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I PROBLEMI E LE PROSPETTIVE DELLA DESTRA,
IL NOSTRO PRIMO NEMICO.


Indice


Se la "sinistra" conosce la deriva di cui parliamo a parte, la destra del Polo delle libertà non gode certo di splendida salute. Anzi: è in una fase in cui le sue contraddizioni, a partire da quelle di e in Forza Italia, sono a un grave punto di tensione. Sarebbe però un’imperdonabile superficialità cullarsi nell'idea di una destra allo sbando. Pur entro un grande caos, la destra si sta riorganizzando sì da poter assolvere alla sua ragion d’essere: quella di ringhioso cane da guardia del grande capitale.

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Un esordio eccessivamente fortunato

Il suo esordio è stato eccessivamente fortunato, e questo, forse, ha finito per danneggiarla. La scesa in campo di Berlusconi, alla fine del ’93, venne a colmare l’enorme vuoto creato nel campo borghese dal contemporaneo disfacimento, per avanzata cancrena, della Dc e del Psi. L’abilità politica del Cavaliere non si limitò alla (perfetta) scelta dei tempi. Egli seppe anche indicare con chiarezza il compito fondamentale della neonata alleanza delle destre: compattare le disperse forze borghesi in un blocco che osasse andare con decisione all’assalto del proletariato in nome d’un thatcherismo non più temperato. Né fu meno felice nel gettare un ponte, in nome d’un inesistente "pericolo rosso" alle porte, tra la destra nordista della Lega e la destra sudista di An. O nella sua intuizione di rivolgersi direttamente, con un comunicativo populismo "anti-politico", alla massa degli elettori; riuscendo a catturare simpatie anche tra i delusi di una "sinistra" parlante sempre più il solo linguaggio dei "sacrifici necessari". Veni, vidi, vici. Un autentico capolavoro politico.

La folgorante vittoria catapultò al governo una "classe dirigente" del tutto impreparata a dirigere lo stato. Il suo fulcro era costituito -fattore di debolezza, e non di forza- da un "partito-azienda" più virtuale e multimediale che reale. Un "partito" strutturalmente incapace di amministrare gli affari di stato da rappresentante unitario di tutti i settori del grande capitale. FI, inoltre, non disponeva di una seria ipotesi di composizione del contrasto di interessi esistente tra il piccolo-medio capitale ultra-liberista e federalista della Padania e la borghesia burocratico-statalista del Sud. Né era in grado di fornire un meditato indirizzo alla politica estera del capitalismo italiano, rischiando con l’"anti-europeismo" di Martino, di entrare in rotta di collisione con i due massimi paesi clienti dell’azienda-Italia (Nord-Italia...) senza nulla ottenere in cambio dai beneficiari anglo-americani.

A causa di queste debolezze il blocco elettorale che aveva decretato il successo dell’asse Berlusconi-Bossi-Fini, invece di trasformarsi in un vero e proprio fronte sociale e politico, cominciò ben presto a mostrare crepe sempre più ampie, anche come alleanza di governo. Sicché quando l’accoppiata Berlusconi-Dini, interpretando davvero -in questo caso- attese e interessi di tutta la classe borghese, ma non scegliendo bene modo e tempo dell’attacco, decise di demolire il sistema pensionistico pubblico, si trovò poi inaspettatamente sola davanti alla massiccia e ben organizzata reazione del movimento dei lavoratori. Il governo delle destre, comunque, aveva tracciato il solco giusto e seminato bene (per il capitale). Il raccolto lo avrebbe fatto, complice lo stato maggiore della "sinistra", il furbo camaleonte Dini (lo stesso che nel novembre del ’94 era per alzare il livello dello scontro col sindacato, e che ci vuol un bel pelo sullo stomaco o della fitta nebbia intorno al cervello per vedere come un convertito alla "sinistra").

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Contraddizioni irrisolte

Il "ribaltone" non è stato privo di utilità per FI e An. Perché le ha obbligate a confrontarsi con la fragilità del cemento unitario del Polo, del proprio insediamento sociale e delle proprie strutture di organizzazione. Questo confronto è stato ed è aspro sopratutto per un "movimento" (come FI) improvvisato e in parte posticcio. Ma gli è servito a epurarsi dalle sue componenti più irresolute e centriste, e a porsi il problema, che essa -così com'è- è organicamente incapace di risolvere, della sua trasformazione in partito. Da parte sua An, pur frenata e in parte deviata dal processo di "costituzionalizzazione" democratica, ha iniziato a compiere i primi passi della costruzione di quella "destra sociale" che è componente essenziale di un blocco anti-proletario all’altezza dei tempi. Sicché oggi l’asse FI-An è, nell’insieme, relativamente più solido e omogeneo di ieri nei suoi caratteri di aggressiva destra borghese, con maggiori collegamenti "popolari" e un accresciuto insediamento sul territorio.

