[che fare 37]  [fine pagina] 

Segnali di ricomposizione: Usa...

LA LOTTA DEI NERI E’ RICOMINCIATA


Indice


La Million Men March ha rilanciato sulla scena il movimento dei neri americani, vera e propria minaccia non solo all’imperialismo americano, ma all’assetto dell’intero sistema imperialista mondiale, e con ciò della massima importanza per il proletariato. Contro di esso si è scatenata la propaganda borghese, dal suo punto di vista giustamente preoccupata. Ma sono riemersi anche, nel proletariato, tutti i pregiudizi (che la "sinistra" si incarica di rafforzare) che rendono difficile la "saldatura" tra lotta dei neri americani e proletariato bianco. Combattere questi pregiudizi è il primo, fondamentale, compito dinanzi ai comunisti e all’avanguardia di classe.

Il 16 ottobre scorso i neri americani hanno invaso Washington. Dopo le lotte degli anni 60/70,il loro movimento sembrava rifluito in una soggezione senza speranza all’oppressione razziale, dal che derivava anche un abbrutimento dell’intero corpo sociale. Ne ha scosso il torpore l’attacco su tutti i piani che un imperialismo, pur saldamente primo al mondo, ha dovuto scatenare contro il suo stesso proletariato d’ogni sezione e colore. Attacco affatto terminato, e a continuare il quale si candida una destra aggressiva e determinata, tanto nella versione politica dei Gingrich che in quella terroristica dei proliferanti gruppi nazisti e razzisti.

Scosso da tali scariche il corpo della popolazione afro-americana si è levato mostrando la sua potenziale enorme forza, facendo tremare polsi, cuori e cervelli della borghesia americana e mondiale, ma anche di tutti coloro che difendono il capitalismo sia pure nella -piissima- illusione di introdurvi qualche correttivo.

Nessun borghese o "riformatore del capitalismo" nega ragioni alla protesta dei neri. Ognuno ammette che la loro situazione sia peggiorata in ogni senso e vada ulteriormente peggiorando (disoccupazione, degrado dei ghetti, violenza della polizia, aumento dei neri carcerati, ecc.). Ognuno di loro ha, però, terrore che la lotta degli afro-americani devii dalla strada dell’integrazione, della "pacifica" -e sottomessa- richiesta di concessioni ai bianchi, per imboccare quella della "separazione".

La prospettiva dell’"integrazione" si è, tra i neri, indebolita, per frutto del suo bilancio: secoli di lotta non l’hanno minimamente realizzata, e oggi dal sistema economico, sociale e politico dei bianchi promana un’ulteriore pressione ad aumentare -in ideologie, programmi e fatti- il segregazionismo razziale, vera e propria colonna della potenza imperialista USA e della loro democrazia. La borghesia USA ha potuto, infatti, castrare ogni autonoma tendenza di classe del proletariato bianco, irretendolo nel suo sistema democratico e trascinandolo seco nella difesa dei suoi interessi imperialisti, anche grazie alle briciole elargitegli dei sovrapprofitti estorti agli afro-americani, in modo del tutto analogo a quelli estorti ai colorati di tutto il mondo.

La spinta "separatista" a Washington aleggiava sullo sfondo, non era apertamente presente. Ma il suo solo spettro ha fatto rizzare i capelli alla borghesia bianca, "buona" o "cattiva", e ai suoi inebetiti "correttori".

Gli strali sono stati lanciati, da consuetudine, contro il "capo": Louis Farrakhan, leader della Nazione dell’Islam, promotore della marcia. Ma con lui si volevano colpire tutti i partecipanti, e, soprattutto, "certe" linee di tendenza, presenti nella marcia e suscettibili di ulteriore sviluppo dopo di lei. Di Farrakhan s’è detto: razzista, anti-femminista, anti-semita e, per sovrappiù, sospetto complice dell’omicidio di Malcom X (altro capo dei neri, a suo tempo attaccato distinguendolo dalla massa...). Il manifesto (17.10), particolarmente livido, completa la caterva d'insulti sistemando anche l’islamismo: "Pescano dall’Islam. Oscurantismo e non illuminismo."

