CONTRO IL RIARMO IMPERIALISTA

La ripresa degli esperimenti nucleari francesi non è passata sotto silenzio, nell'indifferenza generale: essa ha destato una certa attenzione nelle forze pacifiste, in alcuni settori della sinistra e nella piccola borghesia "progressista" e "democratica" che vi fa riferimento.

Lo consideriamo un fatto positivo, giacché anche noi comunisti organizzati nell'OCI riteniamo giusto combattere il riarmo nucleare avviato da Parigi e la tendenza alla guerra in cui esso si inscrive. Anche noi, quindi, siamo stati in piazza nelle manifestazioni di luglio. Anche noi saremo presenti, pronti a dare il nostro appoggio, a ogni sforzo di mobilitazione su questi problemi. Lo abbiamo fatto e lo faremo nell'unico modo per noi concepibile: indicando le vie attraverso cui questi sforzi possono favorire lo sviluppo di una reale battaglia contro il pericolo nucleare e la tendenza alla guerra. Il che ci fa essere -lo diciamo con franchezza- estremamente critici con l'indirizzo politico e di azione delle forze che hanno promosso le iniziative di luglio.

Innanzitutto sull'autolimitazione negli obiettivi, limitati, il più delle volte, alla sola messa al bando dei test nucleari e simili. Sono finiti i tempi in cui i pacifisti "coerenti" si spingevano fino alla richiesta del disarmo "unilaterale", esponendosi alle accuse di scarsa lealtà verso i valori occidentali. Forse perché, caduti (quasi tutti) i "muri", la soluzione al problema della pace si è fatta più vicina? Evidentemente no, e i fatti -dal Medio-Oriente alla ex-Jugoslavia- dovrebbero aver aperto gli occhi anche ai più illusi. Anzi, proprio per questo, il piccolo-borghese pacifista, alla disperata ricerca di un ordine interno e internazionale che sente sempre più traballante, fa considerazioni di questo tipo (consapevole o meno, non importa): visti gli "integralismi", i "fondamentalismi", gli odii, le dittature emergenti nel mondo (leggi: a Sud e a Est), una mossa come quella francese rischia di mettere in forse il "pacifico" controllo delle tensioni internazionali da parte delle nazioni democratiche e di rinfocolare così le velleità "sovversiviste" dei paesi arretrati. Dunque: sì alla missione civilizzatrice dell’Occidente, ma possibilmente con mezzi dissuasivi e non fomentatori di ulteriori tensioni. I test nucleari francesi -prosegue il nostro- "ci" tolgono di mano una carta da utilizzare, ad esempio, per far pressioni su un paese come la Cina che ancora osa resistere all’onda espansiva della democrazia occidentale (il conto delle violazioni dei "diritti umani" da presentarle nella campagna che già sta montando rischia così di avere una voce in meno!). Cina che non a caso i solerti attivisti di Greenpeace hanno individuato (su procura di chi?) come prossimo obiettivo delle loro attenzioni. (Con il Manifesto che rincara la dose e titola il 17 agosto in prima pagina: "Repubblica nucleare cinese").

Alla base di tutto ciò sta l’assoluta cecità delle forze pacifiste di fronte all’ordine imperialista e ai suoi meccanismi (economici e militari) di rapina - anche laddove se ne percepiscono le conseguenze o addirittura su di esse ci si mobilita. Giammai il minimo dubbio che il militarismo crescente segue direttamente l’acuirsi dello scontro commerciale tra le potenze imperialiste e tra queste e i paesi dominati del Sud e dell’Est, è un portato necessario, inevitabile del capitalismo che, con l’approfondirsi della sua crisi, è entrato in una nuova fase di spartizione del mondo! Giammai il dubbio che le questioni sul tappeto abbiano una natura di classe e conseguentemente soluzioni tutt’altro che imparziali, bensì appunto di classe e che gli appelli ai cittadini di buona volontà sia-no, nella migliore delle ipotesi, illusori, comunque devianti rispetto agli interessi in campo.