Nondimeno esso è ancora lontano, molto lontano, dall’essere quel partito "di massa", unitario e militante, del capitalismo nazionale di cui la "nostra" borghesia abbisogna per proiettarsi con il massimo di energia nella competizione internazionale. Lo è perché non ha sciolto in modo netto, e talvolta neppure adeguatamente impostato, una sola delle questioni topiche sul tappeto.

La stessa (elementare) necessità di costituirsi in partito, nel "partito unico della destra", della borghesia, è negata sia dalle frattaglie vetero-democristiane del Ccd e Cdu (un autentico peso morto per la destra), sia da chi, come Ferrara, che pure col Foglio ha fondato un giornale di partito, s’illude che per battere la classe operaia sia sufficiente, data la nullità della "sinistra", l’azione dello stato. Senza l’appoggio di un movimento sociale organizzato, e della direzione e dell’inquadramento di una forza di partito.

Né c’è un minimo di chiarezza sulla collocazione internazionale dell’Italia. E’ finito o no l’atlantismo? E se sì, quale collocazione è preferibile per l’Italia: "europeista" filo-tedesca o "anti-europeista" filo-americana? e per quale via garantirsi, nell’uno o nell’altro caso, una certa autonomia di movimento? ricontrattare Maastricht o no? giocare, o almeno fintare, la carta "protezionista", o essere per l’ulteriore liberalizzazione degli scambi? La discussione è in alto mare. E An che dovrebbe, in teoria, avere nel DNA qualche gene nazionalista in più degli alleati, è a tal punto invischiata nella ricerca di legittimazione "democratica" internazionale da essere al momento innaturalmente appiattita sugli USA e Israele, e farsi scavalcare in "autonomismo" da qualche esponente di FI e del centro cattolico.

Altrettanto incerto e contraddittorio è il profilo della politica economica e sociale del Polo. Liberismo totale ultra-thatcheriano o "economia sociale di mercato"? Integrale privatismo o difesa dell’intervento dello stato in economia, della proprietà e della borghesia di stato? Cavalcamento della rivolta fiscale "anti-monopolista" e federalista di commercianti e simili, o sia pur cauta affermazione della necessità di disciplinare, oltre la classe operaia, anche gli anarchici strati sotto-borghesi? Destra liberal-conservatrice anglo-sassone (ma ce ne sono le condizioni?) o destra sociale populista alla "mediterranea"?

Né il Polo potrà continuare a lungo ad essere anti-statalista e spesso in modo dichiarato federalista al Nord, statalista e talvolta federalista, talvolta anti-federalista, al Sud. Insieme nordista e sudista, centralista e federalista, illudendosi che presidenzialismo o semi-presidenzialismo possano agire da attaccatutto di due o tre frazioni dell’Italia che, anche col concorso del Polo, si stanno muovendo in direzioni centrifughe. E, sempre in questo ambito, il Polo è per il collateralismo con la mafia praticato dagli Sgarbi, Majolo, Pannella e altri piccoli gangster in abiti politici o è invece favorevole, come partito d’ordine, a imporre dei limiti all’azione della criminalità organizzata in nome dei "superiori interessi dello stato", come emergerebbe dal dialogo Fini-Caselli?

Se poi, come sembra, il Polo imbarcherà anche la compagnia di ventura pannelliana, è inevitabile si riapra al suo interno anche il vecchio, frustro, ma mai tramontato conflitto tra clericalismo e laicismo, proibizionismo e anti-proibizionismo.

Ove a questi irrisolti contrasti politico-ideologici si sommasse una tale insostenibilità della posizione giudiziaria del Cavaliere da imporre traumatici ricambi (o un oggettivo vuoto) di leadership, la destra, che pure ha oggi dalla sua i torbidi umori anti-operai e anti-sinistra della gran parte dei ceti medio-piccolo borghesi accumulativi, verrebbe a trovarsi contingentemente in serie difficoltà.