Sotto il rancore cova la paura degli effetti sconvolgenti che avrebbe sull’intero sistema imperialista la riscossa dei neri americani. Evento temuto, in ultima istanza, anche dagli "illuminati" (...dal bagliore dell’imperialismo). Noi, comunisti rivoluzionari, salutiamo, invece, senza remora o riserva alcuna, il ritorno sul campo di battaglia delle masse dei neri americani e ci battiamo anzitutto acchè il proletariato bianco respinga l’immagine che del loro movimento dà la borghesia all’unico scopo di tener gli uni in ostilità con gli altri. Col che hanno da rimetterci non solo i neri ma lo stesso proletariato bianco americano e mondiale.

 [indice] [inizio pagina] [next] [fine pagina]

Islam, arma di riscatto

I bianchi che sottrassero con la forza i neri all’Africa cercarono, per renderli schiavi in America (o per schiavizzarli colonizzando l’Africa), di cancellargli la memoria stessa della precedente condizione di progresso economico, sociale e politico dell’Africa (più lento di quello euro-asiatico, non per questioni di razza, bensì per le condizioni di sviluppo dei traffici, innanzitutto marittimi). Con ciò si puntava ad annullarne l’identità storica, sociale, culturale, religiosa, giungendo a imporgli, con la violenza, le proprie religioni. Molti schiavi provenivano da zone in cui si praticava l’islamismo. Ri-abbracciarlo equivale a riprendersi l’identità storica, di razza e di nazione. C’è anche un altro motivo. Malcom X lo spiegava così: "Sono musulmano perché è una religione che ti insegna occhio per occhio dente per dente. Ti insegna a rispettare tutti e a trattare tutti con giustizia. Ma ti insegna anche di tagliare il piede di chi ti pesta un piede. E io porto sempre con me la mia ascia religiosa."

Non mera rivendicazione di identità culturale, buona per il carniere degli antropologi, ma ricerca di una base ideologica per plasmare e unificare le forze in una lotta, dalla durezza inaudita, contro l’oppressione dei bianchi. Le religioni di questi insegnano all’oppresso a "mostrare l’altra guancia". Per difendersi dall’oppressore egli deve rifiutare quella logica, e cercarne un’altra che lo sostenga e l’aiuti nella lotta. Meglio se lo ricollega anche alle sue radici storiche e culturali. Radici razziali e nazionali? Certo! Di questo si tratta: oppressa e sfruttata è l’intera razza nera, al di là dello sparuto nugolo di parvenu ammessi alla middle class, e del pugno di individui accettati anche un po’ più in alto.

Quelli alla manifesto criticano l’islamismo dei neri opponendogli un "laicismo" tanto "relativista" da giustificare, al fondo, il sistema vigente, contro cui non opporre alcun "assolutismo", ma solo "laici" piagnistei riformistici. Odiano l’islamismo per lo stesso motivo per cui odiano il marxismo (cui, qui e là, ricorrono, sempre, però, rifiutando le sue coerenti conseguenze di lotta rivoluzionaria "assolutista").

Qualcun altro -più a sinistra- si pone un altra domanda: non sarebbe meglio che i neri invece dell’islamismo abbracciassero il marxismo? Sì, sarebbe meglio. Ma affinchè l’assumano come arma di battaglia occorre una "piccola" condizione. Il marxismo è la teoria e l’arma forgiata per e da il proletariato per la lotta contro il capitale e per il comunismo. La sua utilità va ben oltre il ristretto interesse di un’unica classe ed è in grado di risolvere l’insieme dei problemi dinanzi a tutta l’umanità, quindi anche quelli razziali. Ma esso rimane un prodotto di una classe determinata. Per diffonderlo a tutti gli altri sfruttati c’è bisogno che la classe che l’ha prodotto dimostri loro di essere veramente decisa ad assumere su di sé le loro istanze di riscatto, dimostri cioè di lottare risolutamente contro ogni oppressione, e, perciò, contro tutti gli oppressori. Sennonché, non solo il proletariato americano ed europeo oggi non lotta risolutamente contro gli oppressori suoi, dei neri americani e di tutti i popoli colorati, ma esso non fa nulla neanche per distinguersi dalla politica razzista degli oppressori borghesi, anzi viene da una lunga storia di suo stesso razzismo (interrotta solo nel periodo di effervescenza rivoluzionaria seguito al ’17 russo).

