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Vita e problemi di partito

DROGHE "LEGGERE" E MILITANZA COMUNISTA


Indice

Sostanze nuove, fenomeno vecchio

L’uso delle droghe "leggere" si sta diffondendo non solo nella massa del proletariato, ma anche nel cosiddetto milieu e nelle organizzazioni del movimento operaio "ufficiale". E’ un dato preoccupante. Ancor più preoccupante è la larga "tolleranza" che in tali ambiti incontra questo "costume": anche quei compagni che non lo incoraggiano o non lo praticano, il più delle volte lo considerano un’abitudine innocua, una semplice scelta privata. Per noi, comunisti organizzati nell’OCI, questa abitudine e la tolleranza che essa incontra a sinistra vanno invece combattute. Il perché e il come vanno combattute sono i due punti di cui vogliamo discutere in questa pagina, proseguendo così quella disamina del problema droga iniziata con un articolo di inquadramento nel numero scorso di questo giornale.

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Dimenticare e sopportare, o organizzarsi e lottare.

Cominciamo da una domanda: il consumo di droghe "leggere" da parte dei compagni è un’abitudine veramente innocua (o addirittura proficua)? Noi riteniamo di no. Le ragioni di questa nostra risposta possono essere comprese meglio se, per un momento, lasciamo da parte il discorso sui militanti proletari e prendiamo invece in considerazione la massa dei giovani "senza riserva". Lasciamo da parte anche il discorso sulle cause che spingono un numero crescente di loro a far uso di droghe "leggere"; su questo versante limitiamoci a fissare un punto: nel bisogno di canne si esprime il loro bisogno di "stare meglio", di sottrarsi alla "miseria materiale e spirituale" a cui li inchioda sempre più il capitalismo. Concentriamo invece l’attenzione sulle conseguenze politiche di questo fenomeno e chiediamoci: le droghe "leggere" aiutano le masse giovanili a combattere le cause del loro disagio?

Bisogna essere ciechi per non vedere che, al di là della volontà individuale di chi le fuma, le canne danno un aiuto in senso diametralmente opposto: danno una mano a dimenticare le miserie e le insicurezze prodotte dal capitalismo, e a continuare a sopportarle. Con la conseguenza di rendere più difficile alle masse giovanili incamminarsi sull’unica via che può permettere ad esse di affrontare i mali di cui soffrono: la lotta e l’organizzazione contro il mostro capitalista che li genera, la fusione della loro lotta e della loro organizzazione con quelle dell’intero proletariato. Per quanto riguarda la massa del proletariato, dunque, il consumo delle droghe "leggere" non è innocuo (e men che mai proficuo). E’ dannoso: concorre a disgregare l'esercito degli sfruttati e a comprimerne l’antagonismo; aiuta la borghesia a portare avanti l’offensiva antiproletaria in corso...

Ce n’è abbastanza, ci sembra, per concludere senza esitazione: gli interessi generali del proletariato esigono che tra le sue fila venga svolta un’azione contro l’uso delle droghe "leggere". A promuovere e portare avanti quest’azione non può che essere la sua parte più avanzata, il proletariato militante. Ma questi, e torniamo così al punto di partenza, può fare una cosa del genere, se tollera o incoraggia l'uso di queste sostanze tra le sue fila? Noi pensiamo di no. E non solo perché i militanti proletari non possono predicare in un modo e razzolare in un altro; non solo perché hanno il dovere di dare l’esempio. Ma anche per un altro motivo.

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I danni interni

L’uso delle droghe "leggere" nella massa dei giovani proletari può essere combattuto solo se il bisogno d'emancipazione che s'esprime in esso trova sul mercato (politico!) l’unico "bene" che può "appagarlo": la lotta del proletariato contro l’offensiva borghese e il capitalismo, la lotta del proletariato per il socialismo.

