REFERENDUM TV:

CAMBIARE TUTTO PER NON CAMBIARE NIENTE

Indice


Non è detto che alla fine si andrà a votare sui referendum in materia di regolamentazione televisiva. I risultati delle ultime elezioni amministrative hanno momentaneamente indotto nel Polo delle Libertà elementi di sbandamento. Nonostante gli strepitii di Berlusconi è possibile che si vada ad un accordo dell’ultima ora, anche perché dallo schieramento progressista vengono segnali di "comprensione" e di disponibilità per non "infierire" sull’avversario momentaneamente in difficoltà.

Ma cosa cambierà un accordo tra i contendenti o un esito positivo della votazione referendaria?

Nel caso venga impedito a qualunque privato di detenere più di una rete televisiva nazionale, Berlusconi dovrà rinunciare a due delle sue reti.

Va subito detto che con i moderni sistemi di ingegneria societaria esistono mille ed un modi per aggirare un simile impedimento, così come già avviene nel caso della rete Italia 7, formalmente indipendente ma di fatto controllata da Berlusconi. E’ quanto già avviene con la carta stampata, dove l’ex Giornale di Montanelli figura di proprietà del fratello di Berlusconi e quindi non appartenente alla Fininvest. Esistono inoltre una miriade di Tv e di giornali locali formalmente non appartenenti alla Fininvest ma in realtà ad essa legati a doppio filo che sono delle vere e proprie truppe d’assalto del Polo, al cui cospetto Emilio Fede diventa un esempio di informazione imparziale.

Berlusconi intanto sta già trattando con i maggiori proprietari europei di catene televisive per attuare uno scambio di partecipazioni societarie che servano a conservare le quote di pacchetti azionari in mani amiche ed assicurarsi così il controllo di fatto delle rispettive reti televisive nazionali.

Ecco un esempio di come la legislazione borghese in materia di antitrust ha più o meno lo stesso effetto del tentativo di catturare un uccello mettendogli il sale sulla coda.

Non si spiegherebbe altrimenti perché gli Usa, comunemente ritenuti il paese a legislazione antimonopolistica più numerosa e restrittiva, siano contemporaneamente la nazione con la presenza di concentrazione e centralizzazione capitalistica più forte del mondo, del perché le multinazionali ed i monopoli più importanti hanno la loro base in questo paese.

Ma, ammettendo per un momento di riuscire a togliere realmente a Berlusconi due delle tre reti nazionali attualmente controllate, quali sarebbero i benefici per l’informazione?

Le mistificazioni e la confusione seminate dalle forze progressiste in proposito sono senza fine.

La prima di queste riguarda l’assunto secondo cui ad una pluralità di proprietari corrisponde una pluralità di soggetti che renderebbe più "libero" e "democratico" il settore informativo. Secondo tale teoria, una molteplicità di soggetti diversificherebbe l’offerta di informazione televisiva, mettendo l’utente in condizione di poter scegliere, obbligando di conseguenza le varie reti ad una concorrenza, attualmente inesistente, tale da far migliorare la qualità generale del prodotto televisivo nonché l’obiettività dell’informazione. Abbiamo già visto come ad una pluralità di soggetti formali possa corrispondere una unicità di proprietà sostanziale. Ma, chi potrebbero essere questi "nuovi soggetti" interessati ad entrare nel campo televisivo? Chi ha il capitale iniziale con cui impiantare o acquistare una rete televisiva nazionale? A noi oltre agli Agnelli, ai Debenedetti, ai Pirelli, ai Benetton, ai Cecchi Gori, e via dicendo, non vengono in mente altri potenziali investitori.

Se ne sono accorti anche quei campioni di obiettività come Santoro e Costanzo quando hanno provato a dare vita al progetto di Telesogno, destinato a rimanere tale nonostante il consenso di opinione riscontrato. Ne ha dovuto prendere atto anche un reazionario come Montanelli entrato in rotta di collisione con il vecchio padrone quando ha cercato di mettere in piedi un proprio giornale, finendo entro breve tempo sotto le grinfie del capitale finanziario che non aveva nessun interesse a mantenere in vita una Voce stonata, anche se pienamente interna al coro del fronte borghese.

