In Albania ci sarebbe da salvare una popolazione di tre milioni di anime dall'inferno in cui l'avrebbe fatta sprofondare un quarantennio di feroce "dittatura comunista"; e da proteggere, in più, dalla barbarie serba i "poveri albanesi" del Kosovo e della Macedonia. Lo stesso papa, con la visita in aprile, ha richiamato il mondo a questo dovere apostolico. Le cancellerie occidentali, in silenzio, tessono la tela. A svolgere la parte del leone in questo caso è l'Italia. La classe operaia deve felicitarsi di questo intervento umanitario? O ingaggiare una battaglia contro di esso?
Cominciamo col vedere più da vicino come si sta svolgendo la missione italiana in Albania.
Iniziata nel settembre '91 con il pattugliamento delle coste da parte della marina militare tricolore, con l'invio di 700 militari e la distribuzione di aiuti alimentari, dopo sei mesi, essa già tradiva di non aver raggiunto nessuna delle tanto strombazzate finalità umanitarie: non solo la macchina economica non era ripartita, ma, a una a una, si erano fermate le fabbriche del paese ancora rimaste attive; non solo le condizioni materiali delle masse lavoratrici non accennavano a migliorare, ma la fame dilagava ormai anche nelle campagne.
Per i capitalisti italiani la prognosi è immediata: gli aiuti non possono dare i frutti sperati perchè permangono troppe sopravvivenze del vecchio "sistema comunista". Trovare di conseguenza l'unguento miracoloso è per essi elementare: passaggio completo alla democrazia politica e alla liberalizzazione economica sotto la regia delle banche e delle cancellerie occidentali, da sempre esperte, si sa, nella civilizzazione dei popoli.
La permanenza al governo dell'erede del partito unico enverista, il Partito del Lavoro, da un lato; i lacciuoli ancora esistenti alla libera iniziativa di mercato dall'altro: sono questi gli ostacoli che, secondo i Candide nostrani, si frappongono sul cammino della rinascita della civiltà in Albania.
Sono in realtà gli ostacoli che impediscono ai "nostri" interessi, ai "nostri" capitali di portare avanti i piani di conquista che li hanno spinti in Albania.
Certo non è che il Partito del Lavoro, e l'ex-presidente con esso R.Alia, non sia stato piegato ai diktat dei padroni italiani: sotto la morsa degli asfissianti meccanismi di funzionamento del capitalismo internazionale, il Partito del Lavoro, che storicamente ha guidato prima la lotta di liberazione nazionale contro la dominazione italiana e in seguito il tentativo del popolo albanese di costruire una moderna economia capitalistica, è stato utilizzato dalla borghesia nostrana per continuare l'opera di strangolamento e di depredamento che essa aveva iniziato da anni attraverso gli invisibili fili del mercato. Ma ora le iene dei capitalisti italiani vogliono di più. Ora la classe dirigente che è stata usata per rimettere piede nell'ex-colonia non è giudicata in grado di proteggere e promuovere fino in fondo gli interessi dell'imperialismo italiano: il governo albanese è infatti incapace di fronteggiare la crescente mobilitazione dei lavoratori contro la disoccupazione e la mancanza di generi alimentari; è troppo esitante a eliminare l'indennità di disoccupazione e il calmiere degli alimenti e dei medicinali che i lavoratori hanno conquistato nel '90. In più, anche per effetto di questa effervescenza popolare, la classe dirigente albanese non intende sottoscrivere quel completo soggiogamento dell'economia e delle risorse del paese che il capitale internazionale, e in special modo italiano, vogliono ottenere.(1)
Si deve cambiare allora: la guida del paese deve essere presa da un ceto politico più spregiudicato, più agguerrito contro i lavoratori, più docile ad accettare di aprire completamente le porte ai pescecani italiani.
Le elezioni politiche del marzo 1992 sanciscono la vittoria del Partito Democratico di S.Berisha, fautore di un liberalismo selvaggio e della totale svendita all'occidente, e aprono la strada all'applicazione integrale della terapia di aggiustamento predisposta dalle banche occidentali.
