Ripubblichiamo in questa pagina ampi stralci di un articolo sui referendum promossi da Pannella e soci (tra i soci c'era anche tale Bossi) pubblicato sull'ultimo numero del Che fare, e dedicato in particolare al referendum sulla delega sindacale. Al momento di andare in stampa (18 maggio) non si sa se il referendum si terrà o meno. Una cosa, però, è praticamente certa: quand'anche dovesse tenersi, vi arriveremo senza neppure uno straccio di mobilitazione operaia, né dei proletari iscritti al sindacato, né di quelli non iscritti.
La responsabilità di questa non esaltante situazione ricade per intero sulle direzioni sindacali (e politiche della sinistra). Esse non hanno voluto dare una vera e propria battaglia che avrebbe necessariamente coinvolto, in un modo o nell'altro, milioni di lavoratori, per il timore di contribuire a riaccendere lo scontro di classe, di rompere quella "tregua" inaugurata col governo Dini, che ha già prodotto il bel regalo della contro-riforma delle pensioni. Pur davanti ad un attacco alla "sindacatocrazia" che, dopo l'accordo sulle pensioni, si è fatto ancor più incalzante, le direzioni di CGIL-CISL-UIL hanno, per disinnescare la mina-referendum, volutamente scelto il "basso profilo", ossia l'indietreggiamento ed il patteggiamento istituzionale davanti e dietro le quinte (con il quale tendono, tra l'altro, a darsi forme di finanziamento indipendenti dalla stessa delega e che ancor più consolideranno un ruolo istituzionale del sindacato, se non creeranno addirittura una sua dipendenza dai mercati finanziari).
E', ancora una volta, una scelta dannosa per la classe operaia, che ha interesse a rispondere in modo attivo e non elettoralistico all'aggressione capitalistica diretta a colpire la propria organizzazione sindacale. Poco importa se, per speculari difficoltà, anche la mobilitazione reazionaria è andata a rilento. L'esistenza di contrasti e di titubanze in campo avverso avrebbe dovuto e potuto essere sfruttata a nostro vantaggio (è evidente che non ci riferiamo alla conta dei "si" e dei "no").
Essendo venuta meno anche l'ipotesi che descrivevamo nell'articolo come il "meno peggio", è chiaro che -allo stato attuale delle cose- non avrebbe senso prender parte a dei comitati che dovessero esser messi su all'ultimo momento per mero impulso dei burocrati sindacali, proprio perché, per le circostanze in cui essi nascerebbero, non potrebbero avere alcun reale connotato di massa, né esprimere alcuna petizione per la rivitalizzazione di classe del sindacato. Le due condizioni a cui subordinavamo la nostra partecipazione ad essi.
Sotto questo profilo, quand'anche non dovesse tenersi il referendum, i promotori hanno già segnato un punto a loro favore. La loro campagna anti-sindacale, è certo, proseguirà e si intensificherà comunque. Per la classe operaia, invece, questa è stata un'occasione di battaglia perduta. Se ne tragga insegnamento per il futuro.
I referendum di Pannella e Lega (fatti propri da FI e AN) rappresentano un serio tentativo di attivizzazione militante di tutte le forze borghesi in senso schiettamente e violentemente anti-proletario. Lo spirito delliniziativa referendaria può essere così sintetizzato: raccogliere varie (anche contraddittorie) spinte promananti da diversi settori borghesi e amalgamarle sulla base di un autentico odio anti-operaio. Tale spirito permea lintero "pacchetto referendario". (...)
Lo scontro incombe, i capi sognano la "tregua".Lattivizzazione militante e di "massa" del fronte borghese è ancora solo in fase embrionale e si scontra con intralci di vario genere, non ultimo una certa, ancora diffusa, riluttanza a scendere direttamente in campo. Ma ciò non autorizza affatto una sottovalutazione del fenomeno.
Il trionfo elettorale del "Polo" del marzo '94 ha evidenziato un vasto consenso di ceto medio e borghesia a una politica più esplicitamente anti-operaia, espressosi in una delega "a fare" rilasciata a Berlusconi. Il duro scontro sociale sulla finanziaria e l"inattesa" capacità di lotta del movimento operaio, hanno, però, iniziato a mettere in luce che per portare con successo radicali affondi contro il proletariato non è sufficiente limitarsi alla "delega". Per il capitalismo nostrano -anche nella variante federalista- si fa (suo malgrado e non senza "rimpianti" per i "tranquilli tempi passati") sempre più pressante la necessità di promuovere, sul piano politico e sociale, la mobilitazione militante e "popolare" di tutti i ceti borghesi.
Pannella interpreta, rispetto a quella esigenza, un vero e proprio ruolo di avanguardia. Panni che riveste da sempre, contro il credito concessogli in passato (solo?) da "sinistra". La sua iniziativa avanguardista deve fare i conti, però, con le dislocazioni di "retroguardia" ancora diffuse nella sua stessa classe. (...)
Le titubanze della destra vanno incontro ai desideri di "sinistra" e sindacati di disinnescare la "mina" con una nuova normativa in materia. Il contenuto peggiorativo (per i lavoratori) delle nuove leggi, è certo. Ci spiegheranno poi che è meglio cedere qualcosa per non rischiare di dover cedere tutto...
