ANCORA DAI BALCANI:
LA GUERRA (DEGLI ALTRI) E' BELLA E COMODA

Indice

Cominciamo quest'aggiornamento sui casi della ex-Jugoslavia con un breve riassunto delle puntate precedenti.

E partendo da una considerazione. Esiste una favola, largamente corrente, secondo la quale l'epoca attuale è dominata dai mass-media. Chi ha nelle proprie mani i mezzi dell'informazione e della propaganda, si dice, ha, insieme, quelle del potere. (Piccolo problema di logica elementare: se così fosse, come ci si potrebbe immaginare una ricostruzione delle "regole" infrante del "libero gioco democratico" una volta espulsi dall'area materiale del potere? Boh!).

I fatti relativi alla (ex)-Jugoslavia parrebbero dar ragione a quest'assunto: i padroni dell'informazione hanno sin qui potuto cucinare il piatto in tutte le più inverosimili salse, costruendo su di ciò un plebiscitario consenso, ad onta del carattere palese delle menzogne perpetrate allo scopo.

Un buon mezzo di comunicazione: la lotta di classe

Noi ci permettiamo di sollevare un'obiezione. La menzogna mass-mediatica trova in sé la capacità di affermarsi incontrastata solo a misura che essa corrisponde ad una latitanza della lotta di classe. Quando quest'ultima è presente non ci sono sbarramenti mass-mediatici che tengano. La lotta si forgia da sé i propri strumenti di comunicazione, trasmette i suoi messaggi incendiari e demolisce praticamente i muri delle falsità borghesi. L'era dell'informatica non apporta, in questo, nulla di sostanzialmente nuovo rispetto al passato. Prima dell'ondata rossa del '17-inizio anni '20 il nemico di classe disponeva, comparativamente ad oggi, degli stessi, se non di superiori, mezzi di rincoglionimento delle masse, dal monopolio della stampa al maestro al prete, senza contare lo stato economico miserando cui era costretta la "plebe". Con tutto ciò, una rivoluzione e più tentativi rivoluzionari si sono dati allora e bastò che la lontana eco della rivoluzione d'Ottobre arrivasse in Europa per vie traverse e che il nome di Lenin vi si accompagnasse per ridestare coscienze e muscoli in maniera del tutto inaspettata per il borghese sicuro del proprio monopolio dei mezzi di comunicazione.

Se oggi siamo rinculati le mille miglia da ciò non si deve a chissà quali nuovi artifici tecnici nell'arte della manipolazione, ma al gioco, settantennale ormai, di cloroformizzazione della lotta proletaria antagonista da parte del "riformismo", agente della borghesia in seno alla classe operaia, e cioè alle risorse di corruzione di cui il capitalismo imperialista metropolitano è riuscito a disporre, senza trovare una decisiva opposizione sul suo cammino, nel corso di questi decenni.

La caterva di menzogne rovesciataci addosso sulla realtà (ex)-jugoslava non sarebbe in grado, di per sé, di resistere al benché minimo accenno di critica se non fosse per il fatto che essa è in grado di presentarsi, oggi, agli occhi delle masse col volto rassicurante della sola verità che conti: la certezza che il "nostro" capitalismo la può (e deve) fare da padrone e che, fintantoché questo dato "ci" è assicurato, qualcosa abbiamo anche "noi" da lucrare; che mescolarsi in faccende "oltre confine" non conviene al proletariato "nazionale", che vi avrebbe tutto da perdere (e dove, poi, trovarvi un interlocutore, visto che laggiù, come quiggiù, non esiste alcun riconoscibile fronte di classe?).

Se gli organi d'informazione governativi (berlusconiani ed... ante-marcia) l'hanno fatta da padroni sul tema come si spiega l'accodamento ad essi dell'"opposizione di sinistra"? Potenza dell'informazione nemica o complicità ed accodamento da parte di chi, in teoria, avrebbe dovuto contrapporvisi? Ed è davvero una questione che riguarda "solo" fatti fuori il portone di casa? O questa straordinaria connivenza nella menzogna antiproletaria sulle questioni balcaniche non indica piuttosto che essa esiste, nella stessa misura, ancorché mascherata, all'interno dei patrii confini?