Qual è il vero monopolio da combattere

Quindi: pluralità di quali soggetti e per fare cosa? Proprio la carta stampata può aiutarci a capire meglio un simile scenario (notiamo di passaggio che, nonostante in questo settore non vi sia il problema dei limiti di frequenze disponibili, ciò non ha impedito che i monopoli si diffondessero come in campo televisivo senza nessuno che si sognasse di sollecitare norme antitrust). I grandi giornali a tiratura nazionale possono forse essere presi ad esempio di informazione obiettiva? Forse le istanze proletarie trovano spazio, se non per essere deformate, nelle pagine di questi quotidiani? O forse la grande quantità di settimanali scandalistici e pseudo-informativi fanno alzare il livello della qualità dell’informazione? Questa è la dura realtà dei fatti con cui fare i conti e che si riprodurrebbe identica nel settore televisivo anche in presenza di un maggiore pluralismo di soggetti. Tutto ciò dipende dalla funzione strategica svolta dall’informazione nella società capitalistica. Per i padroni questo non è solo un settore in cui fare profitti, esso rappresenta anche un terreno per creare consenso intorno ai propri interessi di gruppo, ma soprattutto intorno ai propri interessi di classe. Questo è il vero monopolio che nessuna legislazione antitrust o "democratizzazione" potrà cambiare fino a quando esisterà l’appropriazione privata dei mezzi di produzione, ossia il capitalismo.

E’ questo il motivo per cui le istanze proletarie non riescono ad emergere dal mare di notizie con cui siamo subissati, se non quando il movimento di lotta diventa così imponente che sarebbe controproducente ignorarlo e quindi conviene utilizzarlo, sia per fare "audience" che soprattutto per cercare di incanalarlo verso la conservazione sociale. Due esempi recenti a tale proposito: il movimento di lotta contro i tagli alle pensioni di Berlusconi e il rifiuto degli operai di Termoli dell’accordo sul sabato lavorativo. Apparentemente nel primo caso abbiamo avuto una mole enorme di informazioni in "presa diretta", ma sempre inserita in un contesto che doveva servire a dimostrare la necessità di mettere comunque mano alle pensioni per risanare l’economia nazionale e per rassicurare i "mercati internazionali" eretti a giudici supremi ed insindacabili di questa urgenza obiettiva. Nel secondo caso vi è stata una esagerata amplificazione della vicenda con una campagna diffamatoria nei confronti dei lavoratori Fiat dipinti come egoisti e tesa a scatenare contro di essi l’Opinione Pubblica; il tutto senza che mai una volta questi operai potessero esprimere il proprio punto di vista.

E’ per questo che dai giornali alla televisione tutta l’informazione riguardante gli islamici e gli altri popoli oppressi in rivolta hanno sempre un chiaro sapore razzista e mira palesemente a far schierare i proletari delle metropoli in maniera sciovinistica. E’ veramente impressionante vedere come i mezzi di informazione, quelli di sinistra quanto quelli di destra, quando trattano informazioni internazionali che riguardano gli interessi nazionali hanno una omogeneità spaventosa.

Il mercato globale delle comunicazioni

D’altro canto, a proposito di monopoli, è ridicolo non accorgersi che oramai sul piano internazionale esistono 3 o 4 agenzie di informazione multinazionali che coprono l’intero globo in maniera monopolistica e che spesso sono l’unica fonte a cui anche i grandi organi di comunicazione possono accedere per avere notizie. Inutile dire che tali notizie vengono filtrate e confezionate a seconda degli interessi imperialistici che stanno dietro queste agenzie(1).

