CECENIA: INTERVENTO RUSSO ED INTERVENTO OCCIDENTALE

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El’tzin aggredisce la Cecenia? Oppure è costretto a difendersi, in Cecenia, dall’intervento imperialista occidentale? Dietro la maschera dell’"autodeterminazione nazionale" cecena agisce un colossale scontro di interessi capitalistici per il dominio mondiale. La Russia "si difende". Ma è la Russia borghese, e lo fa secondo una politica borghese. Noi non stiamo da quella parte. Meno ancora da quella dei "democratici" d’Occidente schierati coi banditi USA. Un’altra strada esiste, per noi marxisti...

Le nostre posizioni, in quanto inequivocabilmente marxiste, sono destinate invariabilmente a suscitare sorpresa per la loro eccentricità (ed effettivamente siamo del tutto eccentrici rispetto all’ideologia ed alla propaganda borghesi). Sorpresa, spesso, anche in chi, nel leggerci, si vorrebbe "comunista", a misura che il bombardamento della mistificazione borghese diffonde i suoi miasmi anche tra coloro che pur si atteggiano ad "alternativi" al capitalismo.

Sul caso-Cecenia eccovi, perciò, un’altra di queste sorprese.

Chi ci ha, anche saltuariamente e distrattamente, seguiti sin qui non può aver dubbi: siamo degli anti-el’tziniani della prima ora e senza tentennamenti (dal tempo in cui il "democratico" El’tzin riceveva da Moscato complimenti "trotzkisti" su Bandiera Rossa). Lo siamo stati -e tali rimaniamo- non solo in riferimento alla sua "politica", ma al blocco sociale d’interessi borghesi che questa politica ha espresso ed esprime, senza soluzione di continuità, in senso del tutto e sempre anti-proletari. L’attuale vicenda cecena non sposta di una virgola questa direzione di marcia. Quindi, oggi come ieri, rimaniamo i più fieri (e tra i pochi, se non soli, dal punto di vista marxista) nemici di El’tzin.

Le "ragioni della democrazia" o quelle di bottega degli Usa?

Ma da qui a sottoscrivere la campagna borghese d’Occidente contro la Russia ce ne corre. Smarrito quel tal punticino di vista di cui sopra, molti (se non tutti) coloro che fingono di abbracciare, magari, la causa del socialismo, non fanno altro, in questo caso, che cadere nella trappola di una mobilitazione ideologica e materiale imperialista contro il "pericolo russo" per la ridefinizione della propria sfera d’influenza e controllo del mercato mondiale.

Questa campagna fa perno su una presunta violazione del diritto all’autodecisione nazionale che Mosca negherebbe alla Cecenia e si alimenta della messinscena dei "diritti democratici" violati da parte di Mosca, del ricorso "improprio" alle armi in questioni che dovrebbero essere risolte sulla base della "trattativa" da pari a pari etc. etc. Esattamente le stesse fregnacce che si posson leggere su Liberazione e consimili.

Non manca il solito contorno delle "efferatezze russe" con tanto di civili sterminati mentre stanno facendo la coda per il pane -come in quel tale mercato di Sarajevo-, di stupri, di bambini bombardati (di cui l’agenzia inglese Reuter diffonde le pretese immagini traendole da una rappresentazione teatrale svoltasi alquanto discosto da Groznij). L’esperimento jugoslavo ha fatto scuola...

Eppure, basterebbe leggersi lo stesso Corriere della Sera (30 gennaio) nelle pagine non di cronaca per capire come veramente stanno le cose.