Ricapitoliamo, dunque, brevemente.

Videogiochi balcanici: il mouse sta in mani occidentali

Alcune repubbliche ex-jugoslave (Slovenia, Croazia), che hanno potuto sfruttare il gioco dello sviluppo ineguale e combinato all'interno della Federazione "agganciandosi" così (come il cane con la sua catena al padrone) alle metropli europeo-occidentali, Germania in primis, s'immaginano di poter utilmente recidere i legami con essa dichiarandosi indipendenti. Tutto bene, fin qui, tanto per i nostri borghesi, felici di aver trovato dei cani di razza a disposizione gratuita (e con la speranza di accedere al più presto alla proprietà della muta restante), che per le nostre "sinistre" che, all'uopo, riscoprono persino il "diritto all'autodeterminazione nazionale" (ed anche Rifondazione dà il suo contributo).

Da parte sua, la Serbia, politicamente capeggiata da non meno balordi arsenali borghesi nazionali, chiede di poter fare altrettanto, enunciando lo "stesso" diritto al conclamato principio di autodeterminazione. "I serbi coi serbi": squallido passo indietro rispetto alla giovane e borghesemente risorgimentale Serbia del passato, che ambiva almeno ad un suo ruolo da Piemonte balcanico; comunque, con le stesse carte "di principio" dei diritti nazionali in mano rispetto alla Slovenia ed alla Croazia. Ma, chissà perché, il due di briscola sloveno-croato val più del quattro di briscola serbo per i "nostri" giudici di gara.

(Il perché crediamo di averlo spiegato in lungo e in largo nel corso di questi anni: l'arretrata -economicamente- Serbia si dimostra meno disposta ad una diretta manomissione occidentale, e in ciò attesta uno scarso savoir faire..., perciò deve essere "disciplinata" coi mezzi che ben conosce ed amministra la "democrazia" occidentale).

L'Occidente le tenta tutte e pare ad un passo dalla realizzazione dei suoi piani col catapultamento a Belgrado del fantoccio Panic, confezionato in un batter d'occhio negli States. Senonché, i serbi non abboccano e, sia pure piazzandosi su trincee nazionalistiche, quindi reazionarie, rilanciano la propria sfida pan-serba contro tutti i tentativi occidentali di mettere ad essi la museruola.

Apriti cielo! L'Occidente, nel suo tentativo di bruciare la tappe verso un pieno e incontrollato dominio sui Balcani (con più d'un contendente attorno all'osso), apre la "questione macedone", che immediatamente si proietta oltre i confini dell'(ex)-Jugoslavia, e quella bosniaca, mentre, manovrando dai neo-conquistati avamposti albanesi, non cessa un istante di fomentare la rivolta nel Kossovo.

Si sa benissimo (tutto calcolato!) che la riconosciuta "indipendenza" bosniaca sotto l'egida "mussulmana" ed etnocentrica di Izetbegovic trascina con sé una serie inevitabile di nuovi conflitti: serbo-bosniaci, ma anche croato-bosniaci e persino inter-"mussulmani". E questo alle spalle e sulla pelle di una massa imponente di bosniaci irriducibili ai contrapposti disegni etnicamente "puliti". Non è proprio questo l'affare?

Arriviamo a quest'inizio estate. La guerra langue. Tra le masse bosniache, comunque connotate per nazionalità o religione, crescono la disaffezione e la ribellione. "Oasi" plurietniche resistono e, con l'affievolirsi del canto delle armi, sembrano diffondere un proprio contromessaggio rilevante non solo per la Bosnia.

