L'era della concordia, per quanto conflittuale, tra borghesia e proletariato è tramontata per sempre anche in Occidente. Il ciclo di lotte partito dopo la guerra del Golfo e dopo il ritorno della recessione internazionale fin dentro le metropoli sta segnando la rottura di quel compromesso sociale che, dal dopoguerra, era stato alla base dell'edificio europeo.
Scossa dai crescenti antagonismi tra i vari capitalismi nazionali, l'unificazione dei paesi CEE è in frantumi. C'è un punto però su cui le borghesie del vecchio continente sono più che mai unite (e proprio per combattersi e scannarsi meglio, non solo in famiglia, ma anche con le cugine di terra americana e giapponese): vogliono farla finita, come dice Delors, con "l'eccessiva rigidità del mercato del lavoro, il potere dei sindacati, il peso degli oneri sociali e l'esagerato sistema di sicurezza sociale". Questa la ricetta "rigeneratrice" che i capitalisti europei, seppur con tempi e modalità diverse, stanno cercando di imporre ovunque. E ovunque, però, si stanno scontrando con una decisa resistenza della "propria" classe operaia.
Rimandando all'articolo sulla Germania circa la ripresa di lotta del proletariato tedesco, vediamo cosa è accaduto negli ultimi mesi in Francia, in Belgio e in Spagna.
Ottobre. E' di scena la Francia.
Prima uno sciopero delle imprese pubbliche (Bull, Air France, France Telecom, EDF, Rhone-Poulenc, Elf-Aquitaine, Renault), delle ferrovie e degli autoferrotranvieri contro i tagli previsti dal piano di privatizzazione varato dal governo conservatore di Balladur e la sua politica economica (analoga, per sanità e pensioni, a quella del governo Amato): 20mila lavoratori manifestano a Parigi sotto lo striscione "lo Stato, primo licenziatore di Francia". La mobilitazione è promossa unitariamente, dopo anni di divisioni sindacali e proprio "per uscire dalla loro impotenza", dalla CGT, da FO e, a livello locale, anche dalla CFDT.
Poi la lotta compatta dei dipendenti dell'Air France contro il piano di ristrutturazione del presidente Attali, che prevede 4000 licenziamenti e il congelamento, per tre anni, dei salari più bassi (mentre concede aumenti ai piloti). Per più di una settimana i lavoratori scioperano e bloccano le piste degli aeroporti. Attali non vuole mollare. Ma quando si profila la possibilità che i ferrovieri (che il governo tenta di usare per stabilire collegamenti sostitutivi a quelli aerei) scendano in lotta a fianco dei dipendenti aeroportuali, interviene il governo conservatore e sospende il progetto aziendale. Attali si dimette per protesta. Non aveva evidentemente fatto i conti con il muro della lotta dei lavoratori!
Novembre. Dopo la vittoria della lotta all'Air France, scendono in campo tutte le categorie. Il 19 sciopero di sedici grandi gruppi industriali pubblici contro il piano di ristrutturazione. Preavvisi di sciopero nelle ferrovie e nel settore minerario. Il 23 novembre 2000 minatori del bacino minerario della Lorena incrociano le braccia contro il taglio di 700 posti di lavoro su 13mila: a Metz provano ad assaltare i locali del consiglio regionale, si scontrano con la polizia (che lascia sul campo 47 feriti); nel porto di Illange danno alle fiamme i locali delle imprese e interi stocks di carbone importato, a prezzo inferiore, da paesi extra CEE.
Nello stesso mese la mobilitazione si estende al Belgio. Il governo di coalizione tra socialcristiani e socialisti vara un "piano globale per l'impiego, la competitività e la sicurezza sociale", che prevede la sterilizzazione della contingenza, il blocco dei salari fino al '96 e la diminuzione della spesa sanitaria e previdenziale. Scioperi a Liegi già il 19 novembre. Due giorni dopo entrano in ebollizione Anversa e città. Sotto la pressione di queste mobilitazioni, le due confederazioni sindacali (la FGLB e la CSC, collaterali ai due partiti di governo) indicono per il 26 novembre lo sciopero generale: benché ancor fresco della divisione in due parti, il Belgio è paralizzato da un movimento unitario di tutti i proletari. E' solo l'inizio di un duro scontro.
Alla fine del mese, salta la pace sociale anche in Spagna. Dopo 27 sedute, Confindustria, governo e sindacati non riescono a concordare il previsto patto sociale. Il governo, raccogliendo le richieste del padronato spagnolo e internazionale, procede da solo: deregolamentazione del mercato del lavoro, congelamento dei salari. La SEAT, del gruppo Volkswagen, licenzia 10mila operai a Barcellona ( mentre in patria accetta di firmare l'accordo di Wolsfburg). Di fronte a questo fuoco, i sindacati, le CO e la UGT, affilano i coltelli: il 25 chiamano i lavoratori a manifestazioni di massa. Le piazze traboccano di proletari: è il preludio dello sciopero generale, previsto per gennaio.
Non siamo impressionisti. Sappiamo bene di essere solo agli inizi. Mettiamo anzi nel conto nuovi ulteriori arretramenti. Una cosa è però certa: queste scarne notizie, collocate all'interno del corso del movimento operaio di questo secolo, non testimoniano gli ultimi rantolii di un pugile appena steso ko, bensì gli iniziali "sbadigli" annuncianti il risveglio del gigante proletario europeo.
Anche i più lucidi analisti borghesi cominciano a rendersene conto. Delors denuncia con timore: "uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro della rivolta dei poveri". Non è il nostro "vocabolario": ma il senso è chiarissimo.
Lo "spettro" di una guerra di classe nel cuore dell'Europa è così poco aleatorio che le borghesie del continente, da vecchie puttane quale sono, da tempo si affaccendano per "oliare" con ogni specie di "vasellina" il bastone che hanno cominciato a brandire : dalla distribuzione iperselezionata della fetta di briciole via via più piccola di cui dispongono, all'immissione nel vene proletarie della droga del nazionalismo e dello sciovinismo xenofobo. Alcune fra di esse arriveranno fino ad innalzare la bandiera del terzomondismo e del solidarismo sociale (e già se ne annuciano segnali in Francia e nella stessa Italia), pur di avvelenare il sangue degli operai e di trascinarli dietro il proprio carro capitalistico. Come comunisti non ce ne stupiamo, né ce ne spaventiamo. In ciò vediamo piuttosto la crescente incapacità del capitalismo di assicurare un'esistenza "accettabile" alla gran massa degli sfruttati. E' questa la leva oggettiva che li spingerà verso la "riscoperta" del grido di guerra del 1848: "proletari di tutti i paesi unitevi!". E' vero, siamo ancora lontani da questo traguardo. Ma l'attesa, plumbea, al "nastro di partenza" è finita: si cominciano a muovere i primi passi. Per ora separatamente in ogni singolo paese. Ma sotto la spinta di identiche necessità materiali.
Ai comunisti battersi affinché questi primi simultanei passi non vengano deviati sui binari morti del compattamento nazionale e portino invece sulla strada dell'unificazione internazionale del proletariato. Per i propri interessi di classe, per il comunismo.