Finalmente è chiaro in cosa consiste il nuovo "miracolo
italiano" del governo Berlusconi: assicurare maggiori margini di profitto alle
imprese grandi e piccole, industriali e finanziarie, sottraendo salario agli operai e ai
lavoratori.
Per evitare che la classe operaia si opponga, oggi e in futuro, a tal sorta di miracoli,
il governo cerca di assestare un duro colpo alla sua forza organizzata.
Questa politica non ha nulla di nuovo. Tutti i governi degli ultimi anni l'hanno
perseguita. Il "Polo delle libertà" la raccoglie da Amato e Ciampi e la
inasprisce secondo i mandati dei padroni italiani, nell'interesse di tutto il capitalismo
imperialista.
E nello scontro la borghesia cerca di forgiare le sue forze per nuovi e più violenti
affondi contro il proletariato.
La campagna elettorale di Berlusconi per il 27 marzo era basata su due concetti: "il governo della sinistra porterà al disastro", "il mio governo a un miracolo di sviluppo e benessere per tutti". Col primo ha unificato nel voto al polo della "libertà" tutti quei ceti sociali che sono terrorizzati dal prevalere della "sinistra" perchè temono che questa si piegherebbe alle aspettative della classe operaia, l'unica classe della società che produce il valore cui tutte le altre attingono. Col secondo puntava a raccogliere voti di parte operaia. Gli operai più avvertiti e coscienti hanno capito subito che si trattava di pura propaganda. Gli altri hanno cominciato a sospettarlo con le prime misure del governo: deregolamentazione del mercato del lavoro, regali alle imprese, decreto salva-tangentisti. Con la finanziaria l'hanno definitivamente compreso: condoni agli evasori, riduzione dei fondi al Mezzogiorno, tagli alla spesa sanitaria e correlati aumenti a carico degli assistiti, e, soprattutto, picconate sulle pensioni.
Il governo di Berlusconi e dei suoi alleati, AN e Lega, ha iniziato, insomma, a rivelare tutto il suo carattere di classe: ulteriore spremitura degli operai per rilanciare i profitti delle imprese, dietro l'"imparziale" traguardo di risanare il bilancio dello Stato, quel "bene" che si pretende -da parte di cavaliere & co., ma anche della "sinistra"- che sia "comune" a tutte le classi e a tutti i "cittadini". Questo bene una parte di società (il proletariato) contribuisce unicamente a crearlo e rimpinguarlo ricevendone in cambio solo i "servizi" (...e che servizi!) strappati con le lotte. L'altra (capitalisti grandi e piccoli, commercianti, professionisti e ceti medi variamente accumulativi) contribuisce in mille modi a saccheggiarlo, ricevendone aiuti fiscali diretti e indiretti, speculando sugli interessi del debito pubblico, imbastendo le mille e una "tangentopoli".
Nei primi mesi di governo quelle di miracoli si rivelavano, rapidamente, "promesse da marinaio", ma, nel contempo, sembrava emergere la volontà di mantenere con la classe operaia e la sua organizzazione sindacale lo stesso rapporto del governo Ciampi: chiedere ulteriori sacrifici, ma in un quadro di concertazione, ricercando, cioè, il loro consenso e impegnandosi a rispettare l'accordo del luglio 93. Prima di varare la finanziaria, infatti, il governo apriva coi sindacati una sorta di tavola rotonda (la commissione Castellino) per discutere insieme la riforma della previdenza. Poi, quasi all'improvviso, ha mandato tutto all'aria e inserito nella finanziaria misure fortemente penalizzanti sulle pensioni: blocco delle pensioni di anzianità, accelerazione dell'elevamento dell'età pensionabile, riduzione della copertura anti-inflazione, e, soprattutto, diminuzione dei rendimenti pensionistici e forti penalizzazioni per le pensioni di anzianità.
Cosa è successo al Berlusca? E' d'un tratto impazzito? No, tranquilli, non è impazzito, né fa tali scelte per "interessi personali", tipo favorire le sue assicurazioni incrementando le pensioni integrative. Se le fa, è perchè ha interpretato le esigenze del grande e del piccolo capitale, di tutta intera la classe borghese.