Primo: l’immacolato eroe nazionale Dudajev ha tutta una storia illuminante alle spalle. Arrivato alla carica di generale (non male per un rappresentante dell’"emarginato" popolo ceceno!), era stato posto al comando di una base strategica del Baltico e qui aveva flirtato con "l’ascesa del nazionalismo baltico" arrivando "a far spiegare la bandiera estone sul suo Sukhoi nella parata del 7 novembre 1990", col che "si guadagnò fama di democratico". Il 27 novembre del ’91 "si fa eleggere presidente (della Cecenia) con l’85 per cento dei voti: un risultato più volte contestato per le garanzie di trasparenza men che approssimative". Sotto la sua presidenza la Cecenia diventa "la base arretrata della potentissima mafia locale, che stende i suoi tentacoli su tutta la Russia e anche all’estero" e Groznij "un posto in cui baffuti ceffi caucasici scorazzano a bordo di fiammanti Ferrari tenendo in braccio l’immancabile khalasnikov". Da buon democratico non esita a "sciogliere d’autorità il Parlamento e a ordinare arresti prima nelle file dell’opposizione, poi fra chiunque fosse sospettato di non essere pienamente in sintonia con la sua volontà". Non male come ritratto! D’altronde questi sono gli "eroi" di cui l’Occidente può servirsi nell’area: Tudjman ed Izetbegovic insegnano. (Manca un particolare per completare il quadro: la montata antirussa concretizzatasi nella spoliazione e nella cacciata dalla Cecenia di decine e decine di migliaia di russi: oh, che questa non si chiamava, sotto altri cieli, "pulizia etnica"?)

Secondo: ma è solo questione "interna" di mafia cecena? (E, se così fosse, perché ad El’tzin sarebbe impedito di fare quel che ha fatto Clinton con Noriega, tra l’altro fuori dagli stessi confini formali USA?).

Niente affatto. "Il loro forziere (dei mafiosi ceceni) è il sottosuolo della Repubblica, pieno zeppo di petrolio" (i cui oleodotti "questo signorotto caucasico (..) ha trivellato a piacere per spillarne petrolio da rivendere in nero"). Ebbene, questo forziere sembra fatto apposta per allertare gli interessi di qualche altra mafia, ben più potente -parliamo dei capitalisti occidentali, per chi non l’avesse capito- e, in questo caso, un qualsiasi Dudajev può, al massimo, permettersi di fungere da pedina di essi.

L’oggetto del contendere è proprio il controllo delle ricchezze petrolifere caucasiche da parte dell’Occidente, ben al di là della Cecenia, e in questa funzione viene giocata la carta Dudajev per arrivare alla destabilizzazione (o meglio: alla stabilizzazione sotto controllo occidentale) dell’area, colpendo al cuore l’economia russa e la sua testa politica di possibile concorrente borghese.

Copiamo pari pari dal Corriere. "Le grandi manovre attorno al petrolio del Caspio erano partite alla fine del ’91", scontrandosi, però, con l’ostacolo URSS. "Ma la comparsa delle Repubbliche ex sovietiche indipendenti, ansiose di ricevere investimenti occidentali, apre di colpo la porta delle miniere d’oro". Conosciamo il trucco: all’amo degli investimenti occidentali promesso a chi voglia rendersi "indipendente" non mancano mai i pesci -vedi Jugoslavia- convinti di cogliere un buon boccone (e subito destinati alla grigliata mista). Altro che "autodeterminazione dei popoli"! Più che mai, in un siffatto gioco, essi sono eterodiretti ed eterodeterminati; vale a dire delle semplici pedine in mano ad un Occidente in grado di muovere sulla scacchiera un numero sterminato di pezzi (il che fa parte delle regole "democratiche" della partita!).

Riprova. "Febbraio 1994, Londra. (I rappresentanti del governo britannico ed azero) sottoscrivono un accordo: alla Gran Bretagna vengono riconosciuti diritti prioritari sui progetti di investimento petrolifero del Mar Caspio. La catena di eventi si è messa in moto (e) la battaglia di Groznij non è che il tassello sanguinoso di una guerra nascosta per il controllo delle rotte petrolifere centro-asiatiche: una guerra che vede protagoniste la Russia, la Turchia e le grandi compagnie occidentali, e il cui esito è in grado di alterare gli equilibri geopolitici mondiali". Molto marxista!

Si parte con un contratto trentennale (!) per oltre 7 miliardi di dollari, di cui, guarda caso!, la British Petroleum e gli americani della Amoco detengono una quota del 17% ciascuna, seguiti a ruota da altre compagnie USA, "mentre i padroni di casa (si fa per dire..., n.) si riservano il 20%", con un ulteriore 5% immediatamente ceduto all’Iran, "con grande scontento occidentale" (un 5% del "nostro" petrolio alla concorrenza? E’ davvero troppo!) ed i russi "entrati dalla porta di servizio riescono ad aggiudicarsi solo il 10%". In breve: dipendenza dall’Occidente per il 70%. Si prevede di estrarre dal sottosuolo azero "500 milione di tonnellate di greggio, ossia la metà di quanto prodotto in Azerbaigian nel corso di tutto il XX secolo". E’ chiaro, ora, di che si tratta?

