Le dimensioni non consentono alla nostra organizzazione di raggiungere, col suo intervento, tutta la classe operaia. Le nostre sezioni sono, dunque, costrette a selezionare i punti di presenza e iniziativa: le fabbriche maggiori intorno e nelle grandi città, le manifestazioni operaie, i momenti di incontro e di discussione, sindacali e politici, che coinvolgono attivamente gli operai più combattivi.
Fin da quando il movimento di lotta contro Berlusconi ha iniziato i suoi primi passi con gli scioperi "spontanei", tutte le nostre sezioni e compagni vi hanno attivamente preso parte, con la distribuzione di volantini e della nostra stampa, con discussioni e contatti.
Allo sciopero generale del 14 ottobre abbiamo distribuito un volantone nazionale dal titolo "Battiamo in piazza il governo Berlusconi". Lo stesso volantone era inserito nel n° 32 del Chefare, numero che è andato esaurito con la diffusione militante ai cortei di ottobre e in particolare a quelli del 14.
La nostra iniziativa contro l'attuale governo era, in verità, cominciata molto prima. La politica di Berlusconi contro la classe operaia è iscritta nel corso obbligato che la borghesia deve seguire per interrompere l'epoca di "patto sociale" col proletariato e per disorganizzarne le forze. Tanto gli viene imposto dalla necessità di reagire agli effetti della crisi generale del capitalismo.
Le "picconate" di Cossiga, i governi Amato e Ciampi, tangentopoli e la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario, erano state di quel corso le avvisaglie, da noi puntualmente denunciate a una classe operaia che, al contrario, vi vedeva spesso anche qualche possibilità di evoluzioni positive per sé stessa.
Il governo di centro-destra è il naturale prodotto di quel percorso. Esso è ancora insufficiente a risolvere i problemi della borghesia (rischio di declassamento della posizione imperialista mondiale, e di decomposizione persino del suo assetto nazionale unitario), ma non rinuncia ad avviare, intanto, la cura destinata al proletariato: marginalizzare le forze politiche da lui influenzate e minarne l'organizzazione sindacale, al fine di aumentare l'estorsione di plusvalore ai suoi danni.
Non c'era bisogno della Finanziaria per comprendere gli indirizzi del governo e per disporsi nei suoi confronti su un terreno di lotta.
Questo abbiamo sostenuto nella nostra stampa e col nostro intervento, già prima dell'ottobre, tendendo, sempre, a dimostrare come sia indispensabile per la classe operaia disfarsi del vecchio bagaglio politico, di come sia controproducente affrontare un nemico ormai determinato ad affossare il "patto sociale", invocandone una riesumazione che sarebbe inevitabilmente in versione riveduta e corretta a spese degli operai. A forza di arretramenti, sia pure "controllati", la classe operaia finirebbe col ritrovarsi senza "patto" e senza più sua organizzazione.
Per questo la nostra battaglia nella classe è tutta rivolta a spingerla su un terreno di autonomia rinunciando a subordinare la difesa dei propri interessi a quelli dell'economia capitalistica, e individuando i propri alleati nelle classi operaie di tutti gli altri paesi capitalisti e nelle masse sfruttate dei paesi del terzo mondo contro il comune nemico imperialista. Nella nostra attività è, dunque, sempre presente il richiamo a questi temi non come fatto rituale o di un domani lontano, ma come necessità rese urgenti e attuali dal procedere stesso dello scontro. Finchè la classe operaia difenderà le proprie condizioni di vita e di lavoro difendendo contemporaneamente economia nazionale e capitalismo, gli arretramenti e i cedimenti saranno inevitabili e continueranno in una spirale senza fine.
Le forze politiche del "riformismo operaio" svolgono, al contrario, un'attività diretta proprio a ribadire che il proletariato si faccia carico responsabilmente delle "compatibilità" economiche e finanziarie del "paese", cercano di indurre la classe operaia a "moderazione" per raggiugere accordi di governo con altre classi, e declinano la spinta del movimento di lotta a chiudere i conti con il governo costringendolo alle dimissioni perchè temono di essere sospinte a governare sotto un diretto controllo operaio. La chiara assunzione da parte del movimento di lotta di questo obiettivo (la cacciata del governo) è, invece, essenziale per consentirgli di aver partita vinta, ed è un obiettivo centrale nella attività dell'OCI all'interno del movimento di lotta. Non è ritraendosi dai suoi compiti che il proletariato può sperare di rispondere adeguatamente all'attacco capitalistico e prepararsi a prendere tutto il potere politico per metterlo al servizio della costruzione di una società socialista, senza profitto e sfruttamento.
Siamo un'organizzazione piccola, ma, non per questo, autoriduciamo il livello della nostra attività nella classe operaia. Al contrario, la storia del movimento comunista e delle rivoluzioni ci insegna che solo mettendosi al livello reale dello scontro e delle necessità della classe, un'organizzazione coerentemente rivoluzionaria può aspirare a svolgere fino in fondo il ruolo di guida del proletariato negli svolti drammatici che la crisi del capitalismo prepara.