Le misure sulle pensioni tendono, infatti, ad alcuni precisi scopi:
1. liberare il bilancio dello Stato dalle spese "sociali" per poterlo concentrare di più su quelle a sostegno della profittabilità delle imprese;
2. trasformare una quota di salario in capitale, sottraendola ai lavoratori e destinandola agli impieghi finanziari o d'investimento tramite i fondi pensionistici;
3. togliere ai lavoratori il "privilegio" di aver la garanzia del loro salario differito (la pensione) sottoponendola all'andamento del mercato finanziario: se "tira" le pensioni integrative saranno erogate, se va in tilt fondi pensionistici e pensioni si riducono o scompaiono del tutto;
4. recidere un elemento dell'unità di classe: il sistema pensionistico pubblico consente ai lavoratori di intervenire collettivamente sull'intera materia con la loro forza organizzata. Il sistema delle assicurazioni private costringe il singolo lavoratore a misurarsi con la singola impresa assicuratrice o con il singolo fondo, con rapporti di forza completamente sfavorevoli per lui fin dall'inizio.
Questo quarto scopo è, in ultima istanza, il più importante. Esso si inquadra perfettamente nell'obiettivo di tutta la classe padronale di tendere a eliminare qualunque forma organizzata della classe operaia, di distruggere ogni sua possibilità di usare l'unico strumento atto a garantirgli un minimo di difesa: la lotta collettiva e l'organizzazione a ciò necessaria. All'identico fine la borghesia ha mirato col cancellare la scala mobile, ridurre il valore dei contratti collettivi nazionali -riaprendo la strada alle "gabbie salariali"-, proporre misure sempre più profonde di "deregolamentazione del mercato del lavoro". Diversificare le condizioni degli operai, eliminarne i legami per indebolirne la possibilità di pesare come soggetto collettivo.
La borghesia si dedica da anni con accanimento a questo obiettivo. Lo fa non per vendetta storica contro le conquiste delle lotte operaie fino alla metà degli anni 70, né per un morbo di potere assolutistico. Essa è spinta a farlo dalla crisi generale in cui versa il suo sistema produttivo e sociale. Finchè il capitalismo mondiale marciava ai ritmi sostenuti di sviluppo seguenti alle distruzioni della seconda guerra mondiale, tutte le sezioni più forti di capitale nazionale riuscivano ad appropriarsi di quote crescenti di profitto. Ciò gli consentiva di tollerare una relativamente forte presenza operaia, cui -senza mai regali- pagare prezzi economici, sociali e politici. Ma da quando il capitalismo, esaurita la spinta post-bellica, ha preso a far acqua da tutte le parti, l'epoca del comune sviluppo per tutte le sezioni nazionali del capitale ha lasciato il posto a un'altra di concorrenza sempre più aspra. Per farvi fronte il singolo padrone e l'intera sua classe cercano di riprendersi quanto han dovuto cedere agli operai su ogni piano, per trasformarli in flessibilissime appendici del processo produttivo, completamente sottomessi all'interesse dell'impresa e dell'economia nazionale. Per spianarsi la strada a ciò la borghesia italiana non ha esitato a liberarsi di un intero sistema politico -la "prima repubblica"- e di un (quasi) intero apparato di uomini e partiti che l'avevano per 50 anni fedelmente servita. Quel sistema politico era, per essa, troppo consociativo, cioè troppo incline a trattare far concessioni agli operai.
La "seconda repubblica" si è, così, avviata con un nuovo sistema politico che separa meglio il ruolo di maggioranze e opposizioni. Ma confinare l'opposizione parlamentare in un angolo non è sufficiente, per il capitale, se il proletariato continua a conservare un livello di organizzazione che gli consente di opporsi all'attacco padronale e governativo mettendo sul campo la sua forza.
E si tratta di una forza enorme; i fiumi di inchiostro e di parole impiegati per dimostrare che la classe operaia era in via di estinzione si sono rivelati del tutto falsi. Non solo la classe operaia non è scomparsa, ma essa va assumendo un ruolo sempre più centrale nel capitalismo in crisi, proprio in quanto è l'unica fonte di valorizzazione del capitale.
Per attingervi ulteriore profitto la borghesia deve infrangere tutte le trincee difensive messe in piedi dalla classe operaia, anche quelle che le dichiarano ogni disponibilità a collaborare. Il tipo di collaborazione proveniente da sindacati e sinistra riformista è sottoposto, in ogni caso, a richieste, sia pur declinanti, di difesa delle condizioni operaie. Richieste divenute, causa la crisi, insopportabili per il capitalismo, e che egli respinge assieme a tali offerte di collaborazione. A tal punto la borghesia ha, ormai, in fastidio l'organizzazione operaia da non sopportare, per esempio, nemmeno i fondi di pensioni integrative concordati nei contratti collettivi (come per i metalmeccanici) e cari, invece, a CGIL-CISL-UIL. La finanziaria li sottopone, infatti, a un'imposta del 15%, da cui fa salvi, al contrario, i fondi "privati".