Referendum e questione sindacaleSe anche le "manovre" in atto evitassero i referendum, la classe operaia non sarebbe giustificata a non preoccuparsi di quanto avviene. La campagna della destra sui temi referendari è già avviata nei fatti, e produrrà i suoi effetti anche su eventuali nuove leggi "disinnescanti".
In particolare, il referendum sulle trattenute sindacali è un cavallo di battaglia per cercare di scatenare una canea contro il sindacalismo confederale. Lobiettivo è indebolire CGIL-CISL-UIL presentate come organizzazioni che beneficiano di una particolare tutela da parte delle aziende e dello Stato, che contrasterebbe con una realtà in cui più niente e nessuno deve essere "assistito". Queste condizioni di favore garantirebbero, per Pannella & co., una sorta di "obbligo" dei lavoratori ad aderire ai sindacati confederali, dando vita, così, alla "sindacatocrazia", lo "strapotere" sindacale esercitato, al fondo, contro i lavoratori stessi e contro le masse di ceto medio, costrette a "finanziare" -sempre secondo P.&co.- indirettamente questo potere a loro alieno e contrario.
Labrogazione della norma non costituirebbe, di per sé, un dramma , in quanto sarebbe aggirabile con la contrattazione sindacale. Ma una vittoria dei "sì" darebbe corpo allesistenza di un forte fronte anti-sindacale in grado di procedere oltre nelloffensiva e in grado di fornire un supporto utile alle varie categorie imprenditoriali per elevare le loro capacità di resistenza alle imposizioni "sindacatocratiche".
Le"amorevoli", libertarie e liberiste attenzioni di questi signori hanno come unico scopo quello di acuire in sommo grado le difficoltà di CGIL-CISL-UIL in quanto esse rappresentano ancora unorganizzazione "generale" di lotta del proletariato e mirano, in ultima istanza, a distruggere la capacità di tenuta e resistenza unitaria del movimento operaio.
Non cè dubbio alcuno che la classe operaia debba rispondere difendendo la sua possibilità di organizzazione dagli attacchi che le vengono portati. Per organizzare nel miglior modo la difesa bisogna, anzitutto, comprender bene la natura dellattacco, poi, disporre le proprie batterie nel modo più consono a impedire la sconfitta, ma anche vittime nel proprio campo. Esaminiamo più nel concreto la questione.
In origine le quote sindacali erano raccolte nei luoghi di lavoro dai "collettori", non semplici esattori, ma tramite politico tra "base" e struttura sindacale. Nel secondo dopo-guerra si passò al sistema della delega data alle aziende di riscuotere le quote direttamente dal salario per conto delle organizzazioni sindacali. Quel passaggio comportò un affievolirsi del rapporto diretto tra burocrazia sindacale e massa. Nello stesso tempo che si affermava il sistema "delega", il sindacato accentuava la sua sottomissione alle esigenze delle aziende e del capitale in generale, nonchè a quelle dello Stato.
Lelemento-"delega" e quello dei contenuti della linea sindacale, marciano allunisono. Non è lelemento "formale" della delega a causare lassoggettamento del sindacato ad aziende e Stato. Ma la "delega" -in quanto facilitazione al finanziamento del sindacato- è un riconoscimento, un premio che la borghesia concede alle burocrazie sindacali per il loro impegno a stemperare lantagonismo di classe, e uno stimolo a "migliorarsi" su quella strada.
Per le burocrazie e per il "riformismo" la "delega" rappresentava una dimostrazione della possibilità di costruire un sistema stabile di "mediazione" degli interessi di classe operaia e capitale. Col tempo, e con la crisi del capitalismo, quel sistema ha cominciato a mostrare crepe crescenti. La "mediazione" ha spazi sempre più limitati. Per prorogarne lesistenza i sindacati hanno accettato un progressivo indebolimento delle loro stesse "capacità" contrattuali. Ma il declino verso una sempre più spinta moderazione non è in grado di saziare la fame borghese e di salvare il sistema di "mediazione". Al contrario, più i sindacati arretrano, più la borghesia li sospinge nellangolo, fino ad accarezzare lidea di un loro drastico ridimensionamento. E quanto si propone il referendum, non tanto per leffetto diretto, quanto per quelli ulteriori cui punta la campagna che è in grado di suscitare "contro il sindacato".
Si tratta, dunque, di un vero e proprio attacco politico contro la classe operaia. Non un attacco isolato condotto da qualche avventuriero che rifiuta di comprendere lutilità "per tutti" di un sistema di composizione permanente del conflitto sociale. Ma un momento di un attacco più generale portato nellinteresse della borghesia ai livelli esistenti di organizzazione del proletariato. Perciò, quando un Bertinotti afferma "Non lo considero un referendum anti-sindacale, ci penserò a come votare" (Il Giornale del 18/1/95) dimostra di non aver minimamente compreso la portata dello scontro.