In questo momento un tale movimento di classe non è in campo. Ma non potrà mai tornarvi, se un’avanguardia fornita dell’adeguata prospettiva non gli spiana il terreno sin da ora. Cominciando a rimettere in piedi un programma e un'organizzazione di classe. Ed è proprio questo il compito cui è oggi chiamato il proletariato militante. Non potrà svolgerlo senza organizzare e disciplinare tutte le sue forze in funzione di esso. Su questa via, l'uso di droghe "leggere" tra le sue fila è un ostacolo.

Esse infatti dissipano le energie dei compagni, contribuiscono a forgiare in essi un animo debole, incapace di costanza e abnegazione; un animo esposto a ogni richiamo che proviene dalla "foresta" borghese. E se l’avanguardia del proletariato manca di fermezza e di spirito di sacrificio, come può svolgere quel lavoro metodico necessario per impostare la lotta contro l'uso delle droghe "leggere" nelle masse?

Ma un discorso analogo si può fare pari pari per tutti gli altri terreni di scontro tra borghesia e proletariato. Ad esempio: anche la lotta in difesa del salario o dell’occupazione ha bisogno di essere organizzata e guidata da un’avanguardia dotata di una adeguata prospettiva di classe; anche qui il consumo delle droghe "leggere" da parte dei compagni dà una mano... per la discesa.

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Il fondamento della morale comunista

Da queste limitate considerazioni emerge il criterio in base al quale diciamo che il consumo di droghe "leggere" nelle organizzazioni della sinistra è dannoso: è dannoso perché produce conseguenze negative sull’organizzazione e sulla lotta di classe del proletariato. Questo il solo metro di valutazione che come comunisti riconosciamo. Il nostro riferimento non è l'individuo, anche proletario, e l'inseguimento dei suoi appetiti individuali (come invece "suggerisce" la borghesia). Il nostro riferimento è la classe e la sua lotta. Per una ragione semplicissima: se ogni singolo proletario insegue il suo utile immediato, la massa degli sfruttati ci rimette le penne e chi tesse la tela è solo il capitalismo; il singolo proletario può difendersi dalla società borghese solo se ha la forza di farlo il proletariato come classe. E a questo, va tutto subordinato.

Quei compagni che contrabbandano come un’abitudine innocua o addirittura proletaria il consumo delle canne nelle organizzazioni della sinistra fanno evidentemente riferimento ad altri valori, che tanto proletari non sono: l’edonismo, il relativismo morale, eccetera. Questi valori possono andare bene per i rampolli della borghesia, ma non per la gioventù proletaria.

La loro classe, infatti, ha da un pezzo esaurito ogni funzione storica progressiva e ha come unico compito quello di impedire all’umanità di fare un balzo in avanti verso un sistema superiore di organizzazione sociale. I figli di papà hanno di conseguenza ragione a cercare morbosamente nuove emozioni o a precipitarsi nell'oblio: hanno ragione perché solo così possono allontanare la loro disperazione per il fatto che non hanno futuro dal punto di vista storico, solo così possono proseguire a svolgere l’infame ruolo di portare acqua a un mulino, quello capitalistico, che gira ormai in senso inverso agli interessi della specie umana.

Il proletariato però si trova in una condizione opposta. E’ una classe destinata a far nascere la società del futuro, quella comunista, ed è oggi chiamata a rimettere in pista le basi della propria lotta rivoluzionaria a partire dalle battaglie che il capitalismo la costringe a ingaggiare in difesa dei suoi interessi immediati. Il proletariato è una classe che sale, che ha il futuro nelle sue mani. Come tale, esso e la sua avanguardia attingono i loro più grandi impulsi nella lotta di classe per il pane quotidiano e nella prospettiva dell’emancipazione sociale. E’ in questa lotta collettiva, che richiede il massimo di organizzazione e di disciplina delle forze individuali, e solo in questa lotta che il proletariato e la sua avanguardia possono accendere le loro gioie e le loro passioni. E’ stato così per tutte le classi rivoluzionarie che hanno preceduto il proletariato nella storia. E’ stato così ad esempio per la borghesia, che in altri tempi si componeva di individui di tempra umana ben diversa da quella degli odierni polli di allevamento. E cosa dovrebbe fare l'avanguardia del proletariato, cioè l’avanguardia della classe rivoluzionaria della società borghese, dovrebbe dare albergo alla fiacchezza della volontà, alla rilassatezza e alla degenerazione dei costumi che infestano la classe conservatrice attuale e che essa diffonde in tutta la società per ostacolare la rinascita della lotta per il socialismo?

