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Il ciclo di ricostruzione post-bellica, con relativo "boom" della produzione e dei profitti, è stato contrassegnato in Italia, come altrove in situazioni analoghe, da una politica di ampia concertazione tra governo, padronato e sindacati, specie dopo che (tra la fine degli anni '40 e gli inizi del '50) erano stati soffocati i residui focolai di resistenza operaia su posizioni di classe autonome. Nel '56 viene sancito l'istituto dei contratti aziendali, nel '61-'62 quello dei contratti collettivi di categoria; tra il '62 ed il '65 si hanno le prime regolamentazioni aziendali dei diritti sindacali e nel '68-'69 arriva la legittimazione delle rappresentanze aziendali, mentre viene sancita la parità di trattamento tra operai ed impiegati in caso di malattia; nel '73 si ha l'inquadramento unico; nel '74-'75 il punto unico di contingenza; nel '76 viene proclamato il diritto dei sindacati all'informazione da parte dell'azienda... Il tutto ha il suo vertice nello Statuto dei Lavoratori. Accordo come regola e, all'apparenza, accordo a progressivo vantaggio per gli operai.
La politica di concentrazione si protrae in Italia più che in altri paesi europei, anche al di là dell'inizio della crisi, per l'effetto di "trascinamento" delle lotte del '69, che nel nostro paese sono durate ben oltre una stagione calda. Ma, inesorabilmente, dalla crisi del '74 in poi la tendenza s'inverte. Il capitale cerca di uscire dalla crisi pilotando lo scontro sociale e facendone comunque pesare i costi sulla classe operaia.
Il sindacato unitario, in cambio di alcuni vantaggi politici in termini di accesso istituzionalizzato ai centri decisionali dello Stato e di un sostegno statale sufficiente a garantirgli la sua "rappresentatività", risponde a questo mutamento di direzione concedendo in termini di salario, mobilità, flessibilità della manodopera, cassa integrazione... Sono soprattutto gli accordi del gennaio-marzo '77 con la Confindustria ed il governo ad aprire un vero e proprio periodo di aperta disponibilità sindacale verso le esigenze del capitale (accordi sulle festività, sulle ferie scaglionate, l'aumento della mobilità ed il "controllo sullassenteismo"...). Nei nuovi contratti che vengono firmati il "diritto all'informazione" prende il posto della voce "aumenti salariali". La concertazione comincia a parlare a senso unico.
È precisamente a questo punto che la politica di concertazione entra in crisi comatosa, nonostante tutta la buona disposizione del riformismo sindacale e politico (si vedano i "giusti sacrifici" fatti passare dal PCI in nome della "solidarietà nazionale" e dei compromessi più o meno "storici"): padronato e governo debbono procedere oltre, senza impacci, andando sempre più a fondo nell'attacco alla classe operaia ed alle stesse forme di mediazione (in discesa) del riformismo. C'è ben poco da mediare, oramai; e questo vale per l'Italia come per tutti gli altri paesi:
"Nel marzo del 1982 attraverso questo metodo (di modificazione dall'alto, senza concertazione alcuna, n.) sono stati modificati i meccanismi di indicizzazione in Belgio, Olanda e Danimarca e sono stati congelati i salari in Francia. E questo si è verificato tanto con governi moderati e conservatori (i primi tre) che con governi di sinistra (il quarto caso). (...) La Germania (1977-78), la Gran Bretagna della Thatcher, la Francia di Mitterrand, la Svezia, l'Italia si muovono all'unisono con misure di rigore. È indubbio che gli strumenti del vecchio riformismo non siano più adeguati ad assicurare la ripresa dello sviluppo". (M. Corrieri - C. Donolo, "Oltre l'orizzonte neo-corporativista. Alcuni scenari sul futuro politico del sindacato", da "Stato e Mercato" n. 9).
Dalla concertazione al "decisionismo"; il che equivale: da una politica di contrattazione su margini effettivamente esistenti ad una politica di attacco alla classe operaia che non conosce margini di mediazione in prospettiva.
Lungo questa strada la posizione del riformismo sindacale e politico che non abbia fatto già blocco d'ordine con lo Stato come parte integrale di esso è quella di tentare un recupero in discesa delle "normali relazioni industriali" precedenti, prospettandosi una svendita controllata e "finalizzata" degli interessi immediati dei lavoratori. Ma esso non può più presentarsi come un partner sufficientemente affidabile né per promuovere la ripresa economica né per l'esclusiva in proprio della tutela sulla classe operaia. La prassi della concertazione è definitivamente tramontata, non per "volontà" di persone o gruppi sociali, ma perché sono andate distrutte le basi materiali su cui essa poggiava (e di cui era elemento propulsore) nel ciclo precedente.