Di fronte a ciò, i padroni dell'ONU si affrettano a dichiarare "indiscutibile" un piano di spartizione del paese su base etnica disegnato apposta per penalizzare nella spartizione i serbi gettando, insieme, le basi dei nuovi inevitabili conflitti a venire tra croati erzegovesi e "mussulmani" ed ignorando il problema aggiuntivo delle spaccature all'interno dello stesso "fronte mussulmano": ma, soprattutto, per impedire un ricompattamento -in nuce nella popolazione, soprattutto a Sarajevo- al di là degli steccati etnici (per "risolvere" quest'ultimo problema sarebbe sufficiente un'"amministrazione ONU" della città, ridotta ad una riserva da cui non possa trasmigrare il virus dell'affratellamento "jugoslavista": così come già realizzato a Mostar, dove il sindaco è... tedesco: e quale miglior garanzia?).

Il parlamento di Pale si potrà dire espressione di una banda di nazionalisti, ma, in questo almeno, dotato di una sua fierezza balcanica (che, ripetiamolo!, noi reputiamo come tale indifendibile e reazionaria anche in quanto ad una prospettiva, storicamente tramontata, "risorgimentale", ma che comunque manifesta l'esistenza di un'opposizione popolare, di massa alla neocolonizzazione imperialista che solo il marasma del movimento operaio occidentale impedisce sia mutata di segno e si converta in un reale potenziale classista di risposta conseguente all'imperialismo). Pale non cede.

Partono, allora, dalle "nostre" basi aeree i voli punitivi anti-serbi, e qui nessuno si chiede neppure più quali siano i "nostri" residui margini di azione "nazionale" in proprio. Dai berlusconiani alla "sinistra", la libidine di servire i vari padroni (USA e Germania) fa da premio su tutto il resto. Solo qualche sparuto manipolo di Rifondazione protesta: ma non per l'atto di guerra imperialista o in nome di un programma anti-imperialista comune tra i proletari di qui e quelli di là; no, in nome di un'azione più vincolata ad un'ONU "riformata" che ai soli USA-Germania, in nome di una maggior "autonomia" (imperialista) dell'Italia. La coscienza critica dei "nostri interessi nazionali": più in là non si va...

Nel frattempo, milioni di dollari sono affluiti nelle tasche dell'intemerato Izetbegovic da parte dei "fratelli mussulmani" medio-orientali. L'Occidente calcola che non esista un pericolo di influenza islamica nella regione (o, da parte degli USA, si può anche contare su un certo sviluppo di essa sotto controllo, ma intanto sufficiente a creare complicazioni alla concorrenza europea sul fronte Sud su cui poter lucrare, tanto per mettere un bastone tra le ruote dei propri partner quanto per guadagnar spazio in proprio in Medio Oriente). Questi milioncini devono rientrare nelle casse dell'Occidente. "Basta con l'embargo sulle armi ai bosniaci!", è l'accorato appello di Clinton. Noi abbiamo armi da vendervi in abbondanza. Vu cumprà?

Euroshopping delle armi

Scrive un giornale governativo croato (la "normalizzata" Slobodna Dalmacija): "Naturalmente è un segreto risaputo che le armi arrivano alle forze governative in sufficienti quantità specialmente dopo la riattivata collaborazione tra mussulmani e croati: e l'abrogazione dell'embargo è soltanto un simbolico atto estremo con il quale il mondo concede luce verde alla guerra totale". (Oggi vien reso noto un altro segreto di Pulcinella: il libero e massiccio passaggio di armi dall'Occidente alla Slovenia ed alla Croazia nella fase della loro preparazione bellica, da qui diretta, e quello -dalla Slovenia in particolare- verso la Bosnia per la guerra atto secondo...)

Non è un caso che Izetbegovic, sul finire del '93, si dichiarasse pago di un terzo del territorio mentre oggi "forte di 200 mila uomini, quanti ne avrebbe attualmente sotto le armi" (La Voce del Popolo, 14 gennaio) "tutto lascia intendere che non abbia voglia di rinunciare alla Bosnia tutta intera". L'accordo raggiunto coi croati sotto l'egida occidentale dovrebbe facilitare il raggiungimento di questo scopo.

