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Riprendiamo l'iniziativa anti-capitalistica

Compagni,

la nostra forza non è mai stata quella del voto, nel quale, nel migliore dei casi, si riflettono i rapporti di forza reali nella società. Meno che mai può esserlo oggi quando l’offensiva è completamente in mano alla borghesia e le decisioni vitali in campo economico e politico sfuggono sempre più a ogni forma di "controllo" da parte degli istituti elettivi. La stessa borghesia ci sbatte in faccia, quotidianamente, con il suo martellante richiamo al mercato (che non è un’istituzione democraticamente eletta ogni cinque anni), che il reale centro di gravità della sua azione è fuori dal parlamento, fuori dalle elezioni e sempre più fuori dagli frustri formalismi democratici.

E allora, alla buon’ora!, anche per la classe operaia la prima parola di una reale opposizione deve essere il riconoscimento e la fede che le sorti delle grandi questioni sociali e politiche e dello scontro di classe con il capitale e il capitalismo non si decidono nel parlamento, nelle urne o all’ombra della Costituzione (di quella prima repubblica di cui la destra di oggi è figlia), ma nelle fabbriche, nelle officine, nelle strade. Tornare all’iniziativa di lotta è quindi il primo e fondamentale elemento per resistere e invertire la deriva. Qualunque sia l’esito delle elezioni e il governo che si incaricherà dei prossimi tagli, deve trovarsi dinanzi a sé un proletariato pienamente disposto a riprendere il discorso lì dove era stato lasciato con Berlusconi: lotta generale di massa. Con il ritorno del proletariato al ruolo di protagonista della lotta per i propri interessi.

In questa battaglia non possiamo in alcun modo illuderci che le "istituzioni democratiche" in quanto tali, e le progettate riforme in senso autoritario di esse, ci possano essere di aiuto, o almeno di sponda. Non ci saranno altro che di ostacolo. E così pure certi nostri presunti alleati impegnati indefessamente a farci le pulci, a chiederci abiure ideali e rinunce materiali e, più spesso, a pugnalarci a tradimento. Come nella migliore tradizione del movimento proletario comunista, dovremo far conto invece sulla capacità d’iniziativa e sulla forza organizzata della classe, sull’intransigente difesa del programma politico e rivendicativo di classe, sulla ricostituzione delle nostre organizzazioni, su una politica che sappia far avanzare, a partire dai livelli oggi esistenti, la condizione primaria da cui nasce la forza per imporre al capitale le esigenze del lavoro salariato: la massima unità di classe.

Quello di cui abbiamo bisogno, dunque, è una battaglia contro tutti quegli ostacoli che oggi la minano dalle fondamenta: una battaglia contro il federalismo (regionalista, municipalista o secessionista che sia). Una battaglia per far convergere su un piano di azione unitario le volontà proletarie di lotta e di resistenza che ci sono e che sono dislocate dentro e fuori il sindacato confederale, nel Prc come nel Pds. C’è bisogno di un’organizzazione politica adeguata che sappia guidare su questa via la protesta e la lotta dei lavoratori, che, davanti alle annunciate terapie shock, non mancherà di tornare ad esplodere. C’è bisogno di una battaglia contro la canea razzista, di una battaglia contro l’intervento italiano nella ex-Jugoslavia (che ha di mira le masse lavoratrici balcaniche anche per balcanizzare il proletariato di qui), e di una azione convinta per collegarci e unirci ai proletari e agli sfruttati di tutti i paesi.

E’ solo e soltanto in questo modo che potremo aprirci davvero la strada ad un governo che sia veramente nostro. A cui, compagni del Pds e di Rifondazione, noi marxisti aspiriamo più di chiunque altro. E vogliamo sia tale per davvero!, nel senso che si riconosca solo e soltanto come organo dittatoriale dei nostri interessi di classe, e la cui azione sia perciò volta a spezzare il potere di classe del capitale sfruttatore. E non come certi begli esemplari di governi di "sinistra" o di "centro-sinistra" che proclamano di tenere in conto anche i nostri interessi, salvo poi tagliarci i salari, le pensioni, i diritti sindacali e tutto il resto, per proteggere chi ci sfrutta.

Certo, una politica di classe come quella che noi proponiamo non è fatta per ottenere pingui bottini elettorali (che poi ci lasciano... a bocca asciutta), spezza gli agganci con i democratici e i loro prodi maneggioni. Ma ha il vantaggio di posizionarsi e di incidere sul vero terreno su cui si decidono le battaglie politiche: quello dei rapporti di forza tra le classi.

Solo mettendo in campo tutta la sua forza ben organizzata il proletariato potrà contrare l’attacco del grande capitale. E non è affatto detto che la lotta, valga anche qui l’esempio della Francia, ci isolerà. Al contrario è solo mostrandoci forti e decisi, non meno ma più del nostro avversario di classe capitalista, che potremo neutralizzare i potenziali nemici piccolo-borghesi, e conquistare simpatie e consensi nelle classi di mezzo.

Compagni, l’incessante rincorsa alle compatibilità del capitale e alle classi medie del Pds e di Rifondazione sta portando questi due partiti a precipizio verso il loro stesso auto-affondamento. Dobbiamo impedire che la disfatta annunciata della "sinistra storica" (che già capitolò indegnamente davanti al fascismo, via patti di "pacificazione" e invocate, e impossibili già allora, "rivincite elettorali") si traduca in una disfatta della classe operaia. E possiamo farlo solo richiamando le forze proletarie vive che ancora in essi si riconoscono a fare un bilancio impietoso, complessivo e collettivo della fallimentare politica "riformista", e a svoltare in direzione di una linea di difesa e di una prospettiva d’attacco al capitalismo che corrispondano davvero ai nostri bisogni e ai nostri interessi.

A quanti fra essi riterranno di dover rompere anche organizzativamente con questa sempre più esangue e compromessa "sinistra", diciamo fin d’ora: "pur con tutti i nostri limiti di quantità e di qualità, noi OCI siamo qui, pronti a fare la nostra parte, pronti a organizzare insieme a voi il lavoro necessario".

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