L’islamismo è un arma inefficace e incoerente nella lotta contro l’imperialismo, anche dal punto di vista anti-razzista, ma può essere superato dai neri solo se si realizzano due condizioni: radicalizzazione della loro lotta, che metta a nudo l’insufficienza dell’islamismo, e attivizzazione del proletariato bianco. Quando queste si sono date l’avvicinamento dei neri al marxismo è stato, persino, più facile e profondo di quello del proletariato bianco. Prova ne è tanto il -relativamente- grande numero di neri che aderirono negli anni ’20 al partito comunista americano, quanto la "scoperta" del marxismo fatta negli anni 60/70 da militanti neri come Malcom X e quelli delle Black Panthers.

Quei "comunisti" che si investono della missione di diffondere il marxismo tra i neri, pensino ad appropriarsene prima essi stessi e a impegnarsi a diffonderlo nel proletariato bianco, mirando anche a estirparne ogni razzismo. Senza ciò il rischio è di aggiungere solo argomenti contro l’islamismo, ovvero contro un’arma dei neri nella lotta, e si risolve, in definitiva, solo col portare acqua al mulino dell’avversario imperialista (ma, costoro considerano quello imperialista un "avversario"?).

 [indice] [inizio pagina] [next] [back] [fine pagina]

Donne, gay, famiglia, comunità

L’Islam serve, quindi, dare al corpo collettivo dei neri americani una testa unica, autonoma da quella che gli oppressori hanno cercato di trapiantarvi, e in grado di dirigere la lotta. Ma, assieme alla testa occorrono membra del corpo sane e forti per affrontare lo scontro. Ovvio, allora, curarne tutte le malattie: droga, criminalità, decomposizione della famiglia, "decomposizione" degli individui lasciatisi pervadere da abitudini (come l’omosessualità) che, dai neri militanti, vengono percepite quali abitudini decadenti dell’avversario.

Tutto ciò è presentato dai commentatori (difensori della supremazia bianca, ovvero del suo sistema capitalista) come un attacco alle donne, ai gay, come una ventata "conservatrice", che qualcuno ha persino assimilato a quella di Gingrich. Eppure non ci vuole molto a vedere che nessun nero richiede più intervento dello Stato e della polizia. Tutto al contrario, il programma è quello di mobilitare, di responsabilizzare a tutti i livelli tutti i maschi neri, perchè sono quelli che si sono lasciati coinvolgere di più dall’abbrutimento e dall’abbandono: devono essere loro a riscattarsi dal degrado, a mobilitarsi, a organizzarsi per difendere la propria comunità da tutte le malattie; altrimenti nessuna altra lotta di valore più elevato potrà mai significativamente darsi. Nulla di strano, dunque, che si inizi dal proprio individuo, dalla propria famiglia. L’assunzione di responsabilità è sì come individui, ma verso una comunità intera, verso una intera razza, che deve intraprendere una lotta asprissima. La Nazione dell’Islam si dedica da tempo a programmi di riabilitazione per prigionieri, drogati, alcolizzati e soprattutto per quei giovani delle gang di quartiere, che Farrakhan definisce "guerrieri nati per la lotta di vera liberazione". Oggi cerca di coinvolgere in essi tutti i neri, invitandoli a un impegno militante, e a darsi, per ciò, organizzazioni anche indipendenti dal credo religioso e dal sesso. A riprova della ricerca dell’unità di tutti i neri, a Washington c’erano fedeli di ogni fede e i loro rappresentanti hanno perorato dal palco una completa unità di impegno.

Dal palco hanno parlato pure alcune donne, tra le "parecchie" presenti. A dirlo è l’Unità (17.10). Il suo cronista alla velenosa domanda rivolta a un partecipante -che pensi del femminismo?- ha dovuto registrare un secco: "E’ bianco".

Al momento può apparire necessario, all’avanguardia del movimento dei neri, iniziare la mobilitazione partendo dal riscatto dei maschi, proprio perché quelli precipitati di più nel degrado individuale e sociale, ma -non v’è dubbio- che l’avvio di un movimento collettivo di lotta creerebbe le premesse per una massiccia (e quanto mai necessaria) scesa in campo da protagoniste delle donne, il che darebbe una spinta potente non solo al movimento generale, ma alla loro stessa lotta di reale liberazione dalla schiavitù razziale, di sesso e, soprattutto, dal capitalismo.

 [indice]  [inizio pagina] [next]  [back]  [fine pagina]

Razzismo "a contrario"

Per la razza oppressa riaffermare la propria identità è una condizione minima e irrinunciabile per dare vita a un reale movimento di lotta. Di essa fa parte anche l’"orgoglio nero", suscettibile per i critici bianchi di Farrakhan di divenire un "razzismo a contrario", rivolto, cioè, contro i bianchi, come i proclami del solito Louis contro ebrei e bianchi "subumani" confermerebbero.

