Messico: gennaio 1994-1995

Il boomerang imperialista ritorna dalle "maquilladoras" di Città del Messico e dalle campagne dall’Alto Chiapas agli uffici computerizzati della borsa di New York.

Gennaio 1994

Entra in vigore l’accordo Nafta, l’area di libero scambio tra Usa, Messico e Canada. Il trattato sancisce, nei fatti, una integrazione già esistente. I lavoratori messicani sono già da anni una immensa riserva di manodopera a basso costo da utilizzare nella "maquilladoras" delle multinazionali occidentali o come esercito industriale di riserva attraverso cui ricattare i lavoratori statunitensi. L’area di libero scambio è già nei fatti un’area protetta di circolazione delle merci e dei capitali nord-americani contro la sempre più agguerrita concorrenza giapponese ed europea. Gli Usa ottengono, ad esempio, nelle trattative preliminari dell’accordo, l’impegno del governo di Salinas a "rinviare a tempi da stabilirsi" l’abolizione delle tariffe doganali che proteggono i prodotti agricoli americani. Gli Usa gestiscono già il 70,8% delle forniture messicane, mentre il Messico ha visto diminuire - in vent’anni - del 37% le sue esportazioni, ed aumentare del 26% le importazioni. Tra il 1989 ed il 1994 i poveri nel paese sono aumentati di 15 milioni, per un totale di 45,5 milioni. Sono gli anni del c.d. "risanamento economico": le privatizzazioni procedono a ritmo serrato (le imprese di Stato passano da 1155 a 223) e precipitano le condizioni di vita di milioni di operai e braccianti agricoli. In questo periodo il Messico diventa il "pupillo" del FMI, il modello da additare a tutta l’America Latina, plaude l’intera stampa occidentale.

E’ in questo quadro che scoppia nel Chiapas, agli inizi del mese, la rivolta contadina diretta dall’esercito zapatista. E’ un rivolta sociale, è una rivolta antimperialista, che chiede innanzitutto terra ai contadini e rinegoziazione degli accordi Nafta.

Febbraio-marzo 1994

Viene assassinato Luis Donaldo Colosio, il candidato ufficiale alla presidenza del Pri. Gli Usa per sostenere la "stabilità" del paese stanziano una linea di credito di 6 miliardi di dollari. A causa della crescita dei tassi di interesse negli Usa, il Messico registra una fuga di capitali di 11 miliardi di dollari, nel tentativo di arginarla aumenta i suoi tassi di interesse del 3,42%. Secondo informazioni della Federal Reserve i depositi messicani negli Stati Uniti ammonterebbero a circa 16 miliardi di dollari, pari al 65% delle intere riserve nazionali del Messico! (a dimostrazione di come e verso dove si centralizzano i capitali nazionali dei paesi dipendenti). I così detti "finanziamenti internazionali" sono in Messico, come in tutta l’America Latina, sempre a breve termine, investiti nell’area solo perchè i loro rendimenti sono (in determinate condizioni) molto più alti di quelli provenienti dai mercati internazionali. E attraverso i "prodotti derivati" (un insieme di strumenti finanziari che consentono all’imperialismo e ai centri della finanza mondiale di cautelarsi da una congiuntura sfavorevole o da una variazione nel corso dei cambi o dei prezzi delle materie prime), non solo queste rapine finanziarie sono a costo zero, ma spesso impongono ai paesi debitori di garantire gli eventuali "rischi di investimento" attraverso l’alienazione o di interi apparati produttivi o di parti stesse del territorio nazionale (gli swaps). Quando tutte queste condizioni non sussistono, o si creano condizioni più appetibili, questi capitali si spostano altrove.

A marzo, l'aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti e la crescita del valore del dollaro provocano il crollo generalizzato delle azioni e dei titoli di Stato messicani ed un andamento catastrofico della bilancia commerciale del paese.

Giugno-luglio 1994

Agli indici di ripresa dell’economia nord-americana (a cui segue una linea discendente dei salari) fanno da controaltare gli indici messicani di crisi del settore automobilistico, delle calzature, del tessile. L’economia messicana è allo stallo ed anche per questo motivo si comincia a delineare - dopo la visita in Europa del ministro degli Esteri messicano - la prospettiva di un accordo di libero scambio tra l’Unione Europea ed il Messico che bilanci - per entrambi - gli effetti del "Nafta". Non è un caso che nello stesso periodo il Messico, strozzato sempre di più dall’imperialismo nord-americano, sia costretto a porre dazi sull’acciaio USA accusando New York di politiche di dumping delle sue esportazioni siderurgiche.