Non basta difendere lesistenteBisogna, ora, chiedersi quale è la risposta da dare. Sgombriamo subito il terreno da una interpretazione di falsissima "sinistra", di quanti gioirebbero per un successo dei "sì", col motivo che la scomparsa della "delega" affrancherebbe, di per sé, i sindacati dalla subordinazione al capitale. Abbiamo già spiegato come non sia stato lelemento formale "delega" a produrre quella subordinazione. La sua scomparsa non provocherebbe alcuna inversione di rotta: ben altre sono le cause della sottomissione al capitalismo dei sindacati, del riformismo, della stessa coscienza immediata della classe operaia. Senza aggredire quelle cause, e se la classe operaia non ha la forza e la determinazione di farlo in piena autonomia, il puro mutamento degli aspetti formali è a tutto diretto vantaggio dellavversario di classe.
Ma, detto ciò, è necessario domandarsi se è sufficiente -contro la profondità dellattacco- limitarsi a una risposta sul solo terreno elettorale e che punti solo a congelare lattuale situazione. Decisamente "no", e lesperienza degli ultimi due decenni sta lì a dimostrarlo senza possibilità di dubbio.
Da quando la borghesia ha bloccato il trend ascendente delle "concessioni" al proletariato e ha dato avvio alla lunga e ininterrotta teoria di "rimborsi" di quanto gli aveva ceduto, i sindacati hanno dimostrato tutta la loro inadeguetezza a difendere il proletariato dagli espropri. Questo è avvenuto perchè essi ritenevano inevitabili tutti quei cedimenti utili ad aiutare le imprese e leconomia nazionale a parare i colpi della crisi. Per di più, lesperienza fin qui fatta non fa emergere dallinterno del sindacato alcuna volontà di "cambiare rotta", anzi allorizzonte sannunziano altri "cedimenti".
Una semplice difesa del sindacato esistente è, di conseguenza, controproducente: non è con esso che la classe operaia potrà risalire la china, o, semplicemente, organizzare una difesa reale, senza ulteriori arretramenti. Ma la questione non è di involucri, di forme, bensì di contenuti, di linee politiche. E da lì che deve, obbligatoriamente, partire una risposta che sia allaltezza dellattacco borghese. La borghesia vuole indebolire i sindacati attuali per distruggere ogni possibilità di organizzazione autonoma di classe. Il proletariato per difendere la sua possibilità di organizzazione, deve difendere i sindacati attuali, ma lo può fare solo accentuandone i caratteri di classe, con tutto ciò che ne consegue in quanto a critica delle sue attuali organizzazioni.
Una critica svolta da avanguardie, delegati, gruppi operai, ma, soprattutto con liniziativa di massa. Lo stesso movimento contro la finanziaria di Berlusconi ha fornito un esempio di come questo si possa concretizzare. Sia quando sono stati gli operai a iniziare la lotta, trascinandovi dentro anche i sindacati, sia quando dal movimento sono emerse, nei modi "appropriati" a non dar spazio allavversario, le critiche allindirizzo cedevole dei sindacati. Con ciò non si è determinata una svolta radicale della linea sindacale -nè si riuscirebbe mai a far "svoltare" le teste degli attuali capi-, ma si è delineato un, per ora tenue, percorso di "riappropriazione" del sindacato, ossia di attivizzazione diretta e "in proprio" delle masse. Questa è lunica vera risposta allattacco borghese, tanto se si diriga a "riconquistare" di forza gli attuali sindacati, quanto a costituirne di nuovi -sotto la spinta delle masse e non come un "prima" senza e fuori da esse-.
Attivizzazione di classeSono questi i contenuti che porteremo allinterno di una eventuale risposta operaia e sindacale sul piano referendario. Il terreno referendario, con la chiamata ad esprimersi di tutte le classi sociali su questioni che riguardano la classe operaia, non è, evidentemente, il nostro terreno preferito, e non è il terreno più agevole per la stessa classe operaia. Ma non ci imbarazza affatto dire che, ove la parte più attiva del proletariato si astenesse anche da questa minima risposta difensiva, per non disturbare la manovra di DAlema verso il centro o quelle del condottiero Prodi, questo renderebbe non più agevole, bensì più difficile, lo sviluppo anche solo di un embrione di autentica, compiuta risposta di classe allattacco anti-sindacale.
Noi, quindi, ci auguriamo che il proletariato risponda attivamente alla provocazione pannelliana, non limitandosi allimpegno individuale a depositare nellurna la propria scheda con il "no", ma dando vita spontaneamente, o per impulso dei settori sindacali più avvertiti, a dei "comitati per il no" per intervenire direttamente nella campagna. La costituzione di tali comitati non potrebbe che avvenire nellambito della mobilitazione elettorale, e, in questo senso, sarebbe per i comunisti del tutto inutile farsene promotori. Ma, nel contempo, costituirebbe la base minima da cui potrebbe partire una risposta più ampia. Una volta costituitisi, senza in nessun modo identificarci con essi, ci lavoreremmo dentro, e assieme, perché la loro risposta si allarghi e vada in profondità oltrepassando la mera difesa dell"esistente" ed il mero livello della mobilitazione elettorale.