Così, mentre ai serbi s'imputava ogni genere di "violazione degli accordi", le truppe di Izetbegovic hanno potuto tranquillamente farsi beffa delle tregue dichiarate sia nei confronti dei serbi che dei ribelli di Abdic. Il primo agosto La Voce del Popolo riferiva di centinaia di morti tra le fila di Abdic nell'area di Kazin nel corso di una spietata offensiva del V Corpo d'armata bosniaco. Di seguito si è avuta la caduta di Bihac, ultima sacca di resistenza dei ribelli, con un impressionante numero di vittime e di profughi, ai quali i croati hanno "lealmente" chiuso ogni via di scampo sul proprio territorio per consegnarli al massacro ad opera dei loro (provvisori) alleati. Non sono esseri umani (mussulmani, per giunta) anche questi? E che importa! (Da notare che quando si parlava degli scontri tra mussulmani in questa regione, stampa e TV han sempre fatto credere che si trattasse invece di uno scontro serbo-mussulmano! Quando si dice la "professionalità" e l'"indipendenza" del giornalismo...)

Se questi sono i metodi per "liberare" la Bosnia, è facile immaginare quel che ne seguirà a risultato ottenuto.

Primo: tutti gli elementi di conflitto già presenti all'interno della stessa comunità mussulmana sono destinati a riesplodere fragorosamente allorché sarà chiaro che il regime di Izetbegovic non è in alcun modo "legittimato" dal consenso popolare, ma dalla sola forza che gli viene dall'appoggio esterno (e governare la pace sarà, allora, assai più duro che governare la guerra!).

Secondo: la "luna di miele" coi croati, provvisoriamente utile per i "comuni" interessi anti-serbi delle due parti e propiziata dall'Occidente per dimostrare che ad opporsi ad una soluzione pacifica della questione bosniaca è solo Pale, si preannunzia foriera unicamente di nuovi conflitti.

L'ex presidente della camera delle Contee di Croazia, l'ex-HDZ Manolic, non ha avuto esitazioni a denunziare che proprio la "lobby erzegovese" ha iniziato la guerra contro i mussulmani, portando ad un risultato di "decine di migliaia di morti, 300 mila profughi, distruzione" (La Voce del Popolo, 1 agosto) e tuttora condiziona pesantemente le sorti della stessa Croazia. Tribuna non sospetta. Ma qui chi l'ha mai rimarcato? E che ne sarà a "pace" fatta? C'è qualcuno che veramente s'immagina una "pacifica convivenza" erzegovese-mussulmana all'interno della futura federazione bosniaca? No di certo. Ma va bene così, sia per la Germania che preme verso sud, sia per gli USA che manovrano il pupazzo Izetbegovic per guadagnarvi posizioni, sia ancora per l'Italia, indecisa su a chi deve mettersi a servizio nella contesa, ma indefettibilmente decisa a farlo. Meno bene (ma è fattore del tutto trascurabile) va per le popolazioni interessate...

Tutte le armi puntate contro i serbi! Questo è l'unico dato occidentale palese; così croati e mussulmani possono essere indotti a non vedere che le stesse armi sono, in modo assai più sottile, puntate anche contro di essi (una cecità che infetta più i "capi" che i popoli in questione, ma è quanto basta per il momento).

Si è arrivati così ad imporre ai serbi di Pale le carte di spartizione preparate ad Occidente (alla faccia dell'"autodeterminazione" ed alla faccia della proclamata "vera pace"!) con un "prendere o lasciare" (e "buscarle") senza margini residui di trattativa.

Chi ha anche solo dato una scorsa a queste carte si sarà benissimo reso conto della loro impraticabilità, o, meglio, del loro carattere apertamente provocatorio, atto solo a fomentare nuove ragioni di scontro. Pale ha raccolto la sfida, nonostante tutte le armi puntategli contro, ed ha risposto con un -in parte inatteso- "no" plebiscitario, che dà la misura della propria determinazione nazionalistica (in ciò reazionaria, l'abbiamo detto, ma perlomeno non disposta ad un "volontario" e disonorevole vassallaggio).

