Nord-Sud: la stessa lotta

...E MIRAFIORI E' SCESA IN CAMPO

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Una straordinaria e "improvvisa" dimostrazione delle potenzialità che la classe operaia sa mettere in campo quando si muove unitariamente. E' quanto emerge dall'impressionante crescendo della mobilitazione contro la manovra del governo, dai primi episodi di lotta allo sciopero generale, che ha reso visibile ai lavoratori la propria appartenenza di classe. I passaggi che la mobilitazione ha vissuto nella Torino operaia illustrano con chiarezza i passi avanti compiuti, con un'incredibile accelerazione sia nella costruzione di un grande movimento unitario di lotta, sia nella comprensione della necessità di marciare uniti contro il nemico.


I primi scioperi operai nell'area torinese partono già agli inizi di settembre dalla zona Ovest (Pininfarina in testa), per poi estendersi alle altre fabbriche, medie e grandi, della città, Fiat compresa. Si tratta di fermate del lavoro di alcune ore, spesso con i lavoratori che spontaneamente si riversano nelle strade. Ancora non è stata varata la finanziaria, ma i segnali e le voci che provengono dal governo hanno repentinamente fatto accumulare forti preoccupazioni per l'attacco che si delinea e una buona dose di rabbia e di voglia di reagire, soprattutto sulla questione pensioni, nella massa profonda della classe. A riprova di ciò, le spinte alla mobilitazione, impulsate dapprima dalle strutture sindacali intermedie e dai delegati delle fabbriche più combattive (in prima linea metalmeccanici e Fiom), trovano immediata rispondenza tra i lavoratori, financo in quelle situazioni in cui l'organizzazione operaia incontra maggiori difficoltà, come alla Fiat Mirafiori.

Gli operai affilano i coltelli

Già questo primo assaggio della reazione operaia mostra alcune caratteristiche importanti, che saranno decisive per i passi successivi verso la generalizzazione della lotta. Innanzi tutto, la partecipazione agli scioperi è dovunque massiccia e convinta; ne sono coinvolti non solo quegli operai che seppur con difficoltà avevano compreso la necessità di dare un segnale deciso al governo di destra, ma anche quelli, più arretrati, che avevano abboccato all'amo delle promesse berlusconiane. Così pure l'operazione tentata dal governo di contrapporre operai giovani ad operai meno giovani non è valsa a rompere un'unità cementata dalla comune condizione proletaria. E' un risultato al quale involontariamente ha contribuito lo stesso governo per l'aver mirato ad attaccare a fondo con il sistema pensionistico un elemento particolarmente sentito dai lavoratori, oltre tutto comune all'insieme del proletariato e come tale difendibile solo con una scesa in campo generale. Secondo aspetto: gli scioperi che scoppiano "spontanei" non sono casi isolati, bensì episodi di una più ampia rimessa in moto (anche se per ora non generalizzata) della classe. Ciò significa che i lavoratori possono iniziare a percepirsi, e quindi a muoversi, come parte di un movimento più vasto che riceve forza dalle singole fabbriche, ma che al contempo gliela restituisce amplificata.

In terzo luogo inizia a salire la richiesta di sciopero generale, nel quadro di una disponibilità dichiarata allo scontro nel caso il governo dovesse dar corso alle sue proposte. E' il primo segnale del fatto che si fa strada in alcuni settori operai la consapevolezza che solo una mobilitazione operaia può fermare l'attacco che si prospetta e, perciò, bisogna far pressione sul sindacato perchè generalizzi la lotta. "Siamo qui per dire sia al governo che ai sindacati che questa volta non ci fregheranno più... sulle pensioni non si torna indietro, siamo già pronti allo sciopero" dirà un delegato di Mirafiori all'assemblea Cgil-Cisl-Uil del 21 settembre.

Un ritrovato protagonismo di massa

A imprimere una svolta e un'accelerazione alla situazione ci pensa il governo che, con le sue richieste, costringe il sindacato alla rottura della trattativa nella notte del 26 settembre. Fino a quel momento l'atteggiamento operaio era improntato, da un lato, all'attesa di quanto sarebbe emerso dalla trattativa, non senza l'illusione in un qualche aggiustamento dell'ultima ora, dall'altro allo stato di massima allerta con l'obiettivo di far sentire al tavolo degli incontri la minaccia del passaggio a ben più decise forme di lotta. Non a caso, nella mattina precedente l'incontro decisivo, scioperano nuovamente le Meccaniche di Mirafiori, l'Olivetti di Leini e altre aziende in tutto il Piemonte. Gli operai iniziano a sentire che ci sono le premesse perchè si vada allo scontro duro, mentre sale la rabbia di fronte ai commenti sempre più arroganti degli esponenti del governo. In particolar modo la minaccia di portare a 40 gli anni di contributi per la pensione di anzianità è sentita sulla propria pelle da uno strato di lavoratori non più giovani con alle spalle anni e anni maledettamente logoranti di catena di montaggio.