Agosto-settembre 1994

Contro tutte le previsioni il Pri vince le elezioni presidenziali con il 49%, contro il 28% del Pan ed il 16% del Prd. Si grida alla fraude, alla truffa, alla dictatura perfecta del Pri che avrebbe goduto del monopolio dei mass media (l’assenza della par conditio). Pur non escludendo abnormi episodi di frode elettorale che, comuni anche nelle metropoli imperialiste, assumono caratteri grotteschi nei paesi del Sud del mondo, ci sembra che la sconfitta elettorale del Prd (la sinistra progressista) sia da ricercarsi soprattutto in quel processo di polarizzazione sociale e politica che la crisi tende -a scala mondiale- a radicalizzare sempre di più.

Nessun paese ne è immune, e davanti a questa guerra che la borghesia dichiara al proletariato del nord e del sud del mondo, più nessun "riformismo" che tenti di opporsi ad essa invocando la pacificazione sociale e la difesa delle compatibilità nazionali, l’allentamento della morsa imperialista e insieme la difesa del modo di produzione capitalista, è in grado di combatterla. Al contrario, questo inutile appello al collaborazionismo fra le classi, disarma e disattrezza la classe operaia e non riesce a catalizzare (e neanche solo a neutralizzare) quei settori intermedi che, pur rovinati dalla crisi, finiscono per rivolgersi al fronte di classe più determinato ed agguerrito: quello della borghesia e della reazione. Non è un caso che il Pan (il partito nazionalista di destra che sostiene anche le rivendicazioni federaliste delle regioni più ricche), che nelle passate elezioni aveva registrato un forte consenso solo nella regione dello Yucatan, abbia ottenuto -a questa tornata elettorale- il 28%.

Novembre 1994

Si svolge in California il referendum xenofobo contro i lavoratori immigrati. Il 59% dell’elettorato bianco vota per l’abolizione della scolarizzazione e ospedalizzazione dei lavoratori ispanici. I promotori del referendum sono gli stessi che nel 1986, per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro dell’industria agro-alimentare californiana, avevano perorato il "programma per l’operaio agricolo stagionale" che prevedeva l’ingresso di 5000 chicanos.

Dicembre 1994

Iniziano le manovre speculative contro il peso. Il Messico, la cui "sovranità monetaria" è completamente dipendente dai tassi di interesse imposti dai mercati internazionali, è costretto a svalutare del 35% il peso. Si rischia la bancarotta, ma la possibile insolvenza del paese a pagare i 14 miliardi di dollari delle partite correnti previsti per il 1995, si trasforma in un boomerang per la tenuta dell’intero sistema bancario americano e trascina dietro di sé i mercati finanziari di tutta l’America Latina. A lamentare gli effetti del boomerang non è solo la Borsa di New York: la Ford messicana prevede disastrose ripercussioni della svalutazione del peso sulle sue esportazioni, la Chemical Banking (una delle maggiori banche americane) perde 70 milioni di dollari, la Chrysler pronostica una riduzione dei profitti e seguono a ruota le perdite della Good- year, della Mattel, della Wal-Mart. Si accusano le autorità monetarie di aver provocato la crisi, di essere venute meno a quell’alto grado di affidabilità che i centri della finanza mondiale avevano riconosciuto loro. Ma in realtà la svalutazione del peso non è la causa ma solo l’effetto del bubbone imperialista: della sua cronica instabilità monetaria, dell’anarchia dei suoi mercati finanziari, della sua sostanziale incapacità ad invertire la rotta della sua crisi strutturale che può solo rinviare (al prezzo di esasperarla) con l’espansione putrescente del credito e la valorizzazione "fittizia" dei profitti.

Gennaio 1995

L’Occidente accorre in aiuto... (di se stesso): al Messico vengono accordati crediti per 47 miliardi di dollari. Tesoro Usa e FMI impongono un controllo diretto sui proventi dell'esportazione del petrolio e un piano economico di emergenza. Zedillo chiede "lacrime e sangue alla nazione". Il piano prevede 1) un tetto massimo del 4% all’aumento dei salari; 2)tagli alla spesa pubblica; 3)ulteriore accellerazione delle privatizzazioni.

Ancora una volta si cerca di far pagare ai lavoratori e alle masse diseredate messicane il prezzo dello sventato (ma fino a quando?) crack finanziario occidentale. Si esaspera ulteriormente la morsa imperialista ma contemporaneamente si esasperano tutte le sue contraddizioni sociali e internazionali, che imporranno già da adesso al proletariato messicano e alla stessa classe operaia nord-americana la necessità di ingaggiare una comune battaglia contro un nemico di classe sempre più rapace ed agguerrito.