Le metamorfosi di Milosevic: da lupo cattivo a buon agnellino ubbidiente

Quel che l'Occidente non è riuscito a strappare a Pale è riuscito però a farlo con Belgrado. Il "terribile" Milosevic -colpevole in passato di chiedere per sé gli stessi diritti riservati ad un Tudjman: la riunificazione dei serbi in un solo stato e per via pacifica- ha ceduto ignomignosamente all'Occidente, soffocato dagli effetti dell'embargo imposto al paese, ed ha così deciso "volontariamente" di tagliare i ponti coi "fratelli serbi" di Bosnia, embargandoli a propria volta.

Questo fatto sta a dimostrazione di quanto sin dall'inizio abbiamo sempre detto. E, cioè, che il progetto pan-serbista, oltre a segnare un rinculo a precipizio rispetto alle passate tradizioni borghesi risorgimentali e cioè, per forza di cose, jugoslaviste, della Serbia, non aveva in sé alcuna possibilità di portarsi a compimento nel quadro attuale dei rapporti inter-imperialistici. Il restringersi della borghesia miloseviciana ad un "proprio" ambito serbo era, sin dall'inizio, destinato a tanto.

Ne possono derivare due conseguenze.

La prima (quella per cui ci battiamo) è che agli occhi dei miliziani serbi appaia evidente che la difesa dei propri "interessi nazionali" è incompatibile con il permanere al potere delle attuali forze borghesi a Belgrado, per loro natura disposte ad ogni sorta di meretricio, e da qui si risalga ad una ricompattazione degli interessi e dell'organizzazione "popolari" per opporsi all'imperialismo: il che porterebbe, però, ad un'istanza di classe su basi non più nazionalistiche bensì plurietniche, pan-jugoslave -perlomeno- in prima battuta. Inutile dire che non si tratterebbe allora di una migliore continuazione di questa guerra, ma di un completo ribaltamento di essa.

La seconda (cui tutti gli altri concorrono) porterebbe ad un ulteriore intrappolamento delle forze serbe "fuori della casa madre" lungo vie di fuga sotto-nazionali (ed iper-nazionalistiche), insieme all'emergere a Belgrado di spinte pan-serbiste di estrema destra, di tipo "cetnico" (la contestazione a Milosevic sotto queste insegne è già cominciata e proprio ad opera degli "oppositori del regime" qui in precedenza coccolati dai nostri mass-media). Un vero e proprio cancro per l'organismo vitale del "popolo" serbo e per tutta la Balcania, e si capisce perché da Occidente esso venga accuratamente coltivato in laboratorio e sul vivo.

S.O.S.: communisme

Inutile dire che per scongiurare questa seconda ipotesi e far avanzare la prima occorrerebbe una ben altra presenza sul territorio jugoslavo di forze autenticamente comuniste, al momento del tutto assenti, anche quando esistono organizzazioni a tale denominazione che certamente hanno avuto ed hanno il merito di opporsi alla guerra fratricida, di denunziare le responsabilità di tutte le parti di potere in causa e di proclamare la necessità di una via d'uscita jugoslava al conflitto. Disgraziatamente, tali forze non sanno andare più in là di un patetico ed inane richiamo alle virtù perdute del titoismo, cioè del regime da cui sono rampollate le contraddizioni che hanno irrimediabilmente minato dall'interno l'organismo "unitario" precedente (1).

Ed occorrerebbe altresì un'analoga presenza qui, nelle cittadelle dell'imperialismo, dove, al contrario, non resiste neppure un siffatto genere di passatismo sì, ma militante, in piedi. Sotto questo profilo pare davvero di non poter antivedere troppe risorse positive per l'avvenire immediato.

