Jugoslavia

IMPANTANAMENTO DELLA GUERRA
E SPIRAGLI DI PACE
(SE I "POPOLI", LA CLASSE,
SAPRANNO FAR SENTIRE LA LORO VOCE)

Indice

Aria croata


Lo smembramento della Jugoslavia appaga, per il momento, gli appetiti occidentali. Ma le repubbliche secessioniste misurano nelle proprie economie in pezzi le delizie dell'"indipendenza" sotto tutela occidentale. Proprio le contraddizioni sul fronte interno -non ultima quella di una risorgente opposizione sociale- hanno spinto la Croazia a nuovi incoerenti soprassalti bellici. Intanto, si comincia a parlare di "ritorno alla Jugoslavia"...
E mentre l'Italia tenta di recuperare il terreno perduto giocando la carta istriana, l'informazione nostrana scopre -a comando- i crimini croati. Su questo terreno la "sinistra" (senza esclusioni) trova sostanziali convergenze con AN e Lega...

E’ da anni (da assai prima che la guerra guerreggiata scoppiasse) che mostriamo come quel che succede in Jugoslavia non possa spiegarsi con "fattori endogeni" a sé isolati né tantomeno con un’improvvida "irrazionalità" della storia, dell’Uomo (il pitecanthropus balcanicus, nella fattispecie), secondo quel che suggeriscono borghesi ed "estremisti" rancidi, ma dipenda direttamente dai meccanismi oggettivi del capitalismo imperialista "globale" e dalle manovre soggettive dei suoi centri metropolitani. Il che non esclude, naturalmente, il gioco di fattori interni, una volta che ne siano chiariti i margini di "autonomia" nel quadro complessivo e complicazioni degli avvenimenti tali da sfuggire alla volontà degli operatori esterni (anzi: questa è una regola, marxisticamente, perché le borghesie, anche le più consumate, possono "volere" quel che loro meglio aggrada, ma non possono dominare il corso degli avvenimenti, per sua natura anarchico, in pace e in guerra).

Occorre tener bene presente questa impostazione per orientarsi di fronte agli ultimi avvenimenti.

Smembramento della Jugoslavia e appetiti occidentali

Richiamiamo, innanzitutto, i fatti. La Croazia approfitta degli ultimi scampoli di tregua coi ribelli di Knin e, scavalcando facilmente il colabrodo della "copertura" ONU, sferra un feroce attacco contro di essi, riconquistando a prezzo zero parte dei territori perduti, esibendosi nel solito repertorio ustascia di efferatezze infinite contro popolazioni inermi. La lama croata affonda nel burro: i "miliziani" serbi catturati (a parte quelli fatti fuori) altro non sono che dei contadini col fucile sulle spalle impreparati all’attacco, nella loro ingenua fiducia d’aver trovato infine una sistemazione pacifica della questione, almeno provvisoria. Loro, i croati, la cosa l’avevano invece preparata per bene, già da mesi predisponendosi al macello, con l’Occidente pronto a rifornirli di armi ed istruttori militari in cambio di sostanziose opzioni sull’apparato produttivo del paese.

Non diremmo, però, che quest’offensiva sia stata, nella fattispecie, impulsata dall’Occidente, dalla Germania in primo luogo, come agli esordi della "guerra d’indipendenza". La questione è un tantino più complessa.

Con lo smembramento della Jugoslavia e la ridefinizione degli spazi d’influenza da esso lasciati liberi per l’Occidente il risultato più importante poteva già considerarsi acquisito. La Slovenia veniva a trovarsi direttamente sotto l’ombrello tedesco (con lo sbaraccamento, tra l’altro, della precedente forte presenza italiana), la Croazia -pur "amputata", o proprio perché tale- idem, mentre per la Bosnia si andava delineando un’"equa" ripartizione per pezzi tale da escludere di per sé la tanto proclamata "integrità" del paese, e la Macedonia veniva affidata alle speciali cure degli USA, ivi dislocati in armi. Una situazione provvisoria, certo, ma che non era nell’interesse di nessuna delle parti imperialiste in causa estremizzare all’immediato, pur lasciando la porta aperta a tutte le future "prosecuzioni" del conflitto, sino a toccare la Grecia, la Turchia e... poi si vedrà. La rimonta russa in atto opponeva degli ostacoli insormontabili, al momento, ad un’operazione di sfondamento ad Est, in particolare per la Germania, primo partner dell’ex "paese dei Soviet" (e con gli USA costretti a "defilarsi"). Al tempo stesso, un eccessivo appoggio agli scherani "islamici" di Izetbegovic si sarebbe rivelato controproducente, introducendo nell’area fattori esterni difficilmente controllabili. Di conseguenza: questo impantanamento cronico della guerra poteva andar benissimo così come stava, in attesa di propizi passaggi futuri, dissanguando ulteriormente le popolazioni locali senza spostare al momento i rapporti di forza tra loro.

