in campi come linformatica o le comunicazioni se non si ha la stessa potenza finanziaria, la stessa disponibilità di capitali, in ultima istanza, la stessa possibilità di rapinare risorse in ogni punto del mondo. Il capitalismo Usa ce lha, e non gli basta, tanto è vero che non risparmia di "comprimere il costo del lavoro" ai danni dei suoi proletari. A maggior motivo se quella forza manca o è, come per lItalia, ridotta, non rimane che attingere capitale allunica fonte in grado di erogarlo: lo sfruttamento operaio, comprimendo il costo del lavoro, dirottando i bilanci statli dal welfare state al rilancio delle imprese, ecc. Agnelli ha espresso, con la consueta chiarezza del padrone di razza, la logica conclusione del ragionamento: se si vuole difendere lo stato sociale in Europa, bisogna unificarla nel rispetto di Maastricht, per consentirle di aver maggiore forza sui mercati mondiali. Ha tralasciato di aggiungere contro chi brandirla. Lo facciamo noi senza tema derrore: contro il Terzo Mondo, per sottrargli più ricchezze, in concorrenza con gli Usa.
Se si vuole difendere la condizione operaia evitando di mettere in questione il sistema capitalista, non rimane, dunque, che sostenere il "proprio" paese e la sua economia nella concorrenza con altri paesi e altre economie, fino alle estreme e inevitabili conseguenze belliche. Tertium non datur.
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Contro limpresa... per la nazione.
Unimpostazione analoga a quella su vista la si trova nel documento congressuale della Fiom, proposto per evitare (?!) leccessiva frantumazione del dibattito congressuale della Cgil su tre tesi contrapposte.
Dal punto di vista dellanalisi questo documento è, in certo senso, più "audace" di ognuno degli altri. Denuncia la completa subordinazione del sindacato alle imprese, sostiene che il sindacato deve ritrovare la "sua autonomia sulla base di un sistema di valori e interessi che abbiano la stessa forza e determinazione di quelli capitalistici", e ammette che "la storia dimostra che il sindacato è nato su unidea di società spesso costruita in termini di palingenesi sociale". La Fiom prende le distanze dal modello sociale proposto allora (né noi -per motivi ben diversi- ci battiamo per riproporre quello), ma è costretta a fare delle ammissioni preziose. La "neutralità" del sindacato non è mai esistita, a minor ragione può esistere oggi (a credervi è rimasta solo Lotta Comunista, con lastrusa petizione che i sindacati dovrebbero fare il "loro mestiere"), quando ormai il capitalismo è giunto al punto che (parole della Fiom) "si compete per sopravvivere. La condizione della propria sopravvivenza è la soppressione dellaltro." E, aggiungiamo noi, questa lotta per la sopravvivenza fa strame dogni residua ambiguità anche sul ruolo dello Stato, strappandogli ogni parvenza di mediazione tra capitale e lavoro, e sottomettendolo completamente al ruolo di baluardo del sistema di rapporti sociali capitalisti e del capitalismo nazionale, in particolare.
Le ammissioni non danno luogo allassunzione di alcuna delle logiche conseguenze che ne deriverebbero. Al contrario, lobiettivo della Fiom si sostanzia nel rilancio del "lavoro industriale", del suo ruolo nella società, proponendo, per ciò, un adeguato "sindacato industriale".
Il tema può avere un qualche effetto oggettivo di spostare lattenzione dei lavoratori verso la condizione operaia. Ma a questo -possibile, non certo- effetto oggettivo consegue uno soggettivo, della Fiom, che conduce dritto alla difesa dellindustria italiana, col corollario di denunce di colonialismo ai capitali stranieri, di scarso patriottismo dei padroni nostrani, e linevitabile -per quanto, al momento, solo tra le righe- rivendicazione di "vero" patriottismo da parte del sindacato e dei lavoratori. Tutto un armamentario, insomma, con cui si aprono le porte del movimento operaio allinvasione delle più classiche tematiche della destra. Cambiando lordine dei fattori, il prodotto non cambia: sottomissione alle leggi del capitalismo.