Un'imposizione con la forza? Oh, per carità. E' il democratico gioco delle volontà dei cittadini, finalmente libere di esprimersi attraverso le norme di una legge elettorale varata da giuristi CEE, a determinare tutto. Il democratico gioco fondato non già sulla forza delle opinioni, ma su quella dei ricatti e dei mezzi di potere effettivi: il potere di convincimento di chi detiene il controllo del debito estero del paese, di chi lo rifornisce dei beni di prima necessità, di chi pattuglia le sue coste con navi da guerra. Le masse lavoratrici albanesi accettano di sostenere l'avvento dell'era liberista. Non potrebbe essere diversamente: da un lato, infatti, hanno sperimentato che il vecchio sistema non può salvarli dalla miseria; dall'altro lato manca in Occidente un movimento operaio che sia in grado di far "saltare" alla classe operaia albanese (così come a quella di tutto l'Est) una serie di illusioni, prima fra tutte quella secondo cui il "paese dei balocchi" si troverebbe in Occidente. Essa spera che con la democrazia e l'arrivo di lire e dollari, finalmente liberi di scorazzare e razzolare nel paese, inizi l'era del Bengodi.
E l'era del Bengodi inizia: ma per i capitalisti nostrani. Per i loro progetti.
Dapprima il nuovo governo democratico rafforza e modernizza l'apparato di pubblica sicurezza.
Quindi liberalizza i prezzi dei beni di prima necessità; alcuni raddoppiano, altri aumentano di sei-sette volte. Parallelamente l'esecutivo elimina l'indennità di disoccupazione (80% del salario, appena superiore alle cinquantamilalire) percepita da quei lavoratori (la stragrande maggioranza) che sono lasciati a casa a causa della mancanza di materie prime e di pezzi di ricambio.
Ecco "il progresso della democrazia" che l'Italia e le sue consorelle atlantiche hanno dato in dono alle masse albanesi. I suoi ingredienti sono: fame, supersfruttamento e repressione non appena i lavoratori hanno cercato di replicare a quest'inferno. (2)
A luglio una colonna di 10mila disperati si incammina da Tirana verso Durazzo per sfuggire dal paese; bloccata dall'esercito, ritorna sulla capitale e dà l'assalto alle ambasciate; scontri con la polizia e morti. La folla grida "abbasso il governo, non vogliamo le riforme". I lavoratori di tutti gli impianti industriali, e in special modo i minatori, scendono in campo per ottenere aumenti salariali, per difendere il posto di lavoro e riconquistare un sussidio di disoccupazione contro l'ondata di licenziamenti che si sta abbattendo su di essi. Dagli operai della fabbrica di armi di Policano, ai minatori di Bulquisa, ai lavoratori dei kombinat tessili, la mobilitazione si estende a tutto il proletariato. Contro questo movimento di lotta il governo scaglia il "nuovo" apparato repressivo dello Stato: ci sono cariche, assedi alle fabbriche occupate, assassinii, arresti (che con risparmiano quei dirigenti sindacali alla testa delle lotte iscritti al Partito Democratico).
Ma l'azione umanitaria non si ferma qui. Mettendo a frutto i suoi legami con il paese (tra l'altro è un certo Giuliano Amato, ben conosciuto dalla classe operaia italiana, a supervisionare la negoziazione del rimborso del debito estero), nell'autunno '92 l'Italia si aggiudica il controllo del sistema bancario dell'Albania e della privatizzazione del suo apparato produttivo: a novembre il Banco di Roma concorda con Tirana la creazione di una banca italo-albanese che raccoglierà i risparmi degli emigranti; qualche giorno dopo viene siglato un accordo di cooperazione economica tra Italia e Albania che prevede l'affidamento a Mediocredito della "regia" delle privatizzazioni e la concessione di un prestito di 217 miliardi di lire, destinati in gran parte alla costruzione e all'ammodernamento della rete infrastrutturale (telecomunicazioni e trasporti). Il governo italiano ha presentato questi accordi come il "passaggio dalla fase di aiuti di emergenza (anche se continueranno quelli alimentari e sanitari) a quella più avanzata degli interventi infrastrutturali e di stimolo all'attività produttiva" (da "Il Sole 24 Ore", 20/11/'92). Questo significa che "finalmente decollerà l'economia albanese" e che la popolazione sarà liberata dalla fame? L'esatto opposto: si passa dalla rapina "d'emergenza" a quella "avanzata e strutturale"!
