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Segnali di ricomposizione: Usa...

E QUALCOSA SI MUOVE ANCHE
NEL MOVIMENTO SINDACALE


Se il black movement torna a farsi vedere, anche dal labor movement statunitense vengono segnali di una ripresa che va in direzione della riaggregazione del fronte proletario, con possibili sviluppi anche per il superamento dell’attuale scollamento tra i due movimenti.

Un segnale significativo viene dalla maggiore confederazione sindacale, la AFL-CIO. Il nuovo presidente eletto, lo scorso ottobre, J. Sweeney, si è imposto col programma di rilanciare l’attività di sindacalizzazione (anche nei settori marginalizzati: lavoratori dei servizi, minoranze etniche, donne), la rinegoziazione dei contratti, il ricorso allo sciopero, quasi del tutto assente nella vecchia direzione. Clinton ha subito messo in guardia il sindacato da un indurimento che, di fronte alla marea montante conservatrice, sarebbe "controproducente".

A scanso di equivoci chiariamo subito che rifuggiamo da due deformazioni opposte. L’una di chi vede in simili "svolte" un passaggio che per naturale evoluzione, senza necessità di rotture a fondo con queste direzioni e con le loro strategie, conduce alla ripresa del movimento di classe, ed è dunque pronto a offrire loro il proprio supporto "critico". L’altra di chi le ritiene l’ennesima manovra preparata a tavolino dalla borghesia per frapporre un ostacolo artificiale al movimento di classe altrimenti già rivoluzionario.

Cosa c’è dunque dietro la "svolta" della AFL-CIO?
E’ una prima, parziale reazione delle Unions -organizzazioni dell’aristocrazia operaia americana, bianca pressochè per definizione- alla crisi acutissima che sotto i colpi dell’offensiva capitalistica ne minaccia la stessa sopravvivenza.

Il tasso di sindacalizzazione complessivo -ormai al 10% nel settore privato (contro il 17 dell’ ’83 e il 35 nel ’50)- o la diffusione di permanent replacements (lavoratori fissi assunti per sostituire gli scioperanti) sono di per sé eloquenti. A questa strategia di distruzione del sindacato concorrono sia le tendenze "spontanee" allo sventagliamento del salario, alla deregulation del mercato del lavoro, alla sostituzione di posti di lavoro più tutelati con quelli precari e sottopagati nei servizi (mac-jobs), quanto le politiche sociali e del lavoro dei governi, Clinton non meno di Reagan e Bush.

Inoltre, le aspettative riposte in Clinton di mutamento sono andate del tutto deluse. Le timide promesse "riformatrici" clintoniane -assicurazione sanitaria obbligatoria, commissione "triangolare" per migliori relazioni tra lavoratori e imprese- sono completamente naufragate di fronte all’opposizione aperta e violenta delle corporations, della nuova destra repubblicana, nonchè a quella sorda di buona parte del partito democratico. La stessa politica sociale e del lavoro s’è dimostrata del tutto prona alle richieste del "mercato": non ha innalzato il salario minimo (fermo a 4,25$), non ha aumentato le risorse pubbliche per l’occupazione, ha continuato, invece, la politica di tagli al welfare, lasciandone, al più, ai repubblicani la primogenitura. Nel contempo promette a corporations e middle class ulteriori riduzioni delle tasse su redditi e capital gains. Su tutto, infine, il "colpo basso" assestato al sindacato con l’accordo Nafta contro cui l’AFL si era schierata, pur su posizioni scioviniste di difesa dell’aristocrazia operaia nordamericana.

Questo insieme di fatti ha costretto le burocrazie del più corporativo e sciovinista sindacato del mondo a marcare un passo oltre. Oltre il rigido decentramento aziendalista che aveva dato vita al peggiore esempio di concertazione corporativa col management, favorendo quella frammentazione che oggi si ritorce contro gli stessi settori "privilegiati" coperti dal sindacato. Oltre l’arroccamento a difesa dei settori "forti", dell’aristocrazia operaia, sovente sfociato nell’aperto sciovinismo anti-neri e anti-immigrati. Ma anche oltre la dichiarata "apoliticità", foglia di fico per coprire la rinuncia a rivendicazioni e azioni generali.

Da ciò consegue il mutato orientamento verso l’insieme del proletariato, fino agli strati più sfavoriti (neri, chicanos, donne), l'esigenza di allacciare legami organizzativi (e rivendicativi) coi lavoratori messicani da parte delle principali Unions altrimenti indebolite nella forza contrattuale dalle bassissime paghe delle maquiladoras (anche 1$ l’ora). E consegue altresì la presa di posizione dell’AFL a sostegno dei lavoratori francesi in lotta che si trovano ad affrontare, così la sacrosanta motivazione, "lo stesso attacco cui sono sottoposti i lavoratori negli Usa".