E, qual è la tendenza in materia di produzione di programmi televisivi? Stiamo assistendo ad un accentuato processo di concentrazione internazionale con l’affermazione di alcuni gruppi in grado di produrre programmi "scientifici", di fiction e di intrattenimento da piazzare sui vari mercati nazionali. Potremmo avere quindi anche una pluralità di soggetti proprietari di diverse reti nazionali che però vanno ad acquistare i programmi che trasmettono presso un unico supermercato internazionale. Già oggi i programmi alla "Quark", le telenovelas, i telefilm, i cartoni animati (e tra poco persino i programmi a quiz) che vediamo in televisione, sia pubblica che privata, sono nella maggior parte acquistati presso queste grandi imprese produttrici internazionali.

Se non bastasse ciò, il rapido sviluppo delle tecniche di trasmissione rendono la discussione concentrata sui monopoli nazionali veramente patetica. Le trasmissioni via satellite e l’integrazione telefonia-televisione che rappresentano due campi di immediato sviluppo nel campo delle comunicazioni, saltano con un solo balzo la questione dei limiti degli spazi di frequenza disponibili e la questione del massimo di reti nazionali ammissibili per ogni singolo gruppo. Di fronte alla creazione di un vero mercato mondiale delle comunicazioni ogni tentativo di regolamentare su base nazionale la creazione di monopoli rivelerà ancora di più la sua inconsistenza. In questo senso, sia pure pro domo sua, Berlusconi ha perfettamente ragione, da un punto di vista borghese (che è però lo stesso da cui partono i suoi avversari), quando denuncia il rischio che con lo smantellamento del suo monopolio si possa affermare un monopolio ancora più forte da parte di gruppi finanziari internazionali con un effetto di colonizzazione ulteriore in un settore così decisivo per la difesa degli interessi collettivi del capitalismo nazionale.

Mass-media/utente: rapporto a senso unico?

Per completezza del ragionamento va notato che proprio quel tanto di influenza che la scelta degli utenti della televisione ha sull’offerta dei programmi contribuisce a farne peggiorare la qualità. Troppo spesso si assolutizza il potere dei mezzi di comunicazione nell’affermare valori e modi di pensare, nella capacità di "imporre" la propria merce di informazione e di spettacolo.

Si finisce così per immaginare un corpo sociale buono, deviato e plagiato da una informazione distorta. La realtà è un poco più complessa. La Gente, il Popolo, a cui ama richiamarsi certa sinistra, ma gli stessi proletari vivono in un mondo pervaso dal modo di produzione capitalistico, in cui l’ideologia ed i valori spontaneamente dominanti non possono che essere quelli borghesi. Anzi, più si è costretti ad affrontare le relazioni sociali da individui isolati, più si vive una condizione di sofferenza e di emarginazione, maggiore diventa il bisogno di immedesimarsi nei valori della classe dominante, maggiore diventa il bisogno del mito e del sogno che permetta di evadere dalla propria condizione immediata.

Con buona pace dell’intellettuale "un sacco alternativo", quando i giornali scandalistici vendono milioni di copie raccontando le vicende sentimentali dei residui dell’aristocrazia mondiale o delle star del cinema, non è solo perché impongono la loro merce, ma perché di quel prodotto c’è una grande richiesta spontanea e popolare. Una televisione per il grande pubblico, anche ammesso che possa sfuggire al controllo del grande capitale, se vuole avere "audience" deve anche assecondare i gusti del pubblico: non li determina solo, ma ne è anche determinata, a misura beninteso che i gusti del suo pubblico sono determinati dall'insieme dei rapporti sociali borghesi.

La vicenda delle reti di Berlusconi è esemplare al proposito. Esse hanno acquisito fette crescenti di mercato puntando sulle telenovelas, sui quiz alla Mike Bongiorno, sui programmi del tipo "Complotto in famiglia", ed hanno incontrato un tale successo di pubblico, nonostante fosse disturbato da fastidiosissimi spot pubblicitari, che la Rai ha dovuto seguirle a ruota mettendo in cantiere una programmazione che a tutti i livelli replicava quella della Fininvest.

Attenzione quindi ad esaltare la possibile pluralità di soggetti come la soluzione di tutti i mali, poiché nella migliore delle ipotesi potrebbe non cambiare niente, mentre nella peggiore potremmo assistere a qualcosa di ancor più nauseabondo dell’attuale offerta televisiva. In ogni caso non avremmo una informazione più favorevole agli interessi proletari.