In primo luogo il sistema finanziario italiano ha intensificato l'aspirazione della ricchezza albanese, giacché allo strozzinaggio del debito estero si è accompagnato il controllo dell'unica fonte di reddito del paese, le rimesse degli emigranti. Privata della ricchezza prodotta dal plus-lavoro della sua "popolazione", come farà a svilupparsi l'industria del paese? Decollo o caduta a precipizio per asfissia strangolatoria? L'esempio di un paese come la Jugoslavia non ha insegnato nulla? Eppure lì si partiva da ben altri requisiti di base!
In secondo luogo, lo stesso "Sole 24 Ore", in un articolo dal titolo "Pochi i "gioielli" da mettere in vendita", ammette che gran parte delle fabbriche del paese verranno chiuse perchè improduttive. Se lo dice il "regista"...Questo significherà che la gran parte dei lavoratori albanesi resteranno disoccupati...
Ma allora che aiuto è questo che rade al suolo "strutturalmente" l'economia albanese? Calma. Calma: ci sono alcuni settori -assicura l'oracolo degli strozzini nostrani- in cui gli imprenditori italiani non mancheranno di venire in soccorso (sempre "strutturalmente"!) dei lavoratori albanesi:
a) innanzitutto "nel settore turistico e in quello dell'industria tessile e degli elettrodomestici. In particolare, la convenienza da parte di molte imprese italiane consiste nel trasferimento di lavorazioni in Albania, in aziende acquisite, per il costo del lavoro che è molto più basso". Già avere a disposizione una forza-lavoro super-ricattabile costretta a vendersi per 50mila lire al mese(!!), oltre a rappresentare un grande affare, offre un ottimo strumento di ricatto per costringere gli operai italiani ad accettare, sotto la minaccia del trasferimento delle produzioni, peggiori condizioni di vita e di lavoro.
b) quindi in quello delle infrastrutture (rete idrica, elettrica, stradale, ferroviaria, telefonica). Qui l'Italia metterà a disposizione 217 miliardi di lire per finanziare l'ammodernamento di esse. Una parte della sovvenzione è a fondo perduto: quale cooperazione allo sviluppo più onesta di questa? Ora anche senza contare che questi fondi rientreranno nei portafogli delle imprese italiane incaricate dei lavori (Italtel, Sirti, Italcable), al termine di essi l'Italia avrà nelle sue mani il "sistema nervoso" dell'Albania: le telecomunicazioni e i trasporti. Esso non solo agevolerà la rapina economica, ma rappresenterà la rete di arterie attraverso cui l'Italia dispiegherà (sta già dispiegando) le sue forze armate per il proseguimento dell'aggressione oltre le frontiere albanesi, contro la Jugoslavia e l'intera regione balcanica.
Da tempo gli "addetti ai lavori" sottolineano il fatto che l'Albania sta diventando una pedina sempre più importante per lo scontro in atto in Jugoslavia e in tutti i Balcani.
"Il Corriere della Sera" del 7/8/'92 scrive: "un'insurrezione armata della maggioranza albanese del Kosovo, provincia autonoma nel sud della Serbia, è imminente e potrebbe scatenare una guerra di vasta entità nei Balcani. Questa estensione del conflitto jugoslavo è prospettata da uno studio pubblicato a Londra dall'Istituto di Studi Europei di Difesa e Strategia...L'Albania sarebbe costretta a rispondere militarmente, anche se non è assolutamente preparata a impegnarsi in una guerra moderna"...quindi avrà bisogno dell'aiuto di qualcuno..."lì (nel Kosovo) potrebbe nascere la prima grande guerra europea dagli anni '40, -scrive "L'Unità" del 12/11/'92- con l'Albania che potrebbe intervenire a difesa dei propri connazionali, la Macedonia che potrebbe aprire le ostilità contro la Serbia nel timore di diventare il prossimo obiettivo, la Grecia pronta a intervenire in aiuto a Milosevic contro la Macedonia, la Turchia che ha vecchi conti da saldare con la Grecia e la Bulgaria che potrebbe entrare in campo a difendere gli interessi di Mosca". Meglio appostarsi in Albania allora, pescare nel torbido e avere una carta in più per confezionare l'eventuale escalation nell'aggressione imperialista contro i Balcani come prodotto esclusivo di odi e rivalità regionali... Illazioni?