Pronta e rabbiosa è la reazione operaia nei giorni seguenti la rottura. In due giorni scendono in sciopero 50-60000 lavoratori (metalmeccanici, chimici, edili, ecc.) delle aziende medie e grandi piemontesi. A Torino blocchi stradali degli operai dell'Alenia e della Pininfarina; scioperi in una miriade di fabbriche, anche piccole, della cintura Ovest (Bertone, Comau, Sandretto, Pianelli); migliaia i lavoratori che si riversano sulle strade dall'Iveco, dalla Michelin, dalla Pirelli a bloccare i nodi stradali della parte Nord di Torino; alla Fiat Mirafiori cortei e blocchi dalle Presse alle Fucine, dalle Meccaniche alle Carrozzerie con adesioni oltre il 90% in entrambi i turni; alla Fiat Rivalta la partecipazione ai blocchi stradali è massiccia (oltre 3000 operai). Numeri analoghi in altre città e concentramenti industriali del Piemonte.

E' un vero e proprio "risveglio", con numeri che non si vedevano da 15-20 anni. Quello che colpisce è la partecipazione di massa, la consapevolezza della necessità di una risposta di lotta unitaria che lo sciopero generale proclamato dal sindacato deve saper dare. Per questo -e per nulla di meno- i lavoratori sono disposti a spendersi, a ingaggiare una lotta che nessuno prevede facile o di breve durata. A riprova di ciò la tensione di lotta rimane altissima per tutte e due le settimane che precedono lo sciopero generale. Mai come in questa occasione la mobilitazione è stata realmente preparata dai lavoratori, dando la sensazione concreta di far confluire le singole forze, i singoli momenti di lotta in un movimento più vasto mirato a mettere in campo tutto il potenziale della nostra classe.

Verso lo sciopero generale

Nella settimana precedente lo sciopero del 14, a Torino ha luogo una serie di scioperi articolati per zone. Inizia Mirafiori che vede, la mattina del 4 ottobre, praticamente l'intero primo turno di tutto lo stabilimento riversarsi sui corsi adiacenti e incontrarsi alla porta cinque, sotto gli uffici della direzione della Fiat-Auto. L'impressione è di una fiumana di rabbia incontenibile, di una forza impressionante che chiede al sindacato che questa volta "faccia sul serio". E' questo clima che dà l'impronta agli interventi dei delegati sul palco, costringendo lo stesso segretario nazionale della Fim G. Italia a usare toni relativamente "duri" e a parlare della proposta sindacale di riforma del sistema pensionistico in termini di redistribuzione delle ricchezze e di lotta all'evasione, senza nominare esplicitamente i sacrifici che anche questo progetto riserva per le tasche dei proletari.

Gli scioperi proseguono il giorno dopo con le fabbriche della zona Sud di Torino e di Moncalieri e con un corteo-fiaccolata degli operai del turno di notte di Mirafiori, che significativamente si spingono nel quartiere, schiettamente proletario, nella giusta intuizione della necessità e possibilità di coagulare intorno alla lotta della classe operaia il resto del proletariato, compresi quegli strati arretrati o marginali, comunque esterni al movimento operaio organizzato, la cui confusione la borghesia ha sfruttato per dividere e isolare quest'ultimo. Il sei ottobre è la volta del concentramento industriale di Torino Nord-Settimo (Pirelli, Michelin, Iveco, Oreal, ecc.) da sempre combattivo e organizzato, con sciopero, blocco stradale e ferroviario. Quindi scendono in campo i lavoratori del comprensorio Ovest (c.so Francia, Grugliasco, Collegno, bassa Val di Susa) con una manifestazione semplicemente grandiosa: adesioni allo sciopero altissime, fin nelle aziende più piccole e in molte boite, corteo con più di 40000 lavoratori, compatto e determinato. E' la conferma del coinvolgimento degli strati più profondi del proletariato torinese, compreso quello delle piccole e piccolissime fabbriche e officine, i giovani precari o disoccupati, i lavoratori dispersi nei servizi. Ed è la conferma della possibilità di costruire nella lotta l'unità della classe, conquistando anche l'appoggio, la simpatia o la benevola neutralità della "gente", dei settori sociali non sfruttatori sempre in bilico tra proletariato e borghesia.

La forza dell'unità

Con queste premesse lo sciopero generale del 14 non poteva che riuscire, anche a Torino, come è riuscito. Niente affatto scontata o secondaria, però, la constatazione sul campo da parte della massa dei lavoratori della propria presenza come classe e della determinazione a scendere massicciamente e unitariamente in lotta per difendere propri interessi, sempre più chiaramente distinti da quelli del governo (percepito, seppur confusamente, come portatore degli interessi di un'altra "parte" della società, quella che lucra e si arricchisce in ragione diretta del ridimensionamento della condizione operaia). Questa scesa in campo generale, questa dichiarata volontà di battersi può e deve essere la base della ripresa del movimento operaio, ripresa che non può darsi a parte dalla maturazione di un programma di alternativa di classe alle forze del capitale di cui questo governo è espressione! Programma che è anche l'unica garanzia, in prospettiva, della effettiva centralizzazione delle nostre forze di classe e, a breve, della tenuta dei livelli di unità e di generalizzazione della lotta acquisiti da questo movimento.