Senonché, come abbiamo in numeri precedenti rilevato, l'esperienza di questi anni di guerra e, quasi peggio, di raggiunta "pace" in vasti territori della (ex)-Jugoslavia sta insegnando qualcosa ai diretti interessati. In Slovenia e in Croazia sta crescendo un'opposizione sociale e, più lentamente ed in modo necessariamente confuso, politica. La Macedonia "indipendente" ha potuto saggiare nel frattempo le virtù della propria "indipendenza": "L'applicazione delle sanzioni della comunità internazionale nei confronti della Serbia e del Montenegro... ha causato all'economia macedone un danno stimato pari a quasi tre miliardi di dollari... La produzione in Macedonia nel corso degli ultimi due anni e mezzo si è ridotta della metà. La maggior parte degli impianti produttivi opera ad un ritmo che va dal venti al quaranta per cento delle capacità potenziali... Circa centomila lavoratori attendono ancora le paghe dovute e si moltiplicano gli scioperi" (La Voce del Popolo, 27 luglio); il tutto mentre nel paese stazionano gli esperti (esperti sì!) USA.

Non è pensabile che questi primi elementi di ripresa classista siano destinati a stagnare senza porsi il problema del perché dello sfracello attuale e senza, quindi, passare alla definizione di un programma ed alla creazione di un tessuto organizzativo proletario.

La primissima condizione della ripresa, consistente nella lotta per un miglioramento dei propri livelli di vita, già di per sé richiama necessariamente il tema: chi ci sfrutta?, chi detiene il potere politico ed economico diretto contro di noi? E già a questo punto si individuano di fronte non solo le sagome dei potentati interni, ma quelle dei super papponi occidentali. L'ammaestramento politico che ne risulta é inequivoco.

La favola dello sfruttamento della "propria nazione" ad opera di uno o più degli altri stati ex-jugoslavi non è destinata a reggere molto oltre. Tant'è: gli stessi dirigenti politici "nazionali" cominciano a rendersi conto dell'insopportabilità del giogo occidentale (che, riducendo le terre "liberate" allo stato di neo-colonie, provoca rovina, scontento, ribellione domani e, quindi, delegittimazione potenziale del loro stesso potere) e, contemporaneamente, dell'urgenza di ristabilire un minimo di tessuto economico comune tra i vari "soggetti" della ex-Jugoslavia al fine di ristabilire un trend di sviluppo meno disarmonico e più profittevole.

Oggi, non solo il macedone Gligorov invoca questa ripresa di contatti a scala (ex)-jugoslava, ma se ne sente l'urgenza anche da parte di Slovenia e Croazia, costrette, in qualche modo, a tornare a guardare alla Serbia stessa come partner commerciale. Un movimento anche embrionale di classe non può che spingere l'acceleratore in questa direzione, mirando a ricomporre -questo è ovvio- un ben altro tessuto di rapporti tra le varie frazioni di classe attualmente divise.

A questi primi sintomi di ripresa di contatti economici sta, d'altra parte, già facendo seguito quella dei contatti, diciamo così, "culturali". Già oggi, giornali serbi possono leggersi in Slovenia e Croazia e viceversa e stenta meno che ieri la circolazione dei rispettivi prodotti intellettuali. Piccola cosa, sinché quel che circola appartiene ancora al bagaglio delle classi dominanti, ma, in prospettiva, non insignificante. Il proletariato dovrà battersi perché questo processo si allarghi, sino a mettere tra di loro in contatto i vari "punti di vista operai" (significherebbero o no qualcosa scambi di materiali ed incontri tra sindacati e partiti "operai" delle varie nazionalità?).

Quest'ultimo punto, d'altra parte, non può neppure più limitarsi alle terre (ex)-jugoslave. E' estremamente significativa l'iniziativa della IGM-Metal germanica per concertare delle linee d'azione comuni con i fratelli operai dell'area... sud-tedesca ed offrire ad essi dei concreti aiuti (tecnici e finanziari) per rilanciare laggiù una decisa lotta salariale. Sappiamo benissimo, in questo caso, cos'è che spinge a tanto i sindacati tedeschi: la preoccupazione (non propriamente internazionalista) che, potendo liberamente attingere in Slovenia e Croazia ad una manodopera a basso prezzo, il "proprio" capitale vada a ricattare e colpire i "patrii" operai; la cosa non ci sorprende né imbarazza; beccatevi intanto questa che per fare del riformismo in casa dovete mettere in moto una lotta di classe fuori di essa. Il resto, quello che noi ci aspettiamo, verrà poi (a determinate condizioni, va da sé, incompatibili coi punti di partenza ed i paletti nazionalistici e social-sciovinisti che si pretende di piantare invalicabili).