Da questo punto di vista crediamo che l’offensiva croata, che pure era nell’ordine delle cose, non sia stata direttamente dettata dalla Germania (il discorso è, probabilmente, diverso per gli USA) e l’abbia, anzi, trovata "sorpresa" e scarsamente disponibile -per ragioni, ovviamente, che nulla hanno a che fare con preoccupazioni "pacifiste". A tal punto che ad essa è poi stato imposto ad uno stop.

Perchè la nuova offensiva croata

L’iniziativa, quindi, parte abbastanza direttamente dal regime croato, per proprie necessità.

Perché? Perché, con la raggiunta "indipendenza" sotto tutela straniera, la Croazia sta vivendo momenti difficilissimi. L’economia è a pezzi (e... i pezzi migliori sono già stati ceduti al capitale "amico"). Insieme, vi è la frustrazione dei nazionalisti per una sovranità dimezzata (con un terzo del territorio in mano ai serbi e la sacca erzegovese impedita a ricongiungersi alla "madre patria" secondo il sogno della "grande Croazia"). Non solo: una regione vitale quale l’Istria (con, in più, la zona quarnerina) si mostra sempre più ribelle nei confronti dell’"oppressione centralistica" di Zagabria, guardando ad una propria indipendenza non più solo amministrativa. E, in questo quadro desolante, la protesta di classe rialza la testa, contesta a Tudjman la doppia servitù cui essa è sottoposta, di un capitalismo interno pappone e della colonizzazione capitalistica esterna.

L’avevamo preannunziato: non basta imporre in Croazia dei propri quisling, perché questi stessi saranno costretti dalla situazione ad agire di testa loro all’occorrenza, rivendicando -dopo essersi venduti- una propria capacità d’indipendenza anche di fronte ai loro tutori.

La ripresa delle ostilità da parte croata è stata determinata precisamente dalla necessità di dare una risposta ai mai sopiti rivendicazionismi nazionalistici, d’imporre con la mobilitazione bellica una briglia d’acciaio alla risorgente lotta di classe ed agli "autonomismi" interni di tipo istriano. Queste necessità determinanti hanno mosso Tudjman, e, in mancanza di contropartite inattuabili, nessuno dei suoi padri-padroni poteva farlo desistere.

Gli è andata, almeno, dritta? Tutt’altro, ed anche questo era scritto. Le manifestazioni di protesta operaia sono state sì provvisoriamente bloccate dall’"emergenza bellica", ma non sopite e pronte a ridivampare più forti che mai. Dissidenti ed incerti sono stati obbligati alle armi, ma senza riuscire ad imporre ad essi un sacro fuoco bellico (ché, anzi, il numero dei disertori e dei rifugiati all’estero aumenta vertiginosamente). I regionalisti autonomisti sono stati messi con le spalle al muro per un attimo, ma col risultato di attizzarne ancor di più il rancore e la volontà "secessionista" (ci si immagini la reazione degli istriani che si vedono compromessa la stagione turistica dai cui proventi in larga percentuale dipendono!). La stessa popolazione di Zagabria non può non avvertire nelle bombe serbe di risposta il segno di una fragilità del "proprio" potere, incapace a risolvere "sino in fondo" la questione sul terreno bellico. Cresce, infine, la frustrazione nei confronti dei "protettori" occidentali, tanto bravi ad annettersi spazi economici croati ed altrettanto "incapaci" di dare una mano alla "reintegrazione" alla Croazia dei territori perduti.

Una somma di contraddizioni, anche contrastanti tra loro, ma che insieme minano alla radice il regime di Tudjman e i suoi tardivi ed incoerenti soprassalti bellici. In tale contesto crescono vuoi la sfiducia nella soluzione bellica vuoi l’opposizione ad essa.

Dopo la Jugoslavia... la Jugoslavia?

