Una noterella a margine sul PDS può servire a completare il discorsetto che abbiamo fatto su Rifondazione.
L'estromissione di Occhetto dalla segreteria del partito, a differenza di quanto alcuni si aspettavano, non ha segnato una correzione di rotta "a sinistra", ma ha vieppiù aperto le cateratte a destra nel partito. Niente di stupefacente che in questa corsa sempre più vorticosa verso la cascata, ad un D'Alema intento ad allargare sempre più le maglie del "blocco progressista" verso il centro, previo un ulteriore taglio alle sue frange "massimaliste", facciano da contrappunto un Veltroni ed un Occhetto ai quali neppur questo basta più, tant'è la voluttà di gettarsi nel vortice di un blocco unitario semplicemente "democratico" in cui si confondano assieme vari partiti sin qui separati (e le varie classi sociali da essi rappresentate).
A Modena D'Alema è partito dal riconoscimento che "Berlusconi, Bossi e Fini hanno saputo anche "interpretare" una domanda di cambiamento. Hanno parlato di federalismo, occupazione, meno tasse, contro uno Stato burocratico, centralista, inefficente. Sollecitando interessi di tanta gente diversa ma esasperata: piccoli e medi imprenditori, professionisti, ma anche ceti popolari, giovani, donne senza lavoro". Il problema è che ora "noi" dobbiamo saper dare una voce credibile a questa domanda di cambiamento con una "proposta di governo ed un'alleanza sociale" che "va al di là del dialogo tra i partiti". Perciò, "se vuole governare, la sinistra deve avere il coraggio di proporre un nuovo patto nazionale e sociale alle forze dell'imprenditoria, delle professioni, dell'intellettualità, ad una parte della borghesia italiana. Su quali contenuti? Uno Stato meno invadente e più efficiente" per "una vera riforma federalista dello Stato, la creazione di un vero mercato".
E' la conclusione logica della "svolta della Bolognina" (e del togliattismo), con l'altrettanto logica conseguenza che da questo "blocco di alleanze" si è definitivamente espunta -né poteva essere altrimenti- la vecchia "centralità della classe operaia" (qui neppur nominata: siamo arrivati alle indistinte "professioni", colletti blu e sciur Brambilla assieme!).
Un passo di più, incalza Occhetto. La semplice permanenza di un distinto partito querciaiuolo è di ostacolo all'auspicato "rinnovamento". Anche la più lontana ombra di falcetto e martelluccio devono sparire se si vuole arrivare a tanto. Cioè: anche l'ultimo segno di una distinta organizzazione che abbia come propria base una quota pressante di proletariato organizzato "a sé" dev'essere cancellato. Il corporativismo "vero" ripescato da "sinistra"!
Il "dibattito politico interno" non potrà d'ora in poi che vertere su questi punti, con una gara tra le parti a vedere chi ne è il campione più conseguente.
Salvo delle ancor più ardite varianti, come quella del "partito dei sindaci progressisti", Cacciari in testa, che si appresta ad indire una sua prima convention aperta per rivendicare alle megacittà il diritto non sappiamo bene se al federalismo più spinto, o addirittura ad un modello di città-stato indipendente e sovrana (quanto alla cassa almeno) rispetto alla "concorrenza" di altri centri. E così: Pericle ad Atene, Cacciari a Venezia... O, più sensatamente (ma non meno forcaiolamente), un modello di federalismo regionale, quale quello sollecitato dai querciaoli dell'Emilia-Romagna, stufi, a quanto pare, di aver sin qui assicurato al PDS le più alte quote di entrate senza potere, in cambio, riceverne in cambio un'egual dose di rientro in termini di salvaguardia dei "propri interessi locali". Veltroni o D'Alema, ce ne frega un cancher, s'è detto apertamente a Bologna: l'essenziale è che, d'ora in poi, per quel che ci riguarda qui in regione decidiamo noi, o altrimenti non si sgancia più una lira.
A partire da questo bel substrato si è dato il cosiddetto confronto Veltroni-D'Alema per la carica di segretario del partito. Impegnatissimo il primo a voler gettare alle ortiche sin l'ultima ombra operaista, di classe; volonterosissimo il secondo nell'assicurare che quel tanto di acqua operaia che va conservata servirà solo e comunque a scodellare un bel brodo borghese con nulla più di rosso, neppure come colore.
Le modalità di un tale dibattito la dicono già lunga sui suoi contenuti. Si deve trattare di una "competizione civile" tra "amici", "laica", suggerisce D'Alema., come si conviene ad un insieme di "persone mosse da individuali e difformi motivi", non esistendo più "un "popolo" ideologicamente, rigidamente, e quasi geneticamente costituito". In poche parole: è lo stesso concetto di partito (e cioè di classe) che va completamente eradicato. Parlino e competano tra loro "laicamente" le persone. (Ma è dubbio che poi queste "persone" parlino dei dolori del giovane Walter, o Massimo, ad Achille: per loro bocca parlerà il partito di altre classi, dopo aver tolto "personalità" al proletariato).
Questa cancellazione "genetica" del senso stesso di un'appartenenza di classe, di partito, costituisce il dato centrale del compimento in profondità delle "svolte" precedenti (da Salerno alla Bolognina), e tutti gli attuali "protagonisti" ci stanno bene dentro. E' solo miserabile folclore il modo in cui poi tutto ciò si manifesta a livello "competitivo", sino alle pantomime di un Occhetto che s'immagina di essere e di parlare da "personaggio", da "protagonista" individuale senz'altri vincoli che non se stesso.
Operazione raffinata e semplice, sulla carta. Ma sarà poi possibile annullare sul serio, nel reale della società, la costituzione genetica di classe del proletariato, la sua irriducibilità agli interessi delle classi proprietarie, il suo naturale costituirsi secondo un'ideologia ed un'organizzazione proprie? Questo il temino alquanto più difficile che spetta ai vertici PDS risolvere. E questo anche il temino che dovrebbe proporsi a chi oggi si dichiara comunista, come nel caso di Rifondazione. Se alla domanda diamo una risposta negativa non ci resta che cogliere questa contraddizione tra un partito costretto a rivolgersi anche al proletariato per tentare di legarlo alla propria politica borghese e le ragioni antagoniste insopprimibili di questo stesso proletariato. Non ci immaginiamo che quest'ultimo lasci spontaneamente e subito quello che, comunque, sente come un proprio partito (a misura che in esso ha creduto di trovare un proprio rappresentante all'interno della società borghese ed in esso ha via via imparato ad adattarsi progressivamente alla logica borghese); ci aspettiamo però che l'insopprimibile sua esigenza di battersi per i propri interessi, scontrandosi vieppiù con le possibilità di conciliazione interclassista, porti a porre oggettivamente e soggettivamente il problema di dar coerenza a queste stesse aspettative. Di qui muoviamo per "interpretare" ed esprimere le esigenze del proletariato ed arrivare a svuotare il partito (sempre meno)"operaio"-(sempre più) borghese.
Altro che "la Quercia ondeggia", come scrive Liberazione per scansare i temi del programma, dell'organizzazione, della direzione comunisti! Gli ondeggianti, come merli sui rami del riformismo, siete solo voi!