Non basta. La Turchia -di cui sono note la funzione pro-USA e le velleità sub-imperialiste nell’area- interviene per impedire il transito petrolifero russo attraverso il Bosforo e, contestualmente, progetta la costruzione di un oleodotto "che sbocchi nel Mediterraneo, tagliando completamente fuori la Russia", col che la Russia vedrebbe "diminuire la sua influenza non solo in Asia centrale e nel Caucaso, ma anche nei Balcani". Strategie economiche, politiche e militari si tengono in questo disegno che, non a caso, ha preso le mosse proprio dalla Jugoslavia: dietro lo smembramento della Federativa c’era un disegno evidente di ben più ampia portata che non lo stesso dominio sui Balcani, e pazienza se degli imbecilli "comunisti" vi abbiano veduto la lotta della "nazionalità (croata, slovena, "mussulmana") oppresse dal giogo serbo"!

"Mosca, furibonda, corre ai ripari" e, di concerto con la Grecia , progetta un oleodotto in grado di aggirare il Bosforo e, attraverso la Bulgaria, arrivare alla costa mediterranea del Mediterraneo. "E qui ci si imbatte nella pietra d’inciampo cecena", poiché l’oleodotto in questione passa proprio per la repubblica in mano a Dudajev -in qualità di prestanome e quisling-. Si può ben comprendere, allora, l’interesse occidentale a foraggiare ed armare sino ai denti gli "indipendentisti" ceceni e persino a rifornir loro delle truppe esterne d’appoggio mentre si fan strepitare le grancasse sull’incredibile "intromissione" russa sui propri territori .

La Russia capitalista si difende. Da capitalista.

A Washington l’aria politica sprizza scintille: quel che abbiamo potuto lucrare con la perestrojka dall’ex-URSS l’abbiamo già lucrato; è venuto il momento di gestirci da soli quest’altro "giardino di casa", togliendo ogni spazio d’"ingerenza" alla Russia -che altrimenti rischiamo di ritrovarci di fronte quale pericoloso concorrente in combutta con inaffidabili partner del tipo Germania-. (Con questa campagna strisciante anti-russa fa il paio quella sempre più dichiarata contro il "pericolo giallo" cinese, su cui verremo nel prossimo numero)

A quest’operazione di gangsterismo imperialista la Russia ha reagito, dimostrando con lo stesso El’tzin di non volersi confinare al ruolo di colonia degli USA (su questo terreno un Gorbacev era ben più propenso a scivolare...). Segnali in questo senso eran già venuti, eloquenti, nel corso della "cogestione" dell’affare jugoslavo. Ora siamo ad un dunque più diretto e decisivo.

L’intervento in Cecenia va visto, perciò, come una mossa difensiva obbligata da parte del capitalismo russo nei confronti degli "amici" USA e britannici. In quanto tale a noi fa un grandissimo piacere. Non perché c’interessi un fico secco di difendere i "giusti diritti" del capitalismo russo e le "regole (democratiche?) di un equo mercato internazionale", ma in quanto ostacola la manomissione incontrollata degli USA sull’area, crea ostacoli supplementari all’imperialismo occidentale, impedisce di scaricare le sue contraddizioni e le rimanda invece alle stesse metropoli (Italia compresa, di rimando). E’ questo il terreno potenzialmente più favorevole ad una ripresa del conflitto internazionale di classe.

Certo, la condizione prima per tradurre una tale potenzialità in attualità consiste, da parte proletaria, nel non sottomettersi mai e comunque alle "proprie" sirene borghesi, soprattutto quando queste si rivestano di piumaggi "anti-imperialisti". Una effettiva battaglia anti-imperialista presuppone, in Russia come altrove, una piena dissociazione dalla logica degli interessi borghesi "nazionali", l’unità di classe attorno ad un proprio programma, una propria organizzazione. Dei veri comunisti russi lavorerebbero a stringere a sé in un unico fronte di battaglia le masse oppresse del loro sud, contro El’tzin e contro Dudajev e solo su queste basi potrebbero permettersi di lanciare un’offensiva di classe contro quisling e padroni effettivi imperialisti. E, parimenti, quest’unità di fronte dovrebbe necessariamente proiettarsi a scala internazionale.