Troviamo sintomatico di ciò questo passo, alquanto... sibillino, del fiumano Panorama del 15 marzo: "Ed ecco che in proposito si sta facendo avanti, non sappiamo come, una ipotesi di soluzione della crisi nel segno di... dopo la Jugoslavia la Jugoslavia. Se ne fanno mallevadori politici e storiografi, per i quali al punto in cui le cose sono giunte, non ci sarebbe altra scelta che "il ritorno sui propri passi"".

"Noi amaramente a questa eventualità non ci crediamo", aggiunge l’articolista. E non ci crediamo neanche noi, se la si pone come un puro e semplice "ritorno sui propri passi". Per affermarsi, la ricostituzione della Jugoslavia non può passare attraverso una riedizione del passato affidata alle cancellerie ed ai vecchio-nuovi apparati politici tradizionali, e neppure può concepirsi come un semplice problema "interno", da risolversi nel chiuso dei confini jugoslavi. Crediamo però che se delle voci di classe sapranno levarsi nell’attuale marasma contro le "proprie borghesie nazionali" e contro la borghesia imperialista e se ad esse saprà congiungersi una consonante voce di classe nelle metropoli potremo assistere a "sorprendenti avvenimenti". Un tale armamentario, lo sappiamo, va ricostruito ex novo in quanto direzione del movimento, ma, lo sappiamo altrimenti, i materiali di essa già esistono, affondando, dialetticamente, nella stessa tradizione di lotta pan-nazionale ed antifascista che ha costituito il lievito (bloccato e deviato) del "titoismo" e nell’irriducibilità dei popoli jugoslavi, che da esso deriva, a prestarsi passivamente ai giochi dell’imperialismo occidentale.

Nel prossimo numero del giornale, o in altra sede se del caso, daremo dettagliatamente conto dell’emergere in Croazia di un’opposizione di classe che si manifesta in una crescente coesione e centralizzazione delle neonate forze sindacali (le sigle principali sono cinque, ma fra di esse, per intanto, si è già stabilito un "coordinamento" o "fronte unico"), nel superamento dell’ottica aziendalistica e localistica, nel moltiplicarsi delle azioni di sciopero e nel ritorno in piazza di un antifascismo che, per forza di cose, non può limitarsi a richiami nostalgici al passato. Testardamente, a questo vincoliamo le nostre prospettive per il futuro della regione. (E, in questo, se non siamo del tutto soli, poco ci manca; il che ci pesa, pesa sulla classe, ma non ci crea alcun complesso...)

Qui di seguito volgiamo lo sguardo alle ripercussioni della situazione nell’"ex"-Jugoslavia sui fatti di casa nostra perché l’intreccio davvero si fa sempre più stretto e chiama ogni forza sociale e politica nostrana ad una maggior "responsabilizzazione"; ciascuna in consonanza con i suoi interessi, le sue prospettive.

Crimini scoperti a comando

Improvvisamente, oggi e in Italia, si scopre che l’esercito croato non solo è anch’esso, ma soprattutto esso è colpevole di crimini contro l’umanità.

Dopo anni di bombardamento sui crimini solo serbi (per i quali non si è andati a denunziare i fatti reali, certamente esistenti, com’è di regola per ogni fronte di guerra, ma si sono inventate panzane grand-guignolesche degne delle fantasie più malate), dopo che si sono chiusi volontariamente gli occhi sui crimini croati contro i serbi già in fase prebellica (ignorando le voci di denunzia che pur venivano dalle residue trincee libere della stampa croata stessa), ecco che oggi si "scopre" la verità, anche quella retrospettiva (fin dove serve). Così, Il Piccolo di Trieste, già a suo tempo specializzato in bubbole a senso unico antiserbo, dà notizia il 4 maggio di un rapporto dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici presentato a Londra in cui si può leggere: "Le forze croato-bosniache si sono macchiate dei più terrificanti crimini di guerra commessi in tutta le ex Jugoslavia... Le analisi e le informazioni sulla guerra tendono a ignorare il ruolo che i croati hanno avuto nella distruzione della Bosnia-Erzegovina. E’ uno strano caso di negligenza, dato che i più sanguinosi combattimenti nella repubblica hanno avuto luogo fra mussulmani e croati... (fatto) per lungo tempo semplicemente ignorato dal mondo esterno, specialmente dalla Germania e Stati Uniti, i paesi sul cui aiuto conta la Croazia" (tanto per dire quanto la "negligenza" in questione non sia affatto uno "strano caso"). E, per la prima volta, in occasione della recente offensiva croata, buona parte della nostra stampa "scopre" che i croati non scherzano in fatto di criminalità e si dà (sia pur con prudenza) notizia di essi, dopo averli per anni accuratamente occultati.