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Autonomia: subordinazione agli interessi proletari
Il gran parlare di "autonomia del sindacato" non comporta, dunque, nessun passo avanti verso lunica vera autonomia di cui il sindacato abbisogna per potersi attestare realmente su una linea di concreta difesa delle condizioni del proletariato: lautonomia dal capitalismo. Questa può realizzarsi in un solo modo: sottraendo il sindacato al partito del capitale, e sottomettendolo al partito degli interessi della classe operaia. La lotta capitalistica per la sopravvivenza esclude la possibilità, per il capitale, di concedere altre "riforme", anzi gli impone di riprendersi tutto quel che ha dovuto cedere prima alla lotta proletaria. In tale quadro anche solo la semplice difesa delle "vecchie" conquiste pone unalternativa secca: o subordinazione alle esigenze del capitalismo, con la conseguente rinuncia, magari a pezzi invece che in blocco, dogni precedente acquisizione, o scontro sempre più radicale contro di esso. Per affrontarlo la classe operaia deve darsi le forze, lorganizzazione e il programma necessari.
La prima condizione è che si attesti su una difesa delle sue condizioni di vita e di lavoro, rifiutando di modificarle per andare incontro alle necessità dei mercati, delle imprese e delleconomia nazionale. Lesperienza ha già sufficientemente dimostrato come landare incontro a quelle necessità comporti cedimenti senza fine. Ma ha anche dimostrato che una vera resistenza agli attacchi del capitalismo è possibile solo se si mettono in campo tutte le forze di cui si dispone. Per questo il problema dellunità diviene centrale per organizzare la stessa lotta di difesa. E, non a caso, la borghesia non conduce contro il proletariato una lotta meramente economica, ma conduce una vera e propria lotta politica a tutto campo, il cui scopo è proprio quello di distruggerne ogni elemento di unità materiale, sindacale e politica. I mezzi di questa lotta sono vari (gabbie salariali, salari dingresso, salari legati alla redditività, ecc.), ma ciò che ne costituisce la miglior sintesi è senza dubbio il federalismo. Non si può desiderare lunità di lotta dei lavoratori senza una chiara ed esplicita battaglia contro il federalismo, in tutte le versioni e le salse.
Ma liniziativa borghese per decomporre lunità della classe operaia non si limita al solo piano nazionale. La globalizzazione dei mercati ha aperto al capitalismo le più ampie possibilità per estendere lo sfruttamento della forza-lavoro, di conseguenza il suo mercato del lavoro non è più angustamente limitato ai confini nazionali, ma ha per confine tutto il mondo. Depredando i paesi del Terzo Mondo costringe masse di sfruttati a emigrare in Occidente in funzione di esercito di riserva da contrapporre al proletariato metropolitano per costringerlo ad accettare, a sua volta, condizioni peggiori di sfruttamento. Con le manovre finanziarie e politiche sottomette interi paesi, altri, come la Jugoslavia, arriva a distruggerli con la guerra, provocando una dispersione della forza organizzata della classe operaia locale e una sua conseguente svalorizzazione, e usa anche questa per aumentare la pressione contro la classe operaia metropolitana.
Se si vuole, dunque, davvero organizzare una resistenza agli attacchi capitalistici, e si deve, per questo, ricostruire lunità di lotta e di organizzazione della classe operaia, allora, non ci si può limitare a lavorare allunità degli occupati, a quella tra occupati e disoccupati, ma si deve, obbligatoriamente, svolgere uniniziativa chiara e decisa per costruire le condizioni di unità di lotta anche con gli immigrati, con i lavoratori della ex-Jugoslavia e di tutti i paesi sottoposti al più sfrenato dominio dei mercati internazionali e delle loro istituzioni finanziarie.
E, infine, lunità di lotta va costruita anche con i lavoratori di quei paesi indicati dalla borghesia italiana come i "nostri" concorrenti diretti. Ogni cedimento operaio in un determinato paese si trasforma in un elemento a vantaggio della borghesia locale sui mercati a cui le altre borghesie rispondono, puntualmente, imponendo altrettanti cedimenti ai "propri" operai, vanificando, così, il vantaggio determinato dal cedimento dei primi e rilanciando innanzi la lotta di concorrenza e... indietro la condizione dei lavoratori, cui verranno imposti nuovi arretramenti per riconquistare nuovi vantaggi, in una spirale senza fine, che può essere interrotta solo da un fronte comune di lotta degli operai dei vari paesi a difesa delle proprie comuni condizioni contro gli identici attacchi delle varie classi dominanti nazionali.
Sottomettere il sindacato agli interessi della classe operaia, richiede, quindi, una battaglia politica a tutto campo, che non è un "di più", ma è condizione necessaria, e irrinviabile, per ricostiturire lunità del fronte proletario, senza la quale qualunque obiettivo -di difesa o di attacco- non è altro che vuota petizione.