Cecenia, Russia, mondo intero in un programma di classe

Un tale programma, una tale organizzazione non c’è e, di conseguenza, si naviga scompostamente in Russia -parliamo del proletariato russo!- dall’accodamento alla politica el’tziniana, mettendo tra parentesi i propri interessi di classe di fronte a quelli "supremi" della "nazione" (la Grande Proletaria, potremmo dire, con espressione ripresa dal passato e da altro contesto) ed un’ancor più vile "opposizione democratica, pacifista" all’intervento in corso in Cecenia. Diciamo "più vile" perché, lo si voglia o no, direttamente complice del gangster numero uno, dell’Occidente. Per converso, possiamo, forse, ipotizzare che non manchino invece proprio tra coloro che seguono (vergognosamente) la prima soluzione elementi in grado di vedere (ma con gli occhiali distorti dell’interclassismo nazionalista) la sostanza del problema in gioco.

Constatiamo che dai settori "comunisti" dell’Occidente, e dall’Italia in particolare, partono in direzione della Russia segnali d’incoraggiamento esclusivamente del secondo tipo, il cui effetto, logico e disastroso, è di lasciar spazio indisturbato alla prima linea di deriva.

Noi, inguaribili marxisti, ci permettiamo, invece, di "sognare", e propagandare, e lottare perché si rea-lizzi, una ripresa della lotta proletaria nell’ex-Unione Sovietica e in tutto il mondo in grado di unire compagni di Mosca, Groznij, Washington, Londra e... Canicattì, contro l’insieme delle forze del capitale. Questa lotta entrerebbe vittoriosa in Groznij, col sostegno delle masse affamate locali, non solo per scovare i santuari di Dudajev, ma quelli dei suoi padroni (non propriamente ceceni), e li saprebbe aggredire a fondo.

Nessun altro può assolvere a questo compito. La mancata risoluzione della " questione cecena" è un altro dei capitoli che lo stalinismo ha lasciato in passivo alla storia, non solo da un punto di vista proletario, ma persino da quello borghese. La "pianificazione centralizzata" staliniana è stata sì in grado di porre sotto il suo provvisorio controllo questo minuscolo paese (e di apportarvi, anche, i frutti di una certa civiltà industriale, l’istruzione etc.), ma al prezzo -che oggi amaramente si paga- di aver lasciato intatto, dietro il paravento della "comunistizzazione" amministrativa, un quadro sociale frammentato, con vecchie strutture di potere tuttora legate all’organizzazione tribale, per clan. L’esatto contrario di quelle che eran state le aspettative delle avanguardie cecene accorse fiduciose alla Terza Internazionale. Allorché la seconda guerra mondiale si trasferì sul suolo sovietico, Stalin dovette accorgersi sul serio -probabilmente- che questo quadro, allettato dal nazismo, gli si rivoltava contro. La sua soluzione consistette nella deportazione più ad Est dell’insieme della popolazione cecena. E fu anche una misura necessaria ed "umana" (considerato il personaggio) in assenza di quel punto di riferimento di classe che proprio lui, per primo, aveva concorso ad eliminare. Colpevole di filonazismo non erano determinate classi sociali (e come riconoscere di averle lasciate sopravvivere in piena "costruzione del socialismo"?), ma un determinato "popolo". Decenni dopo, questo "popolo", con queste determinate classi alla testa, ripaga i successori di Stalin di egual moneta. In merito alla questione cecena El’tzin non può che riprendere, nell’essenziale, la politica che fu di Stalin. Noi ne abbiamo un’altra, e tra le due vi è un oceano. Due oceani ci distanziano da quella dell’Occidente. Tre da quella di chi si mette alla sua coda in vesti più o meno "progressiste" o addirittura "comuniste rifondate".

E ci pare di esser stati abbastanza chiari.