Ma guarda un po’! Se i responsabili dell’informazione si fossero rivolti a noi, poveri diavoli, senza dover aspettare i rapporti di Istituti Internazionali, o semplicemente si fossero trovati sul posto rispettando la propria "deontologia professionale", anziché farsi passare le veline (e persino i servizi "documentari" TV) da Zagabria e poi condirle con un proprio sovrappiù di colore, certe cose le avrebbero viste ben prima. "Meglio tardi che mai", si dirà. Niente affatto, perché le "verità" presenti non sono meno carognesche delle falsità e dei silenzi passati.

"Onestà professionale" o stizza italiota?

Quand’anche l’informazione ci desse una descrizione veritiera dei crimini commessi su tutti i fronti, non saremmo ancora ad alcuna verità. Vale poco conteggiare le "infrazioni alle regole di Ginevra" se non si va diritti alle radici della guerra e non si indica dove e come troncarle. Ci fa orrore e schifo quest’altra storia di una "guerra pulita" che rispetti bimbi ed anziani e lasci intatte le vergini. Ma qui, in tutta evidenza, non siamo neppure a tanto. Se oggi si "scoprono" i crimini croati è per la stessa ragione per cui ieri li si ignoravano, e cioè in nome dei propri interessi capitalistici nazionali. (Fanno eccezione poche voci, dal Manifesto a Liberazione, in "forza" di un melenso umanitarismo al di sopra delle parti e di un sentimento "giuridico" delle cose non insincero, ma poi per forza di cose esposto a richiamarsi, in assenza di riferimenti di classe, a bracci esecutivi di "giustizia" emananti dal capitale: ONU, Corti di giustizia internazionali, "l’Europa dei popoli" etc. etc.).

Ciò che oggi brucia all’informazione prezzolata ed ai suoi padroni è che la Croazia ci ha chiuso le porte in faccia, ha privilegiato pressoché esclusivamente gli interessi germanici e, perciò, ci troviamo nella condizione di riconquistarci con forza gli spazi perduti rimediando all’assenza di una nostra iniziativa internazionale in seguito al marasma del post-Tangentopoli. L’occasione è ghiotta perché, ora, quel che non abbiamo saputo guadagnarci a suo tempo ci viene offerto su un piatto d’oro dall’incasinamento interno alla Croazia, con epicentro nell’"italianissima" Istria. Certi titoli di giornale suonan già il campanello di preavviso: "In Istria linea dura contro la nostra minoranza", sbandiera il Corriere del 4 maggio. Sta a vedere che son questi i crimini croati di cui ci dovremo interessare sul serio!

Di che si tratta? Riprendiamo un discorso già fatto, limitandoci ad aggiornarlo.

L'Italia investe sull'Istria

E’ notorio che la regione istriano-quarnerina presenta delle particolarità tutte sue rispetto all’insieme della Croazia in cui è giuridicamente inserita: storicamente punto d’incontro di varie genti e culture, centro industriale operosissimo (e, quindi, cuore del movimento operaio jugoslavo) ed oggi perla turistica d’inestimabile valore, questa regione si è costruita nel tempo un’identità propria assai distante da quella del resto della Croazia. Poteva essere il modello esaltante di una Jugoslavia socialista fraternamente unita nella conquista di più elevati livelli di vita sociale (se mai il titoismo si fosse mosso su una strada del genere). Invece, nel secondo dopoguerra essa ha conosciuto, tanto per cominciare, il dramma dell’esodo di massa italiano (che in parte andava a colpire giustamente una pletora di sfruttatori e tirapiedi del regime, in buona altra parte un incolpevole tessuto sociale di lavoratori colpevoli soltanto, agli occhi dei nazionalisti croati convertitisi in partigiani, di essere degli "stranieri" buoni da spolpare). E, tuttavia, essa non si è mai completamente "croatizzata"; anzi, ha coinvolto nel senso di "istrianità" molti degli stessi croati giuntivi al seguito della Liberazione.