Basta riflettere sulle caratteristiche dei programmi gestiti dai vari Santoro o Costanzo, spesso indicati come esempio di Tv più ricettiva delle problematiche sociali e più aperti verso il mondo dell’emarginazione e dei proletari. I programmi di questi signori sono stati tra quelli che hanno contribuito a dare spazio ad organizzazioni come la Lega o la Rete di Orlando, quando si trattava di contribuire a demolire il vecchio regime a base democristiana-socialista e raccogliere consensi proletari per la costituenda Seconda Repubblica. Le trasmissioni di Santoro hanno introdotto un populismo televisivo a cui nemmeno Berlusconi aveva avuto il coraggio di ricorrere. Inoltre, le poche volte in cui vicende di resistenza operaia hanno avuto accesso a simili trasmissioni esse sono state trattate alla stregua di campagne per la protezione di specie in via di estinzione da indicare alla benevolenza dei padroni, zittendo brutalmente o cercando di ridicolizzare chiunque, sia pure per battute, tentava di affermare posizioni coerentemente classiste. In breve, esse sono state un potente veicolo per propagandare la necessità della collaborazione di classe, per affermare la necessità di subordinare la difesa degli interessi degli operai alle compatibilità nazionali, per affermare l’urgenza di un risanamento sulla pelle di quegli stessi proletari che si faceva finta di blandire. In conclusione: la legislazione nel campo dell'informazione potrà anche cambiare; non ne cambierà la sostanza, ossia gli interessi cui essa è centralizzata e la funzione che continuerà a svolgere.

Che fare contro il Grande Fratello?

Domandiamoci prima: fin dove arriva il potere del "Grande Fratello"? Fino a istupidire totalmente i proletari? La risposta è un secco no. I media non hanno affatto il potere di cancellare la possibilità dell'emergere della coscienza di classe. Essi possono apparire, all'osservatore superficiale, come la causa della passivizzazione delle masse in periodi in cui le masse sono passive per altri e ben più fondati motivi strutturali. Ma non possono impedire né controvertire il loro ritorno all'attività politica.

Non è una certezza ideologica. Ha le sue prove provate. La più recente? Le lotte di autunno: il possesso di tutte le TV nazionali e il loro impegno militante al suo fianco -con scarse eccezioni- non ha preservato il governo Berlusconi dalla reazione di massa alla sua finanziaria. Un canale alternativo, ignoto e ignorato da video e stampa, ha funzionato -tramite sindacati e partiti di sinistra- da amplificatore delle notizie delle lotte e diffusore dei loro obiettivi.

La lotta di classe, infatti, rimane il principale mezzo di controinformazione in mano ai proletari, e più essa è vasta e radicale più costringe gli stessi mezzi di informazione a doverne prendere atto, sia pure nel tentativo di utilizzarla contro gli stessi operai.

Il coinvolgimento nella lotta di un settore quanto più vasto possibile di proletari e la presenza di radicate organizzazioni proletarie in fabbrica e sul territorio sono, inoltre, gli unici strumenti che possono scuotere la passività degli altri proletari, risvegliarne la coscienza di classe, dare forza a quei per mezzi di informazione che vogliono rappresentare il punto di vista proletario e comunista intorno agli eventi della società. Certo per il momento le possibilità di diffusione di un punto di vista di classe coerente sono limitate ad un settore di avanguardia della classe, ma la circolazione in esso delle posizioni rivoluzionarie è un elemento fondamentale per una ripresa della lotta di classe che veda protagonista la massa del proletariato.


Note

(1) A tale proposito può essere interessante il libro scritto da Claudio Fracassi per Avvenimenti dal titolo "Sotto la notizia niente" che riporta alcuni dati circa il moderno confezionamento delle notizie sul piano internazionale e la loro diffusione, insieme ai casi più clamorosi di creazione o deformazioni di eventi (i morti di Timsoara, la guerra del Golfo, Jugoslavia etc.).