Il quadro che esce dalle recenti elezioni amministrative in alcune tra le più grandi città del nostro paese è, a nostro giudizio, il più desolante possibile.
Quest'affermazione potrà parere paradossale a molti. Ce ne assumiamo volentieri la responsabilità.
Intendiamoci. Anche per noi è assolutamente chiaro che Fini a Roma, la Mussolini a Napoli, Serra a Genova, Mariconda a Venezia e -peggio ancora, se possibile- Staffieri a Trieste rappresentavano un'"alternativa" scopertamente e direttamente antiproletaria rispetto a quella dei loro avversari. Sotto questo profilo, dunque, potrebbe sembrare legittimo cantar vittoria: se non il meglio, è certamente passato il "meno peggio".
Ma questo è un modo banale e francamente indegno per dei marxisti di porre la questione.
Quello che ai marxisti interessa è la questione dello spostamento dei rapporti di forza tra le classi (che, in ogni caso, le elezioni potrebbero solo registrare e non determinare ed anche in questo caso non direttamente sul piano di una nuda contabilità di voti). Ed è precisamente sotto questo profilo che la nostra diagnosi è assolutamente negativa.
Si dice: ha vinto il "blocco progressista", ha vinto "la sinistra". Ma, prima considerazione, questo blocco ha vinto, per così dire, spostandosi sempre più alla rincorsa verso il centro, con un'irresistibile slittamento sempre più a destra. I suoi candidati sempre più stanno diventando "i rappresentanti della società civile", della palude dei ceti medi "democratici", dei "settori produttivi" del piccolo, medio ed anche del grande capitale, col proletariato a fare ad essi da supporto in seconda, con la speranza di poterci poi, eventualmente, lucrare qualcosa, al ribasso. Se si eccettua la (a suo modo rilevante, ma spiegabilissima) eccezione della candidatura Bassolino a Napoli, basta guardare in faccia i campioni di questo blocco e dare una scorsa ai loro programmi per rendersi conto di che pasta sian fatti. Rutelli? Questo odioso replicante di Pannella è stato sponsorizzato da quest'ultimo come "democratico" perché, udite udite!, "a differenza del fascista Fini" si è schierato decisamente a suo tempo per la guerra di civiltà dell'Occidente in Iraq ed in Jugoslavia. Sansa ha dichiarato di non sentirsi vincolato ad alcuna ipoteca comunista, anche perché i comunisti "non esistono più" come tali. Illy ha ancor più decisamente marcato che il padrone del vapore sarà lui in quanto "industriale competente" e che dai suoi sostenitori di "sinistra" si aspetta, in ogni caso, una leale collaborazione nel far valere le ragioni dell'imprenditoria. E soprassediamo su Cacciari e il rapporto che esso saprà instaurare con la disastrata realtà proletaria di Porto Marghera...
Non solo il proletariato non è stato messo al centro della competizione elettorale, ma ad esso non si è neppur data l'occasione di manifestare una qualche sorta di pressione attiva sui candidati-sindaci, di porre su di essi una qualche ipoteca.
Siamo lontani anni-luce dalla situazione in cui i proletari portavano al trionfo il "loro" PCI con la rivendicazione "E' ora di cambiare, il PCI deve governare", che s'inscriveva sì in un quadro ammorbato dal più fetido interclassismo "consociativista", ma esprimeva ancora una presenza distinta ed attiva di classe. Siamo davvero arrivati al punto terminale del più spinto consociativismo sociale e politico con le forze della borghesia, e c'è poco da stare allegri per il futuro. La conosciamo bene questa "borghesia progressista" e sappiamo bene a che prezzo e fino a quando essa potrà sostenere questo stesso blocco!
Insomma: il protagonismo di classe è stato fatto rinculare anche e persino sotto l'aspetto della "mobilitazione elettorale" (che pure non è il suo terreno), ed è tutto dire.