Il razzismo che proviene dai neri è di una specie tutta diversa da quello dei bianchi. La diversità consiste nel fatto che i secondi hanno storicamente esercitato la violenza e l’oppressione -e le esercitano con sempre rinnovato impegno-, i primi le hanno subìte, e le subiscono. Il "razzismo degli oppressi" non è solo storicamente più che giustificato, esso è anche il primo, elementare (e perciò stesso inevitabile) passo per una vera lotta di liberazione dall’oppressione. Se esso non c’è, non c’è lotta per la libertà. Se manca la determinazione a lottare contro gli oppressori, ripagandoli del loro stesso odio e della stessa violenza, l’unica "uscita" possibile dall’oppressione è quella alla Zio Tom: "riscatto" individuale dalle condizioni più umili pagate al prezzo del più servile soggiogamento.

I comunisti sono incondizionatamente col razzismo degli oppressi e possono, a giusta ragione, dire con Bordiga: viva i colorati, soprattutto se xenofobi. Viva la loro lotta perché è la nostra lotta contro il capitale. Ma viva innanzitutto se è risoluta e coerente; e per esserlo non può che essere "razzista".

Ma, questo "razzismo degli oppressi", che mette nello stesso calderone borghesi e proletari, non scava un solco tra neri, popoli oppressi dall’imperialismo, e proletariato metropolitano? Non è, quindi, controproducente ai fini della causa dell’unità di lotta contro il sistema imperialista? Vale sull’argomento la stessa risposta data a proposito di "islamismo e marxismo". Non è questione di cosa debbano fare i neri o i popoli oppressi per "ingraziarsi" la simpatia del proletariato bianco, ma è esattamente -e soltanto- questione di cosa il proletariato bianco -e in testa la sua avanguardia comunista- debba fare per costruire l’unità di lotta con neri e popoli oppressi, senza chiedere preventivamente a loro di rinunciare a qualcosa, ma, al contrario, dimostrando di essere lui disponibile a rinunciare a quanto (poco, ma sempre tanto, se visto dal lato dei neri) lui stesso percepisce dei sovrapprofitti imperialisti. Dimostrazione che il proletariato bianco può dare solo in un modo: lottare risolutamente contro il sistema che produce ogni oppressione.

Il solco tra neri e proletari bianchi già esiste; è stato scavato dalla borghesia imperialista, con l’acquiescenza -se non la partecipazione- del proletariato bianco. Il "razzismo dei neri" non è altro che una denuncia della doppia oppressione di cui soffrono: una in quanto neri (da tutti i bianchi senza distinzione di classe), l’altra in quanto proletari (la quasi totalità). Col loro "razzismo" lottano contro la prima. Ed è già una lotta contro il sistema. Per vincerla hanno bisogno dell’alleanza col proletariato bianco. Questa può arrivare all’unica condizione che il proletariato bianco si risolva a farla finita con quel sistema, che sfrutta e opprime anche lui, e raccolga, di conseguenza, l’immenso aiuto che gli viene dalla lotta dei neri. Il "razzismo dei neri" è, quindi, a ben vedere, un vero e proprio appello ai proletari bianchi affinché facciano anch’essi la parte che gli compete nella guerra all’identico nemico. Proprio partendo da esso il movimento di lotta dei neri crea le condizioni per concludersi in una lotta solidale col proletariato bianco: la prima condizione è la lotta, qui e subito, dei neri; la seconda è che i proletari decolorati (anche grazie a quella lotta) si sveglino, tanto nell’appoggiare la lotta dei neri e di tutti gli altri popoli oppressi, quanto nel lottare "in proprio" contro il capitalismo.

Altro che scavare solchi, dunque! I neri americani, anche col loro "razzismo", iniziano a svolgere la loro parte -lotta per sé stessi- ma si incaricano persino di scuotere l’intero proletariato bianco. Di chi il ritardo? Di chi l’oscurantismo?