Ciò del resto si riconnette alle varie iniziative -dall’interno delle unions e appoggiate dalla nuova leadership AFL- che minacciano di costituire un Labor Party statunitense (v. Che fare, n. 34). Al di là della formalizzazione, più o meno prossima e accidentata, è un chiaro segnale che la necessità di una politicizzazione dell’azione sindacale è ormai "nelle cose".

Come si vede, nulla che si situi al di là dell’esigenza di una difesa un po’ più coerente delle condizioni immediate dei lavoratori. Ma quanto basta a rivelare una tendenza a lasciarsi alle spalle (in prospettiva) la difesa corporativo-"operaia" ancorata al quadro capitalistico interno e internazionale di predominio Usa sul mercato mondiale, ormai in chiaro declino.

Non si comprenderebbe la "svolta" in questione, se non connettendola alla spinta di fatti incontrovertibili e del bilancio che una parte della base sindacalizzata ne sta traendo tramite i più significativi episodi di resistenza operaia all’offensiva padronale. Dalle lotte della seconda metà degli anni Ottanta, soprattutto col grandioso sciopero dei minatori di Pittston nell’89, alla più recente ripresa di conflittualità in grandi gruppi e categorie (sciopero di 17 mesi alla Caterpillar, dei camionisti per il rinnovo del contratto, nel settore auto, pneumatici, trasporti, da ultimo alla Boeing di Seattle e Wichita e dei tipografi di Detroit) tra i lavoratori avanza la determinazione a contrastare l’avversario con mezzi che travalicano il conflitto aziendalistico. Non è solo una rinnovata energia militante di base, ma una presa di coscienza della necessità di indirizzare l’azione militante verso i lavoratori di altre fabbriche e sindacati, verso i non sindacalizzati, con appelli alla mobilitazione di massa, campagne di solidarietà per ribaltare sul campo la forza concentrata delle direzioni aziendali supportate dalle istituzioni statali e dalla violenta reazione di destra. Non è un caso che in queste lotte abbiano fatto capolino riflessioni sulla necessità di azioni generali fino a uno sciopero nazionale di tutti i sindacati.

Su questi presupposti si sta delineando tra le avanguardie più avanzate dei lavoratori un nuovo orientamento di base che si oppone alla cooperazione tra lavoro e management e al tradizionale business unionism (sindacalismo affaristico), per un’azione decisa verso i non organizzati e sul più ampio spettro delle questioni sociali e politiche (incluso quelle internazionali). Una tendenza che in prospettiva non potrà che rompere con le attuali direzioni sindacali e che, da subito, è costretta a scontrarsi con strategie e "regole" ormai inadeguate al livello dello scontro. Una tendenza che non potrà limitarsi al ristretto ambito sindacale, ma che è proiettata -quanto consapevolmente, oggi, non importa- nella direzione di un percorso politico da cui ci aspettiamo gradite sorprese.

Non inganni la debolezza -pur vera- delle tradizioni classiste e rivoluzionarie del proletariato nordamericano. Se è vero che negli Usa la classe, quanto ad autonoma prospettiva di potere, riparte dal più fondo degli abissi, è altresì vero che la sua rimessa in moto avviene sulla base di precondizioni oggettive (l’integrazione mondiale dal capitalismo, la profondità della crisi sociale e politica che esso incuba) tali da rendere possibile -mai spontaneamente, mai meccanicisticamente- un cammino di ripresa del proletariato "incredibilmente" serrato e maturo. Il riannodarsi oggettivo tra lotta immediata e lotta politica, tra ambito locale e ambito nazionale e internazionale, tra proletariato bianco e proletariato nero e chicano (la rivolta di Los Angeles ne è stata un’anticipazione), nonché, sul piano politico, tra la lotta alla destra capitalistica e lo svincolamento dai lacci e lacciuoli della "sinistra" liberal-roosveltiana è oramai nelle cose.

Siamo ora ai primi riflessi soggettivi, ancorché ovviamente contraddittori. Ai comunisti il compito di seguirli e indirizzarli in vista di quello che potranno diventare, mai solo o principalmente dal basso, allorché -come si esprime (l’Unità, 3.1.96) un operaio della Caterpillar all’indomani del lunghissimo sciopero- "la classe operaia, che è un grande gigante che dorme, presto si risveglierà".


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