Anche a Napoli (l'eccezione di cui sopra) non ci pare proprio che la candidatura-Bassolino sia stata portata avanti in modo diverso, e non è un caso che anche qui, come altrove (Roma in particolare), la vittoria elettorale sia stata conseguita non solo nell'assenza di una attiva mobilitazione elettorale da parte operaia, ma addirittura sulla base di un afflusso di voti della piccola-borghesia "progressista" giunto provvidenzialmente a compensare quelli in libera uscita di settori intieri di proletariato e "basso popolo". E proprio qui sarà istruttivo vedere come si vorranno aggredire i "problemi reali" di Napoli rinunziando a priori a far portatori di essi i proletari in un'ottica di lotta di classe contro il sistema capitalista che a questi problemi ha portato (una lotta di per sé, tra l'altro, non municipalizzabile).
Secondo punto. Mentre la "sinistra" così si scioglie nell'abbraccio col centro (un centro spostato sempre più a destra) ed alla sua codicina "comunista rifondata" non resta che correre alla rincorsa della sinistra che corre verso il centro che corre a destra, è in atto, anche -ed ovviamente- sul terreno elettorale un disegno di riorganizzazione delle forze borghesi più "thatcheriane" per arrivare vincenti all'appuntamento delle politiche.
Se la "sinistra" può cantar vittoria è solo perché il fronte della destra borghese non ha ancora saputo darsi questa riorganizzazione, stretta com'è tra la crisi esplosiva della vecchia DC, l'inconsistenza di un Segni (a proposito: non era ieri il possibile "compagno" di un "grande blocco di progresso"?), il riduttivismo padano della Lega e l'impresentabilità di questo MSI quale proprio punto di appoggio. Così, non è un caso che a Torino Castellani sia stato espresso insieme da PDS ed Agnelli quale "compromesso" provvisorio vincente.
Ma il gioco delle forze borghesi di cui sopra è tutt'altro che a bocce ferme. L'uscita di Berlusconi, al di là dei coefficienti immediati di successo ed al di là del "protagonista" dell'ora, indica una via ben precisa di "riconquista del centro da destra" e c'è poco da star allegri.
In terzo luogo, mentre la "sinistra" annaspa nel più squallido elettoralismo, puntando tutto sulla raccolta dei voti (ch'essa spera, scioccamente, sempre più larga), la destra che si sta delineando, ancorché provvisoriamente dilacerata al proprio interno e, sempre provvisoriamente, incapace di darsi un programma ed un'organizzazione unitari, sta mobilitando le proprie forze sul piano di una presenza sul terreno extraparlamentare (che è, poi, quello decisivo, tanto per essa che per la nostra parte).
Di fronte a ciò, nulla di peggio per il proletariato che porsi in posizione d'attesa, non solo rinunziando a far sentire la propria voce distinta ed antagonista nelle "battaglie" elettorali, ma addirittura demandando ad esse (al di fuori di ogni "controllo" in proprio su programmi e blocchi che si verranno a costituire) le proprie sorti future. Già ce lo sentiamo fischiare nelle orecchie il ritornello: proletari, state calmi, non occorre agitarsi troppo, le elezioni politiche -decisive- sono alle porte ed è su questo che dobbiamo, che dovete, convogliare tutte le forze...
Ben altra strada è indicata per chi non crede a nessuna soluzione "progressista" dei mali prodotti dal capitalismo che la crisi oggi dilata allo spasimo e vede con chiarezza all'orizzonte il profilarsi di un sempre più duro attacco antiproletario da parte borghese. E' la strada di un lavoro chiaro e tenace di riorganizzazione comunista che certamente "parte" dalle lotte immediate, ma non può fermarsi ad esse -pena il loro stesso ripiegamento- e deve invece proporsi ad esse quale elemento di direzione, teorico-programmatica, politica, organizzativa.
Al riguardo, le responsabilità di un partito come quello di Rifondazione sono enormi. E sappiamo, purtroppo, in che modo... irresponsabile esso vi risponderà: con l'affannosa ricerca di un'estrema trincea da "difendere" nella corsa al baratro, di un "meno peggio" cui aggrapparsi alla coda.
Occorre reinvertire la rotta, compagni! Se il comunismo davvero non è morto, se davvero dal capitalismo non possiamo più aspettarci riprese stabili e nuovi welfare à gogo, se vediamo che la linea della "sinistra" è suicida -per noi, almeno-, c'è qualcosa d'altro al di fuori delle contese elettorali e dei relativi pateracchi che ci aspetta.
Non sarebbe ora di darci una mossa?