D’altre parte che il loro "razzismo" sia, fin d’ora, aperto alla solidarietà altrui (a condizione che...) è stato dimostrato, una settimana dopo la marcia, dalle ottime accoglienze di massa tributate ad Harlem -quartiere in cui qualunque bianco entra a suo rischio e pericolo- a Fidel Castro, a New York per il cinquantenario dell’ONU. Al di là della condizione politica attuale di Castro e di Cuba, i neri hanno visto in lui un bianco sinceramente schierato dalla loro parte, ben sapendo come a Cuba (grazie anche alla rivoluzione) esista l’unica società al mondo a maggioranza bianca in cui non vi sia traccia di razzismo contro i neri. (Per inciso, è certo che lo sviluppo di un movimento politico dei neri ben difficilmente consentirebbe -tanto per cominciare...- all’imperialismo yankee di continuare a stritolare Cuba).

Ciò detto, è facile comprendere anche il "razzismo" contro altre nazionalità a loro volta oppresse, o che hanno subìto delle oppressioni. Come potrebbero i neri non avere risentimenti contro quanti sfruttano la loro condizione di miseria e debolezza traducendola (come tanti ebrei, italiani, coreani, ecc.) in occasione di guadagni con affitti di case, i negozi nei ghetti, i lavori sottopagati?

 [indice]  [inizio pagina] [next]  [back]   [fine pagina]

Autodeterminazione

Poste le premesse del movimento, il problema è: per condurlo dove?

Nel programma della Nazione dell’Islam si legge: divieto di matrimoni intrarazziali, esenzione da imposte per i neri, scarcerazione dei detenuti di colore, scuole separate, un territorio per i neri che vogliono costituire uno stato indipendente. Questo il "separatismo" di Farrakhan.

Non è la prima volta che s’avanza nella storia del movimento dei neri americani la rivendicazione di "auto-decisione", di "auto-determinazione" politica, culturale, economica, fino a quella di uno stato indipendente. Ha un senso preciso: è la rivendicazione di indipendenza da parte di chi sente di essere una nazione oppressa, e, come qualunque popolo in lotta contro l’oppressione coloniale o para-coloniale, rivendica la sua auto-determinazione politica ed economica. La questione è semplice (e ben la colse la III Internazionale che, nel ’22, estese alla "questione nera" le Tesi sulla questione coloniale del II Congresso) ma suona invariantemente ostica a tutti i difensori della segregazione razziale ai danni dei neri. Clinton nel discorso contemporaneo alla marcia (ma... a debita distanza), per il manifesto (17.10) il "più bel discorso da quando è presidente" (!), ha tuonato: "non tolleriamo l’esistenza di due Americhe; dev’esserci solo un’America che obbedisce alla legge" (la Repubblica, 17.10).

Anche svariati "umori di sinistra" (compresi alcuni ultra-falsamente "ultra") storcono il naso difronte a tale "separatismo" proponendo il ragionamento (del tutto "sinistro" per le conclusioni scioviniste che evoca) che in tal modo, "separandosi", i neri si isolerebbero dalla lotta che l’intero proletariato deve condurre contro il capitalismo, togliendole energie e inimicandosi -di controbalzo- le simpatie proletarie. Questo ragionamento è basato sull’assunto che i neri dovrebbero riconoscere di essere sfruttati "come" tutto il proletariato (ossia allo "stesso modo", "alla pari"). Ciò cozza contro ogni senso della realtà ed è ben difficile da dimostrare ai neri che sanno di essere sfruttati ben di più, e ben peggio, di qualunque operaio bianco. Non solo, ma vedono anche come gli stessi operai bianchi non si distinguono in nulla dai padroni quanto ad atteggiamento razzista verso di loro.

Il proletariato bianco ha tutto l’interesse (in senso storico e immediato) a stringere col movimento dei neri americani una profonda unità di lotta contro l’imperialismo. Ma proprio per questo deve fare lui il primo solido passo verso i neri distinguendosi fino in fondo dal comune nemico borghese, separandosi dalla secolare politica che i bianchi (tutti) hanno condotto contro tutti i neri, e offrendo senza condizione la sua forza a sostegno delle rivendicazioni dei neri, disposto anche ad appoggiare la richiesta di auto-determinazione, se loro vorranno porla.

Se il proletariato bianco dimostrerà il suo completo appoggio alla lotta dei neri, allora può darsi che questi non arrivino neanche a rivendicare l’auto-determinazione, e si risolvano a far confluire da subito la loro lotta in quella più generale contro il capitalismo. Ma se quell’appoggio non arriva (e oggi non arriva) sarebbe del tutto naturale che la crescita di un movimento radicale dei neri ponga con forza quell’obiettivo. In tal caso i comunisti dovrebbero lavorare nel proletariato bianco affinché esso appoggi incondizionatamente la rivendicazione dei neri. Sarebbe questo l’unico modo per preparare un terreno di unità reale del fronte anti-imperialista.