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Contro ogni forma di lassismo

Nel consumo e nella tolleranza delle droghe "leggere" da parte dei compagni si saldano, dunque, due elementi: da un lato un lassismo organizzativo, dall’altro un lassismo morale e ideologico. Ciascuno predispone il terreno all’altro e lo rafforza, in una spirale senza fine.

E’ un aspetto del più generale processo di sfarinamento che ha investito la sinistra, istituzionale o meno, la quale invece di rispondere al bisogno di partito che l’acuirsi dello scontro di classe sta facendo crescere nelle masse, si sta lasciando andare a una vera e propria deriva "nichilista". Ristrutturazione delle proprie organizzazioni in senso federalista; dissolvimento di esse all'interno di un partito d'opinione all'americana; rifondazione di un partito basato su una struttura informe di circoli autonomi...: tutto spinge in questo senso, e prima di tutto lo smarrimento di ogni pur pallida alternativa di sistema. I militanti proletari più coscienti devono lanciare un allarme su questa deriva e combatterla, anche nei suoi aspetti apparentemente più "innocui", quale quello relativo alle droghe "leggere".

Come parte di questa battaglia, noi dell’OCI ci posizioniamo al posto che da sempre compete ai comunisti e dichiariamo la nostra opposizione programmatica, di principio all’uso di ogni tipo di droga, comprese quelle cosiddette "leggere", da parte dei nostri militanti, come è ovvio, e dei compagni in genere. Questa posizione non ha niente a che vedere con il proibizionismo borghese, che è l’altra faccia (spesso ipocrita e sempre impotente a sradicare il fenomeno) dell’iper-produzione e dell’iper-consumo borghese di droghe. E’ salvaguardia e, se necessario, bonifica delle fila del movimento di classe, e delle sue organizzazioni prima di tutto, da abitudini, modi di pensare, "modi di essere" che ne offuscano l’antagonismo alla società borghese e ne minano il tono muscolare e la compattezza.

Questo compito non va naturalmente delegato a nessuna istituzione statale o borghese. Devono assumerlo su di sé i militanti proletari più coscienti come mezzo per organizzare meglio la lotta contro la società e lo stato capitalistici. Oggi come oggi non ci sono i "numeri" per un’azione a largo raggio su questo terreno, dato che essa richiede la scesa in campo della massa del proletariato. Sin da oggi va però preparato il terreno a una battaglia di questo tipo avviando nella parte più avanzata della classe una lotta senza quartiere contro la sottomissione all’ideologia e alle forme organizzative veicolate dal capitalismo: le compatibilità economiche, i cartelli elettorali (più o meno organici), il federalismo, ma anche il lassismo verso il consumo di droghe "leggere" da parte dei compagni.

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Liberarsi dal capitalismo e i suoi miasmi è possibile!

Ci rendiamo conto quanto sia oggi difficile per i militanti proletari, e sopratutto per i più giovani, sottrarsi al flusso della "corrente" che circola nella società borghese e di come essa eserciti pressioni moltiplicate proprio su di loro. Guai ad attribuire l’origine di questa realtà alle caratteristiche dei singoli compagni e a non intenderne le cause sociali e politiche! Questo elemento di analisi non deve, però, servire come scusa per subire le conseguenze di questa realtà, ma come guida per combattere meglio l’una e le altre.