Quando l’ora è venuta per la rottura con la Jugoslavia e l’indipendenza croata, le classi dirigenti regionali vi si sono adattate di buon grado, non mettendo nel conto -con singolare miopia- le conseguenze belliche, ma fidando unicamente sulle proprie "speciali" risorse economiche privilegiate che, rotti i vincoli con Belgrado, si sarebbero potute ulteriormente e liberamente sviluppare ed il mantenimento, anzi: il rafforzamento, della propria speciale "autonomia". "Libera Istria in libera Croazia". La classe operaia, priva di un reale movimento proprio, di un proprio partito, ha seguito docilmente, in posizione di attesa gregaria.

Le cose, com’era nella logica dei fatti, sono andate ben diversamente. Il "centralismo zagrebino" si è gettato come un falco sulla riserva di caccia istriano-quarnerina, accaparrandosene i bocconi migliori e spartendoseli tra i propri scagnozzi dell’HDZ al potere e, per legittimare tutto questo, ha drasticamente ridotto le tanto decantate autonomie di cui essa aveva potuto (antisocialisticamente) godere nell’era-Tito, ha messo il bavaglio alle voci dissidenti in loco usando senza parsimonia l’arruolamento per i fronti di guerra aperti contro i serbi prima ed i mussulmani di Bosnia poi.

Di qui la reazione degli "istriani". Una reazione consolidatasi con l’affermazione di un proprio partito regionalistico, la Dieta Istriana per l’appunto, partita con successo alla conquista del potere (ma quanto magro!) nell’amministrazione locale. Sin dall’inizio, contro tutti coloro che qui farneticavano sul carattere democratico e progressista del regionalismo istriano, abbiamo rilevato come questa petizione da un lato riflettesse solo dei ristretti egoismi particolaristici delle classi dirigenti istriane, dall’altro preparasse la via non ad una pacifica risistemazione dell’area, ma all’emergere di nuovi conflitti disgregatori. Così è stato.

Di fronte alle impuntature degli "istriani", la dittatura al potere è ricorsa sistematicamente alla propaganda ed alla mobilitazione contro i "secessionisti interni" ed alla normalizzazione forzata. Ed, ovviamente, la "controparte" ha reagito alzando il tiro, sino a lasciar presagire, di recente, risposte non proprio pacifiche all’invadenza di Zagabria (tanto che, mesi fa, ad Albona si parlava di secessione armata).

Le reazioni di Ljubljana e Zagabria

Più moderatamente, i dirigenti della Dieta si sono dati da fare lo scorso aprile per mettere in piedi un primo congresso mondiale degli istriani con sede a Pola, chiamando esplicitamente a far parte attiva di esso i rappresentanti, in primo luogo, degli esuli italiani (monopolizzati da un fior fiore di super-destra). Al termine del congresso si è approvato un documento in cui si afferma che "l’Istria è una regione europea i cui territori fanno parte delle Repubbliche di Croazia, Slovenia e Italia e ai tre Stati si chiede il riconoscimento della propria autonomia regionale". Da Muggia a Pola una sola super-regione infra (ed extra) statale. Un progetto appetibile per l’Italia, presente al congresso con una rappresentanza politica spaziante dai fascisti al "democratico" ex-picista Bordon (già sindaco di Muggia), perché, come la suona chiara il duce degli esuli Sardos Albertini, "si è trattato di un forte momento di affermazione dell’identità istriana. Lo strumento dell’autonomia è il mezzo che potrà dare maggiori garanzie alla valorizzazione della presenza italiana". Chiaro? (Il "post-fascista" Menia, invitato, non è andato a Pola perché, dice, gli esuli "non se la sentono di fare gli ospiti in quella che era (sarà di nuovo?) casa propria", ma, evidentemente, altri della sua banda vi son andati per lui per predisporre le pulizie di casa...).

La cosa non è, invece, andata giù né ai rappresentanti dell’Istria slovena -consci che da un tale progetto, quand’anche si potesse affermare in modo indolore, resterebbero soffocati- né, tantomeno, a quelli dell’HDZ, che hanno definito l’assise "un congresso bolscevico-irredentista" (!) e gli italiani come "ladri per natura". Quelli della Dieta, afferma ancora l’HDZ regionale, "per anni, a scopi ben precisi e sobillati dalle forze neofasciste italiane, hanno parlato della Croazia come di una matrigna nei confronti dell’Istria"; ora, "l’importante è conservare pace e serenità nella penisola, neutralizzando energicamente coloro che vorrebbero trasformare l’Istria in una specie di Krajina di Knin".