Vacillerebbe, così, tutta la democratica potenza economica, finanziaria e militare del maggior paese imperialista del mondo, "in patria" e fuori, perché una ripresa del movimento dei neri avrebbe immediate ripercussioni in tutta l’Africa (e non solo), riprendendo -e su basi immensamente più solide- quella "internazionalizzazione" della "questione nera" che ha avuto già splendidi esempi negli anni ’60, col coincidere delle lotte anti-coloniali in Africa e dei neri nella metropoli americana.

 [indice]  [inizio pagina]  [back]  [fine pagina]

Colmare il vero ritardo: quello del proletariato bianco!

La polarizzazione delle classi, provocata dalla crisi generale del capitalismo, ha risospinto sulla scena le masse sfruttate dei neri americani. La marcia di Washington ha rivelato tutte le premesse per il consolidarsi di un vero movimento di lotta. I suoi capi ne hanno raccolto le istanze più elementari che vanno nel senso di consolidare i muscoli di un organismo che per rimettersi in moto deve combattere malattie devastanti. Sul dove vogliano condurlo non rilasciamo alcuna cauzione, non a motivo (lo abbiamo spiegato) del "razzismo" o dell’"antifemminismo", ecc., ma, piuttosto, per l’incoerenza, l’accennare a elementi di programma per poi abbandonarli o sfumarli (come Farrakhan nel comizio con le rivendicazioni "separatiste"), per il "legalitarismo" (che disarma un movimento costretto a misurarsi molto più di prima con attacchi a base di violenza del tutto legale o legalizzata), e, infine, per l’inclinazione al compromesso coi "bianchi", cioè, in buona sostanza, col capitale.

Ma al di là delle inclinazioni dei capi, le premesse per un serio movimento di lotta dei neri americani cominciano ad apparire tutte. Lo è la volontà di risanare la comunità, di unificarla, darle forza ed esercitarla. Lo è l’avvio di un processo di organizzazione politica. Lo sono gli elementi di programma che rifiutano la riproposizione del già fallito integrazionismo. Lo è lo stesso "razzismo" anti-bianchi. Se qualcosa manca è l’attenzione e la disponibilità del proletariato bianco, che non raccoglie l’appello di lotta che gli proviene dai fratelli colorati americani, come da ogni altra parte del mondo, e non si decide a dislocarsi sulle postazioni che gli competono nella lotta contro il capitalismo e l’imperialismo.

La messa in moto dei neri americani, se si conferma e si rafforza (e tutto lo lascia prevedere) darebbe un contributo potente -in prima istanza- alla ripresa delle lotte anti-imperialiste in tutto il continente africano, e, con questo, all’approfondimento dell’anti-imperialismo in tutte le aree del mondo sottomesse alla rapina imperialista, e non eviterebbe di esercitare la sua influenza anche sugli immigrati di colore in Europa. Essa può, insomma, essere la scintilla che riaccende l’ardore anti-imperialista delle masse oppresse e sfruttate di tre quarti di mondo, e sarebbe scintilla potentissima, perché provenendo dal cuore stesso dell’imperialismo, darebbe la dimostrazione che lo si può sconfiggere, e sarebbe una delle condizioni per sconfiggerlo: il suo indebolimento dall’interno. E, ogni colpo portato all’imperialismo è un colpo portato alla sua possibilità di "acquistare" il consenso del proprio proletariato, è la costrizione a riaprire, anche nelle metropoli imperialiste, uno scontro di classe radicale.

La messa in moto dei neri americani può, dunque, in ultima istanza, essere anche la scintilla che scuote lo stesso proletariato bianco dal suo torpore riformista (se non peggio). Non è un'astratta possibilità, ci sono tutte le condizioni che ciò si realizzi, il che non vuol dire: automaticamente avverrà. Occorrerà che il proletariato bianco accolga l’appello dei neri e di tutti i popoli oppressi, e si risolva a dar vita a una lotta senza quartiere contro il comune sistema di oppressione capitalista. I comunisti, tutta l’avanguardia di classe, hanno, in questo e per questo, un enorme e urgente lavoro da svolgere: a esso vanno dedicate tutte le forze. Questi sono i veri ritardi da colmare!


[che fare 37]  [inizio pagina]