Nessuna illusione, quindi, di poter stroncare la diffusione nel proletariato militante di un costume lassista verso le droghe "leggere" appellandosi allo sforzo individuale di ciascun compagno o ad impotenti ordini da fureria. Lo si potrà fare invece a condizione che l’avanguardia proletaria riacquisti la determinazione e la forza di battersi per la sua prospettiva di classe. La "sinistra" l’ha completamente cancellata pure dai comizi domenicali, e anche quelli che, occasionalmente, nominano il socialismo o il comunismo lo fanno in modo fumoso e, in ultima istanza, del tutto simile a un capitalismo (sempre meno) riformato.

Invece no: liberarsi dal capitalismo e da tutti i suoi miasmi è possibile. Questo è, per noi, il primo fondamentale punto di battaglia. Cui consegue, strettamente legato, il secondo: per liberarsi dal capitalismo occorre che il proletariato, e la sua parte più avanzata prima di tutto, proceda all’organizzazione di tutte le sue forze e le conduca nella lotta non in modo anarchico e spontaneista ma secondo un piano ben definito. E’ in questo lavoro collettivo che i compagni potranno liberarsi e corazzarsi dai "richiami della foresta" borghese. Il che a sua volta darà saldezza all’attività dell’avanguardia di classe, e, attraverso di essa, alla lotta di classe del proletariato.

La nostra lotta contro l’uso delle droghe "leggere" nelle fila del proletariato militante è dunque un momento di una battaglia politica più generale. E’ lotta per una prospettiva reale, concreta, possibile di liberazione dal capitalismo. Solido impegno organizzativo per essa.

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Sostanze nuove, fenomeno vecchio

Molte delle droghe oggi in circolazione sono nuove. Non sono nuove però le radici e gli effetti della loro diffusione nelle fila del proletariato. Ne parla già Engels, a proposito dell’alcolismo, nel 1845 ne La situazione della classe operaia in Inghilterra:

"Tutte le lusinghe, tutte le possibili tentazioni si uniscono per spingere gli operai all’ubriachezza. L’acquavite è per essi quasi la sola fonte di piacere, e tutto congiura per mettergliela a portata di mano. L’operaio ritorna a casa stanco ed esaurito dal suo lavoro; trova un’abitazione priva di ogni comodità, umida, sgradevole e sudicia; ha un acuto bisogno di una distrazione, deve avere qualcosa per cui valga la pena di lavorare, che gli renda sopportabile la prospettiva delle fatiche del giorno successivo; il suo umore depresso, insoddisfatto e ipocondriaco che nasce già dalle sue precarie condizioni di salute, soprattutto dalla cattiva digestione, viene spinto oltre i limiti del tollerabile dalle sue condizioni generali di vita, dall’insicurezza dell’esistenza, dalla dipendenza assoluta dai capricci del caso, dalla incapacità di fare personalmente qualcosa per dare sicurezza alla propria posizione; il suo fisico logorato, indebolito dall’aria viziata e dalla cattiva alimentazione, chiede prepotentemente uno stimolo dal di fuori; il suo desiderio di compagnia può essere soddisfatto solo in un’osteria, egli non ha assolutamente altro luogo dove incontrare i suoi amici; e con tutto questo l’operaio non dovrebbe sentire fortissima la tentazione di ubriacarsi, dovrebbe essere capace di respingere gli allettamenti del bere? Al contrario in simili circostanze esiste una necessità fisica e morale, per cui una grande parte degli operai deve soggiacere all’alcool. (...). Ma come è inevitabile che un gran numero di operai cada vittima dell’ubriachezza, così è anche inevitabile che l’alcool eserciti i suoi effetti distruttivi sullo spirito e sul corpo delle sue vittime" (Roma, Editori Riuniti, IV edizione, 1978, pp.152-153).

Questa rilevazione non è il brillante resoconto di un semplice giornalista. E’ uno studio di partito, da cui l’autore fa discendere conseguenze politiche ben precise. Trattati come bestie dal capitalismo, dice Engels, gli operai hanno davanti a loro due strade: o diventare realmente animali o utilizzare l’odio bestiale suscitato in essi dalla borghesia per ribellarsi contro di essa e il suo ordine sociale, e in questa rivolta ritrovare la propria umanità.


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