Il punto più basso della frantumazione nazionale e classista in Jugoslavia è già stato toccato. La ripresa incomincia di qui, per lenta e dolorosa che possa essere. Le potenze imperialistiche, col loro docile seguito di cani da guardia riformisti, sta facendo l'impossibile per impedirla, attizzando sempre nuove occasioni di conflitto, ma, intanto, la nostra partita si è riaperta.

Crediamo di avere in mano delle buone carte per giocarcela. Le migliori ce le sta passando, non volendolo, il nostro stesso avversario. Se ne riparlerà, se ne riparlerà...


(1) Un certo jugoslavismo titoista fa molto di peggio. La rivista Balcanica, che si stampa a Roma ad opera di esuli jugoslavi, ce ne offre un ben tristo campionario. Dopo aver (giustamente) posto anche Milosevic tra i colpevoli dell'attuale disastro, imputandogli un ristretto e reazionario punto di vista nazionalistico grande-serbo, piange sulla possibile e mancata difesa militare dell'unità jugoslava, senza mai porsi uno straccio di problema sulla sua difesa da parte della classe ed in una prospettiva di classe -per noi incompatibile coi presupposti del vecchio titoismo, già cadavere prima della morte del leader-.
Passi. Il guaio è che per contrapporsi all'invadenza germanica nella regione non si ha vergogna di appoggiarsi ad una possibile concorrenza "bilanciatrice" italiana. Leggere per credere: "Con la maggiore influenza e presenza tedesca e russa (e probabilmente mussulmana) in Adriatico, la vittima non è solo la Jugoslavia (quella di Tito), ma anche l'Italia... E' strana la passività e la serie di passi sbagliati compiuti dal governo italiano alla vigilia e nei primi anni della guerra jugoslava.L'influenza cattolica, e in questo caso la nefasta solidarietà con gli scissionisti cattolici jugoslavi (Croazia e Slovenia), non potranno mai giustificare i rischi che l'Italia si è addossata, lasciando agire gli altri per conto suo, sicuramente non nell'interesse italiano". E, in un'intervista a Gligorov, il redattore suggerisce: "L'Italia potrebbe avere dei problemi con la Slovenia e con la Croazia. Da ciò, direi, la Macedonia potrebbe trarre un vantaggio. La Macedonia sarà privilegiata, dato che l'Italia desidera essere presente in qualche modo nei Balcani... Così, quando la situazione a Roma sarà normalizzata, e per questo non ci vorrà molto tempo, ci si potrà aspettare qualche gesto italiano, un'iniziativa italiana, che Roma non dovrebbe lasciare alla Germania. E l'unico territorio balcanico che i tedeschi non hanno "occupato" è questo qui". (Cfr. Balcanica, n. 1/2 del '94).
Jugoslavismo in affitto al "migliore" dei predoni imperialisti! Il non allineamento e la terza via titoiste ne han fatta di strada! Se Tito potesse sentirli nella tomba, vi si rivolterebbe; ma dovrebbe anche porsi questo quesito: non è forse questa la legittima conclusione di un effettivo allineamento extra e contro-proletario?
Il "socialismo in un solo paese" non è bastato alla grande URSS a parare i colpi del capitalismo imperialista. Figuriamoci in Jugoslavia! Difesa della Jugoslavia e lotta proletaria internazionale per il socialismo fanno un tutt'uno. Ogni altra strada significa svendita del socialismo e (visto che di questo poco ci si preoccupa) del paese. Se ne rendano ben conto i nostri amici di Balcanica che stanno in vana attesa di un nostrano neo-duce "liberatore"!