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Difficoltà della borghesia

Queste difficoltà alimentano le speranze dell’Ulivo di poter, con le adeguate assicurazioni liberiste e soprattutto col freno imposto alla lotta operaia, essere designato dal capitale come il "più serio" rappresentante degli interessi nazionali, essendo la destra rissosa, inaffidabile, contraddittoria, estremista, etc. Speranze che in questa tornata elettorale parrebbero trovare un riscontro perfino più tangibile e incoraggiante che nel ’94. Ma che anche questa volta andranno, in breve tempo, sicuramente deluse. Per due ragioni.

La prima è che la grande borghesia sa molto bene che, quand’anche l’Ulivo fosse -e non lo è- più compatto della destra sulle questioni sopra ricordate, esso si porta dentro una contraddizione che è la più esplosiva di tutte alla distanza, la contraddizione del suo rapporto coi lavoratori. E per l’Ulivo dovervi fare continuamente i conti un certo modo, non può che provocare complicazioni e ritardi nell’applicare le terapie dettate dai mercati.

E’ vero che la borghesia ha sempre a sua disposizione non una sola, bensì due politiche, quella social-democratica e quella apertamente reazionaria. Ed è possibile che in via del tutto transitoria essa non possa fare a meno, come è successo con Ciampi e Dini, di cercare il sostegno o il consenso della "sinistra" ai propri governi, e perfino di accettarne la partecipazione subordinata in essi (altra è l’ipotesi-Noske, dell’attribuzione a essa dell’intiero compito di governo come ultima diga davanti alla rivoluzione proletaria montante; ipotesi oggi non certo all’ordine del giorno, e che vale: chiamare la sinistra "operaio"-borghese a schiacciare la sinistra rivoluzionaria per poi darle il benservito sostituendola con la più affidabile destra). Ma nella fase che si prospetta, le risorse per una politica social-democratica sono pressoché inesistenti. Ed è per questo che dovunque le borghesie imperialiste stanno affidando a governi di destra la gestione dell’economia e della società. Con la eccezione-Clinton a confermare la regola, essendo la sua una politica di centro (al più) in cammino verso destra, che dopo la sconfitta sulla riforma sanitaria (una battaglia non combattuta...) ha dismesso ogni velleità riformatrice.

La seconda ragione è che la grande borghesia sa che le debolezze e le inconseguenze della destra non sono altra cosa dalle proprie. E’ lei stessa a non avere una politica industriale; a non disporre di una vera, globale, politica estera; a rincorrere il federalismo dei piccoli; a non riuscire a decidersi a quegli affondi decisivi contro il proletariato che giudica ineludibili; a continuare a vivere alla giornata sulle stesse questioni istituzionali; in breve: a non avere ancora invertito il proprio declino, ad avere tutt’al più tamponato la situazione senza essere affatto uscita dall’emergenza.

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Ancora più a destra: a questo spinge l’oggettività!

Ed è proprio qui il punto decisivo. L’oggettività della competizione a coltello tra i grandi stati e i grandi capitali lascia sempre meno tempo, e sempre meno opzioni "alternative" al capitalismo nazionale. Se non vuole decomporsi in altrettante Slovenie, Croazie e Bosnie italiche, deve quanto prima e con quanto maggior energia possibile concentrare i propri sforzi per compiere quel salto di qualità nella aggressione al proletariato, all’interno e all’esterno, che ha abbozzato con gli Amato e i Berlusconi ma che, nonostante tutto, non ha ancora portato a termine. E questa oggettiva, ineludibile necessità dovrà imporsi sugli stessi ritardi ed inconseguenze della attuale destra, non come sperano gli allocchi (se tali sono) alla Veltroni per renderla più "moderata, pluralista e responsabile", bensì per trasformarla in una falange più coesa, autoritaria, militante ed "estremista" di quello che è oggi il Polo. E non si tarderà a capire per quale delle due classi in campo hanno guadagnato tempo i temporeggiatori alla Scalfaro, alla Dini, alla Ciampi così invisi alla destra. Con le dovute scuse a don Saverio e don Antonio per il raffronto, ci fanno venire in mente la funzione svolta dopo la prima guerra dai Nitti e dai Giolitti, così invisi alla destra da essere denominati "Cagoia" e il "bolscevico di Dronero", ma così utili ad essa...

La borghesia deve andare a destra. Sempre più a destra. Le insufficienze del Polo berlusconiano-finiano non annullano questa necessità, semmai l’esaltano. Quand’anche il Polo dov’essere uscire battuto dalle elezioni (ed è tutto da vedere), è con questo dato di fatto così spesso rimosso o edulcorato che la classe operaia dovrà fare i conti. Accettando lo scontro in campo aperto con il fronte borghese, e preparandosi per vincerlo!


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