L’"antifascismo" in bocca a quelli di Tudjman fa penosamente sorridere, ma il quadro non è campato in aria, a parte i dubbi sulla capacità di tanto attivismo italiota, dal PDS ad AN, nei confronti della "nostra minoranza oppressa" di trasformarsi in un agente più risoluto dei "nostri interessi nazionali": ladri per natura sì, ma possibilmente a costo zero, con le spalle ben protette...

Dove si andrà a finire? Il reiterarsi degli assalti centralistici di Zagabria all’autonomia dell’Istria, la penalizzazione crescente delle sue risorse produttive a pro delle casse -statali e private- della capitale ed, ora, il siluro all’imminente stagione turistica (vero e proprio polmone economico dell’Istria) con l’attacco alla Krajina di Knin e le sue conseguenze lasciano intravvedere anche soluzioni estreme, frenate in parte, come s’è detto, solo dalla irrisolutezza e codardia -superiore allo stesso appetito- della borghesia italiana, pur espressamente chiamata dall’interno a giocare un suo "storico" ruolo.

Miseria della "sinistra"

Non torneremo a ripeterci su quelle che dovrebbero essere, e per noi sono, le linee direttrici di una politica di classe in Italia in grado di collegarsi a quella che ci aspettiamo (e già esiste in nuce, per quanto debole e soffocata) dai territori jugoslavi. Sarà pur vero che repetita juvant, ma il nostro "ritornello" l’abbiamo già troppe volte ripetuto per dubitare che non sia noto a chi ci segue.

Merita, invece, aggiornarci un pò sulle più recenti contorsioni della nostrana "sinistra".

Segnaliamo, intanto, l’"interesse" con cui il PDS sta intensificando i suoi contatti con la "nostra minoranza" con attenti (come abbiam letto sulla stampa) "monitoraggi". Non siamo lontani, in questo, dall’"interesse", di più antica data, del MSI, ora AN, né mancano i punti di contatto con esso. La posta in gioco è chiara, ed ha poco a che fare con la difesa dell’"identità nazionale" di 20-30 mila connazionali. Le intenzioni sono ben altrimenti chiare, anche se (ma ciò vale anche per gli "ex"-fascisti) tutto sta a vedere fin dove si avrà il coraggio di spingersi sulla via di un attivismo sciovinista aperto, deciso. In ogni caso, lo sciovinismo mascherato e imbelle ci fa ancor più schifo di quello aggressivo.

Un altro segnale "sconcertante" dell’abisso in cui si è precipitati "a sinistra" ci viene da un recente ordine del giorno alla Camera votato su proposta del progressista Pezzoni, del leghista Menegon e (guarda guarda!) del rifondatore Guerra all’indomani delle bombe su Zagabria volto a "riaffermare l’impegno dell’Italia, insieme ai suoi partners europei, alla Russia e agli USA, in favore dell’integrità della Bosnia e in favore dei metodi pacifici del negoziato". A parte la "curiosità" di un odg sulla Bosnia che astrae dal terreno di conflitto riaccesosi al presente (c’era un film dal titolo "Scusi, dov’è il fronte?" che calza a pennello), "scopriamo" che la "sinistra" si rimette, per la soluzione della guerra, all’impegno "pacifico" dell’Italia e dei suoi partner, cioè all’impegno dei macellai che lì sono all’opera per mantener calda la guerra che hanno provocato e, semmai fosse possibile, preparare una "pace" peggiore di essa. Questo sì che si chiama parlar chiaro! Non solo dimissione dai propri compiti internazionalisti di classe, ma aperta consegna alla politica di stato della borghesia imperialista! Come si vede, nelle cose serie Rifondazione è già oltre i "cartelli elettorali": sta insieme con la Lega e il governo in un "cartello politico" nazionale, borghese, imperialista. (D’altra parte, il responsabile-esteri di Rifondazione, L. Pettinari -già prodigo di consigli all'imperialismo su come combattere "efficacemente" il "terrorismo islamico" in Algeria- si è segnalato nello stesso torno di tempo per una "energica" presa di posizione contro il "terrorismo iraniano", puntando l’indice contro l’"incoerenza" e la "doppiezza" dell’intervento "antiterrorista" occidentale e sollecitando, a nome del Prc, il ministro Agnelli e il governo italiano a farsi promotori di "concrete azioni politiche ed economiche che portino all'isolamento del governo iraniano": possibile materia di altri odg parlamentari...).