L'attacco all'organizzazione della classe operaia, già acuito dagli ultimi governi della "prima repubblica" (anche se con irruenza diversa tra Amato e Ciampi, con il secondo costretto a maggior "prudenza" a seguito della prova di forza operaia con le lotte dell'autunno-inverno 92-93), prosegue, e si inasprisce, con il primo governo della "seconda".
Proprio perchè ha interpretato quel ruolo di classe e non solo i suoi interessi particolari, Berlusconi è riuscito sui tagli alle pensioni a realizzare un fronte compatto che, ai ceti medi già conquistati al suo "credo", ha aggiunto anche grande capitale e Confindustria, che avevano reagito alla sua "scesa in campo" con freddezza. Né è un caso che i maggiori centri finanziari internazionali che avevano irriso il cavaliere, la sua inesperienza, la tele-dipendenza del suo consenso, e persino il rischio "totalitario" rappresentato da lui o dagli alleati neo-fascisti, gli rivolgano, dopo la proposta di finanziaria, il più sentito plauso. Non vi è, infatti, borghesia imperialista che non trepidi per la soluzione dello scontro sociale in atto in Italia. Una vittoria del governo spianerebbe la strada ad attacchi analoghi in tutti gli altri paesi che, come l'Italia, hanno dovuto subire nei decenni trascorsi un allargamento delle "spese sociali" sotto la spinta delle lotte operaie, e che vogliono oggi, come l'Italia, disfarsene. The Wall Street Journal (5.10) dopo aver più volte deriso Berlusconi "tifa", oggi, per lui, e avverte che tifano dalla stessa parte, sia pure in silenzio, tutti i governi europei ansiosi "di fare quel che sta tentando di fare Berlusconi".
Nei primi mesi di governo il cavaliere era sembrato meno "duro" verso il proletariato non perchè avesse intenzioni più benevole nei suoi riguardi, ma perchè aveva dubbi circa la possibilità di ingaggiare e vincere uno scontro con esso. I dubbi erano sulla disponibilità del fronte borghese a sostenere, in modo compatto e coerente, un eventuale duro scontro con la classe operaia. Il segnale delle elezioni di marzo, maggioranza dei voti a destra, era a tal fine confortante. Ma il voto non è garanzia perenne di coesione, né è arma sufficiente a vincere nello scontro di classe.
Tra la borghesia e nei ceti medi esistono posizioni differenti su come evitare all'Italia di ridursi a paese imperialista di serie B. Interi settori di quelle classi sono scarsamente propensi a disciplinarsi e uniformarsi a quel compito e sono, parimenti, refrattari a ingaggiare una lotta a tutto campo col proletariato. Intendiamoci, costoro vogliono, come tutta la borghesia, ridurre il potere della classe operaia, scompaginarne le fila e sottoporla senza difesa al mercato, solo che aspirano a ottenerlo senza misurarsi in uno scontro aperto, ma con una capitolazione volontaria da parte operaia, indotta da un ulteriore processo di "responsabilizzazione" delle forze riformiste e sindacali. Del pari esistono tendenze, ben rappresentate da Bossi, del tutto determinate a distruggere sul piano sindacale e politico il proletariato, ma refrattarie a ingaggiare con esso uno scontro a livello nazionale, preferendo affrontarlo in ambiti micro-nazionali, ove sarebbe più facile ridurlo "a ragione".
Queste posizioni, e i duri contrasti cui danno vita, mettono a rischio la necessaria coesione e determinazione dello schieramento borghese in uno scontro generale nazionale con la classe operaia che abbia caratteri definitivi, che sancisca cioè una sconfitta operaia di lunga durata. Ma, il miglior modo di rafforzare un esercito è quello di metterlo alla prova. Ed è esattamente quel che Berlusconi tenta con una finanziaria apertamente anti-operaia e cercando di costringere le varie sezioni della sua classe ad accantonare, almeno provvisoriamente, divisioni e incertezze e a schierarsi unitariamente sul terreno dello scontro.