Lo sciopero generale vede scendere in piazza, nella sola Torino, 150-200000 lavoratori che confluiscono nel centro da tre cortei operai e da altri punti di concentramento. Imponente quello che si raccoglie intorno ai lavoratori Fiat degli stabilimenti di Mirafiori e Rivalta che si sono letteralmente svuotati. Combattivi e rumorosi anche quelli da nord e da ovest. Gli slogan più urlati quelli contro il governo e i tre leader della maggioranza; numerosi i richiami a "nord e sud uniti nella lotta"; dappertutto, e soprattutto negli spezzoni operai, un senso di compattezza e di organizzazione da tempo non più visti e la volontà chiaramente manifestata di proseguire nella lotta, di cui questo sciopero generale è sentito come un passaggio importante ma non certo conclusivo.

Il bersaglio principale della rabbia operaia (e non solo operaia) è senz'altro Berlusconi, la sua arroganza, il segno di classe della "sua" manovra. E se la piazza non si è ancora posta con chiarezza l'obiettivo del suo licenziamento, di fatto esso, al di là della coscienza dei lavoratori o della volontà dei vertici, è un passaggio ineludibile del movimento. Così pure, è vero, sono presenti ancora illusioni sulla possibilità di preservare alcuni obiettivi al "vecchio modo", supportando con la mobilitazione le modifiche alla finanziaria avanzate dall'opposizione nelle aule parlamentari o costringendo il governo a un "ragionevole compromesso", magari giocando sulla "litigiosità" delle sue componenti politiche (Lega in primis). Tutto ciò sotteso dalla sensazione che le profonde crepe del "sistema Italia" richiedono ulteriori sacrifici per tutti e dunque anche da parte operaia - conclusione cui necessariamente conduce il realismo dei lavoratori in mancanza di una alternativa di sistema e di potere. Ma queste debolezze, questi limiti possono e debbono essere superati nel fuoco della lotta, se entrambi i fronti di classe porteranno fino in fondo lo scontro.

I successivi passi da fare

Se questo si darà, non mancheranno di far sentire il loro peso alcuni elementi di coscienza che con lo sciopero generale sono emersi con maggior nettezza. In primo luogo, la richiesta alle direzioni sindacali, da parte dell'avanguardia operaia, di chiarezza sugli obiettivi e coerenza nel portarli avanti. E' questa la condizione, nella coscienza di questa avanguardia, della tenuta dei livelli attuali di unità dei lavoratori che fa tutt'uno con la tenuta della mobilitazione in quanto tale (punto, questo, di fondamentale rilevanza anche per i comunisti). Legata a ciò è la percezione che in questo scontro si gioca una partita importante e per certi versi anche decisiva per le sorti dei lavoratori e dello stesso sindacato confederale.

Di fronte ai sempre più pesanti e numerosi attacchi all'organizzazione operaia sui posti di lavoro (dai licenziamenti ai pestaggi dei delegati ecc.) e alla sua struttura unitaria a livello nazionale (vedi le numerose Melfi che spuntano come funghi a sud come a nord, vedi la precarizzazione del mercato del lavoro e le sempre più pressanti richieste padronali di gabbie salariali) inizia finalmente a farsi strada la consapevolezza che ciò che è in gioco è la stessa sussistenza di un'organizzazione generale di difesa degli interessi dei lavoratori. Anche questo è un elemento preziosissimo: al di là dell'oggetto immediato del contendere, questo e i prossimi scontri saranno decisivi per affermarsi o della tendenza alla balcanizzazione del proletariato o della tendenza alla ricentralizzazione della forza e dell'organizzazione di classe. Ciò che impone di affrontare alla radice dal punto di vista degli interessi complessivi del proletariato la divaricazione crescente tra la condizione operaia a nord e a sud. Infine sta emergendo agli occhi dei lavoratori la sostanziale convergenza di interessi tra governo e padronato, che ha trovato un'ultima sanzione nell'incontro di Melfi tra Berlusconi e Agnelli.

La tensione di lotta, all'indomani dello sciopero, resta alta. Né è servito ad allentarla il balletto governativo sulle presunte migliorie alla finanziaria, viste in realtà come un provocatorio tentativo di dividere e bloccare il movimento. Si approssimano ora i passaggi politicamente più difficili dello scontro. Questa mobilitazione ha sicuramente rafforzato il processo di unificazione delle nostre forze di classe. Si tratta ora di gettare con decisione sulla bilancia tutto il peso di questi passi in avanti, facendo fare un salto alla lotta, imponendo in piazza la caduta del governo.