Nel febbraio '92 l'Italia firma un accordo con il governo di Tirana che prevede la formazione del personale albanese addetto al controllo dei voli e alla gestione ferroviaria; sotto il patrocinio della cooperazione italiana dall'inverno '91-'92 è stata messa in programma la costruzione di due autostrade internazionali (la Durazzo-Istanbul e la Trieste-Dubrovnik-Tirana); sotto la benevolenza di Tirana (e del suo burattinaio romano) nel '91-'92 le comunità albanesi del Kosovo e della Macedonia organizzano ciascuna un referendum per rivendicare "l'autonomia politica e territoriale" dalla "Nuova Juogoslavia"; nell'estate-autunno del '92 fonti diplomatiche di Belgrado confermano l'afflusso di un enorme quantitativo di armi verso il Kosovo via Albania; negli stessi mesi l'esercito albanese viene concentrato a ridosso della frontiera con la Serbia e in quella zona vengono segnalati istruttori militari italiani (3); l'11 novembre '92 c'è un attentato al comando del corpo d'armata jugoslavo a Pristina; parallelamente si intensificano le richieste di aiuto all'ONU, alla NATO e alla UEO da parte del governo democratico di Tirana contro la "pulizia etnica" che Belgrado starebbe conducendo nel Kosovo; agli inizi di dicembre, il quartier generale della NATO conferma che l'Alleanza è intenzionata a "rispondere positivamente alla richiesta di aiuto di Tirana" con il dispiegamento di unità navali nelle acque territoriali albanesi (da "L'Unità" del 2 dicembre '92); il 18 dicembre '92 il presidente della repubblica italiana Scalfaro, in visita a Tirana, promette protezione e tutela contro Milosevic, contro cui usa parole "che ricalcano l'anatema di Bush contro Saddam"(4); in marzo Rugova, rappresentante del governo "clandestino" albanese nel Kosovo, è a Roma, invitato dalla Comunità di S.Egidio, la stessa che offrì i suoi uffici per l'accordo sul Mozambico; "l'Unità" del 25/5/'93 riporta la notizia di un attentato a Glogovac, nel Kosovo, in cui due poliziotti serbi sono rimasti uccisi e 5 feriti; il 23/5/'93 la NATO accoglie l'Albania quale membro associato nell'Alleanza (5); nei mesi scorsi 300 militari statunitensi arrivano in Macedonia; il 9 agosto il Consiglio di Sicurezza dell'ONU decide, all'unanimità, di inviare osservatori internazionali nel Kosovo per controllare il rispetto dei diritti umani della minoranza albanese...
Qual è il senso di queste notizie frammentarie, prese nel loro insieme e nel quadro della situazione balcanica?
Questa la schifosa realtà camuffata dalla cooperazione umanitaria.
Nulla di strano che i borghesi italiani rivestano la loro opera di rapina e di oppressione con i candidi panni dell'aiuto umanitario al fine di conquistare il consenso del proletariato all'aggressione che essi stanno conducendo contro l'Albania e i Balcani. Grave, estremamente grave è il fatto che la sinistra consolidi queste menzogne oppure stenda un complice velo di silenzio sulle vicende albanesi; nell'uno come nell'altro caso una sinistra che fa della opposizione alla guerra uno dei suoi principi fondativi non fa nulla per opporsi ad una delle guerre che già oggi l'imperialismo italiano sta combattendo, quella d'Albania; anzi ne predispone il terreno, riscaldando nel suo seno quel veleno che i capitalisti hanno bisogno di iniettare nelle vene della classe operaia per condurre oltre le operazioni: il veleno della identificazione dell'interesse del proletariato con quello della Nazione, per ora imbellettato nell'obiettivo umanitario di portare aiuto ai "poveri albanesi".
