Nessuna tregua al governo di "tregua"

Già oggi nella classe operaia circola la convinzione che il governo Dini sia il massimo ottenibile. Una soluzione provvisoria che avrebbe il pregio di sanzionare la sconfitta del berlusconismo e di aprire un periodo di "tregua" sul piano tanto sociale che politico. La stessa etichetta di "tecnici" vantata dai ministri appare a molti operai una condizione atta a garantire un’adeguata selezione dei sacrifici da farsi, una loro equa ripartizione, nonchè una reale efficacia, mancata a tutti i governi precedenti, i quali, nonostante le stangate adottate, non sono mai riusciti nemmeno a fermare l’incremento del debito pubblico.

Si tratta di una posizione molto simile a quella assunta nei riguardi del governo Ciampi. Ma è una posizione pericolosa. Già quello di Ciampi fu un governo che non concesse alcuna tregua ai lavoratori, ma continuò -sia pure con mano meno pesante del predecessore Amato- la guerra di logoramento per smantellare conquiste e organizzazione operaia. Quello di Dini si presenta fin da subito ancor più deciso di Ciampi quanto a volontà di logoramento dopo il tentativo di affondo di Berlusconi. Inoltre, così come il governo Ciampi preparò oggettivamente il terreno all’affermazione della destra, così il governo Dini lavorerà -del tutto consapevolmente- a promuovere il ritorno al governo di una destra più forte e più solida, meno ingenua, litigiosa, confusa e disorganizzata di quella vista nei 7 mesi di governo del "Polo".

Già FI, AN, CCD e consorterie varie sono al lavoro per questo, e già si preparano a sfruttare le occasioni dei referendum e quelle che Dini gli offrirà, per consolidare e radicalizzare in senso anti-operaio, anti-sinistra e anti-sindacato il blocco elettorale e sociale borghese, ricorrendo, magari, a campagne contro eventuali nuove tasse sui ceti medi imposte dal Pds (e, quindi, "dagli operai"), e, persino, a demagogiche campagne "a favore" dei lavoratori taglieggiati da un governo appoggiato dalla "sinistra".

L’azione disfattista del sotto-riformismo non ha consentito di capitalizzare l’enorme forza dispiegata dal proletariato nella lotta di fine '94, mettendola a servizio di un programma di difesa fondato sugli interessi di classe, ma ha finito col far prevalere una soluzione governativa che ottiene l’appoggio della borghesia in quanto fondata sulla rinuncia della classe a difendere se stessa, le proprie condizioni di vita, di lavoro, di organizzazione, e a subordinarle ancora alle necessità capitalistiche di risanamento del bilancio statale e delle imprese e di rilancio del capitalismo nazionale.

Già questo è un risultato negativo per la classe operaia. Ancor più negativo sarebbe un atteggiamento di attesa, o, peggio, di fiducia verso Dini. In tal modo la classe operaia non sarebbe in grado di opporre la necessaria forza a questo governo neanche se dovesse uscire dai già sufficientemente anti-operai binari concordati con la "sinistra", lascerebbe, così, indebolire la tenuta organizzativa delle sue forze, arrivando ancor più disarmata e sfiduciata alla riedizione di un nuovo e più aggressivo governo di destra.

Per la difesa degli interessi di classe

In venti lunghi anni di crisi capitalistica, di attacchi sempre più incisivi della borghesia, la classe operaia ha sempre risposto cercando di limitare i danni, ma sostanzialmente accettando di fare "la sua parte" di rinunce e sforzi per tirare fuori dalle secche la "barca comune". Ma, a tutti gli arretramenti e cedimenti non ha fatto mai seguito un "secondo tempo" con qualche "recupero" da parte operaia. E sarebbe del tutto vano sperare che prima o poi giungerà. Tutta la strategia messa in atto finora si è rivelata controproducente: non solo il proletariato ha visto peggiorare le sue condizioni, ma ha visto indebolirsi anche la sua forza politica e sindacale. E’ ora che almeno un’avanguardia operaia assuma su di sé il compito di interrompere questa deriva, fare un bilancio crudo della condotta fin qui avuta, e battersi per un programma che rifiuti ogni subordinazione agli interessi dell’avversario. Non sarebbe la soluzione di tutto, ma un inizio, un avvio, di un percorso di scissione dei propri interessi di classe, premessa fondamentale per ogni ulteriore sviluppo politico.

Rifiutare credito al governo, riconoscerlo per quello che è, nemico della classe operaia, e non "ostaggio" delle sue lotte o dei partiti di "sinistra". Rifiutare riforme peggiorative di pensioni e mercato del lavoro, qualunque ulteriore taglio alla spesa sociale, così come ogni imposta che finisca col gravare su salari operai. Difendere l’organizzazione di lotta che ha consentito le lotte d’autunno, puntando a migliorarla in quanto organizzazione della propria classe, per gli scontri che si preparano. Respingere ogni inseguimento a forze politiche e sociali che hanno come unico scopo quello di difendere sé stesse incrementando lo sfruttamento operaio. Abbandonare ogni illusione sulla riedizione di "sistemi democratici" e di "convivenza pacifica" tra le classi, che la stessa borghesia sta pervicacemente smantellando. E su quella base iniziare a fare i conti con sindacati e "sinistra" sulla strategia da essi proposta di "farsi carico" dei problemi di rilancio del capitale nazionale.

Questo piano non è impossibile o illusorio, è quanto mai necessario e urgente, e per esso i comunisti danno e daranno tutto il loro impegno nella classe operaia, affinché essa costituisca una reale diga di difesa classista in grado di arginare le offensive capitaliste di oggi, giunga preparata ad arginare quelle di domani, e pronta ad affrontare gli svolti decisivi a venire dello scontro, assumendo su di sé il compito storico di licenziare il capitalismo senza pensione e senza nostalgia.