Sono fatti che aprirebbero gli occhi anche ai ciechi di Gerico. Se gli occhi dei nostri proletari non si aprono ancora non ci resta che misurare la profondità dell’abisso scavato dallo stalinismo nostrano e dai suoi successori tra la classe ed il suo programma. Non ci resta che prenderne atto e continuare per la nostra strada, con più lena che mai.


Aria croata

Questo regime, che a parole (e per uso e consumo esterno) si richiama all’antifascismo, nei fatti e all’interno del Paese conduce una politica autoritaria e di pressione contro le forze che si richiamano alla lotta partigiana... Sul settimanale zagabrese "Magazin" è stato intervistato Dinko Sakic, il macellaio di Jasenovac...(luogo) nel quale furono massacrati centinaia di migliaia di antifascisti, partigiani e comunisti croati e serbi..."Globus" ha pubblicato un articolo esaltante l’ex gerarca ustascia Ivica Krilic... un altro periodico controllato dalle forze vicine al partito al potere... ha apertamente chiesto la riabilitazione ufficiale del fascismo croato, del movimento ustascia, pubblicando in prima pagina la foto di quell’"eroe" nazionale che fu il generale ustascia Jure Francetic, uno dei massimi criminali di guerra... Per inciso: il nome di questo assassino è stato dato a una brigata dell’esercito croato in Bosnia. In essa (ma non solo in essa) il saluto militare in auge è quello del braccio teso di hitleriana memoria...

Nostalgici del regime ustascia siedono in parlamento, hanno i loro giornali, il loro partito, sventolano i loro gagliardetti; uno di essi è stato nominato senatore a vita dal presidente Tudjman... (Essi) rilanciano i medesimi slogan paveliciani del 1941-’45 (predicano tra l’altro lo sterminio dei Serbi in Croazia)... Lo stesso presidente Tudjman... assegna un’altissima decorazione statale a un ex altissimo funzionario del regime ustascia, Ivo Rojnica. Oppure nomina consigliere dell’ambasciata croata a Washington la terrorista ustascia Julienne Busic...

(Si procede alla) eliminazione massiccia e violenta... dei monumenti e delle lapidi che ricordano la lotta antifascista... I monumenti partigiani distrutti o comunque eliminati sono più di 3.000! Nella sola Dalmazia (ne) sono stati abbattuti più dell’80%... Perfino i cimiteri sono stati devastati, quelli dei partigiani ovviamente...

Più di trentamila, infine, le vie e piazze alle quali è stato cambiato il nome, con la cancellazione di personaggi caduti nella lotta di liberazione... Contemporaneamente, parecchie strade e piazze ribattezzate dal nuovo regime hanno ricevuto nomi di criminali di guerra ustascia...

I superstiti combattenti del movimento antifascista e della lotta partigiana subiscono in Croazia i più svariati metodi di umiliazione e vengono privati dei diritti acquisiti appunto come combattenti... Molti di coloro che parteciparono alla lotta antifascista... subiscono il dimezzamento o quasi della pensione... vengono pure cacciati fuori dagli appartamenti, destinati ai nuovi ufficiali dell’Esercito croato...

Qualche stralcio da un articolo di G. Scotti, noto antifascista italiano d’Istria, apparso su Panorama di Fiume (31 marzo ’95). Non occorrono commenti. Si tratta infatti di sacrosanta indignazione. Ad essa deve "solo" accompagnarsi lo sforzo di un riesame critico sulle ragioni per cui si è arrivati a questo punto (con la serpe covata nel seno stesso del regime di Tito), sul come e perché il tradizionale antifascismo non ha saputo opporre alcuno sbarramento a tale deriva, facendosene, anzi, in parte complice indiretto, sul programma e l’organizzazione necessari per reinvertire la lotta: un programma ed un’organizzazione a carattere proletario, "pan-jugoslavo", internazionalista.

Non possiamo non rivolgere a vecchi e incorrotti combattenti come Scotti un appello perché questo sforzo si compia: esso costituirebbe un lascito prezioso per le nuove generazioni di militanti a venire e la "paga" migliore di un’esistenza spesa con dignità e coraggio!