Non ne facciamo una colpa ai nostrani, sempre più wojtyliani pacifisti (la cui buona volontà del resto vediamo all’opera nelle vicende jugoslave). Quello che preoccupa (senza stupirci) è che una griglia non dissimile caratterizza anche l’impostazione di una forza come Rifondazione Comunista che ha la pretesa di fungere da polo di riaggregazione "antagonista", "di classe" del movimento dei lavoratori. Rifondazione rivolge un appello anti-Chirac all’opinione pubblica mondiale (!) senza rifuggire dal guardare con favore le prese di posizione antifrancesi di altri governi (disinteressate?). Come se non fosse proprio il Gotha dei paesi imperialisti -Usa in testa, G. Bretagna, Germania, Giappone, Italia, oltre la stessa Francia- a condurre la tendenza al riarmo, dalle armi convenzionali a quelle nucleari, con la ristrutturazione degli eserciti e dei sistemi d’arma, con la vendita di armi ai paesi del Terzo mondo nell’ottica del divide et impera, con la preparazione e la realizzazione (altro che "simulazione") di rinnovate aggressioni militari tipo Guerra del Golfo e "Balkan storm". Rifondazione critica il governo italiano, a nome dei "cittadini italiani", per non aver operato efficacemente contro la scelta francese, invece di denunciarne la natura di classe al servizio degli interessi dell’Italia imperialista (pacifica?). Non fa alcun riferimento al nostro soggetto di classe, ai lavoratori qui e in Francia, e alla prospettiva di una lotta comune, internazionalista contro le rispettive borghesie. Meno che mai fa una denuncia a fondo dell’ordine imperialista mondiale e del riarmo come figlio del capitalismo. Anche i pochi accenni in questo senso - il solito, buon Manisco ha parlato al riguardo di preparativi, di marca non solo francese, in vista di future lezioni da impartire con armi atomiche tattiche ai popoli ribelli del Terzo mondo - aprono a indicazioni pratiche confusive e assolutamente pericolose come quelle del boicottaggio dei prodotti francesi da portare avanti con quei governi e quelle organizzazioni a cui sta a cuore il destino del genere umano! Una campagna il cui unico effetto può essere quello di accorpare gli operai francesi sugli interessi della Francia imperialista e di deviare i lavoratori italiani dalla lotta contro il proprio governo, contro la propria borghesia - se è vero che con essa possiamo alla fin fine avere interessi comuni per una battaglia comune in nome dell’Italia... e della pace! E la sorpresa di Bertinotti nei confronti della propria base che non avrebbe opposto resistenze alla "singolare" iniziativa -che, se fa felice lui, preoccupa molto noi- la dice lunga sul grado di aberrazione politica cui può condurre la mancanza di una prospettiva internazionalista di classe. Dovremo poi vedere su questi lidi le classiche lacrime di coccodrillo allorché la destra "sociale" -che tanto si dice di voler combattere- si approprierà in senso esplicitamente sciovinista, a difesa della nazione, di questi germi che la sinistra ha contribuito a immettere in seno alla classe operaia?

Altra è la via per opporsi al crescente militarismo imperialista. Essa passa per una lotta senza quartiere contro le forze sociali, politiche e militari che sono artefici del riarmo, forze che non dobbiamo andare a cercare in Francia, perché esse sono all'opera anche qui e sono i "nostri" padroni, il "nostro" governo, i "nostri" stati maggiori: eccolo il nostro nemico principale nella lotta contro la guerra!. Una lotta che passa, inoltre, per la messa sotto accusa di tutte le multiformi manifestazioni della corsa verso la guerra, prima fra tutte l'aggressione imperialista in atto contro la ex-Jugoslavia. Passa attraverso la messa in campo di mobilitazioni di massa e degli idonei strumenti organizzativi, politici e di lotta. Passa attraverso il superamento degli steccati nazionali, per collegarsi alle iniziative di lotta degli altri paesi. Passa attraverso l'allargamento del fronte di lotta alla classe operaia, l'unico soggetto che può fermare la corsa alla guerra, in quanto essa è l'unico soggetto che può rovesciare il mostro capitalista che la genera.

Sappiamo bene che la classe operaia è oggi in grave ritardo sul terreno della mobilitazione contro la guerra. Chiunque voglia realmente far avanzare la battaglia contro di essi, deve adoperarsi sin da oggi affinchè si pongano le basi per superarlo: il che non significa solo denunciare tra le fila proletarie il riarmo e i preparativi di guerra, ma congiungere questa denuncia con la battaglia per scindere (in ogni circostanza) gli interessi della classe operaia da quelli dell'imperialismo nostrano, e per farla schierare contro le necessità capitalistiche della crisi.

Solo seguendo questa via le iniziative contro il riarmo potranno inserirsi in quel più ampio contesto di lotta anticapitalista che solo può permetterne il successo.