Per i capitalisti italiani l'attacco ai proletari italiani e l'aggressione contro l'Albania e i Balcani fanno un tutt'uno. Lo stesso deve essere per il proletariato: sono i suoi stessi interessi a richiedere che si opponga all'intervento italiano in Albania e nei Balcani, che tenda una mano ai fratelli di classe albanesi in lotta contro gli stessi dominatori di qui. Spezzerà un'arma di ricatto nelle mani dei capitalisti. Troverà un alleato nella guerra di classe contro di essi.
'39 o '93?Dal diario di G. Ciano: 21 aprile 1939. Giornata particolarmente dedicata all'Albania. Ho un colloquio con Stylla, ex-ministro a Belgrado. Mi intrattiene soprattutto sul problema dei Kossovosi, cioè 850mila albanesi fortissimi fisicamente, saldi moralmente, entusiasti all'idea di una unione alla madre Patria. Pare che i serbi ne abbiano un terrore panico. Oggi non bisogna neppure lasciare immaginare che il problema attira la nostra attenzione: anzi, bisogna cloroformizzare gli jugoslavi. Ma in seguito bisogna adottare una politica di vivo interessamento per il Kossovo: ciò varrà a tener vivo un problema irredentista nei Balcani che polarizzerà l'attenzione degli stessi albanesi e rappresenterà un pugnale piantato sul dorso della Jugoslavia. 21-23 maggio 1939. Arrivo a Berlino....(Il Fuehrer) si dichiara molto lieto del Patto e conferma che la politica mediterranea sarà diretta dall'Italia. Si interessa dell'Albania ed è entusiasta del nostro programma di farne una roccaforte che domini inesorabilmente i Balcani. 12 maggio 1939. I lavori pubblici in Albania (invasa nel mese precedente, n.) cominciano ad andar bene. Tutto il programma stradale viene rivolto verso i confini greci. Ciò è stato ordinato dal Duce che medita sempre più di saltare addosso alla Grecia alla prima occasione. Stralci dal verbale della riunione tenuta a Palazzo Venezia il 15 ottobre 1940 in preparazione dell'aggressione alla Grecia: Duce: ... Fissata la data si tratta di sapere come diamo la parvenza di fatalità di questa nostra operazione. Una giustificazione di carattere generale è quella che la Grecia è alleata dei nostri nemici i quali di servono delle sue basi etc., ma poi ci vuole l'incidente per il quale si possa dire che noi entriamo per mettere l'ordine. Se questo incidente lo fate sorgere è bene, se non lo determinate è lo stesso. Jacomoni: Io posso fare qualcosa sulle frontiere: incidenti fra ciumarioti (minoranza albanese nel nord della Grecia, n.) ed autorità greche. Visconti Prasca: Abbiamo predisposto delle bombe e armi francesi per fare un finto attacco. Duce: Tutto questo ha un valore assolutamente trascurabile per me; è per dare un po' di fumo. Tuttavia è bene se potete fare in modo che ci sia l'appiglio all'accensione della miccia. |
(1)"Il paese soffre della mancanza di produzione....Il governo sicuramente lavora per lo sviluppo del paese, ma ci vuole un piano strategico serio e articolato. Si parla da tempo di privatizzazione, ma non tutta l'economia può essere privatizzata. Che cosa si privatizza? E come? Il Fondo Monetario Internazionale ha di sicuro un chiaro programma per questo paese, ma io ritengo che gli albanesi debbano ragionare più con la loro testa. La nuova ondata di demoagogia ha coniato parole d'ordine irresponsabili, del tipo "Andiamo verso l'Europa". Ma l'Europa non ha firmato un assegno in bianco per gli aiuti all'Albania..." (da un intervista a R.Alia, ex-presidente dell'Albania e leader del Partito del Lavoro, "Il Manifesto" del 25/09/'92).
(2)"La gente di Tirana, di
Durazzo, di Valona è delusa: -scrive "Il Corriere della Sera" del 17/07/'92-
aveva riposto molte speranze nel nuovo corso, riteneva che l'avvento della democrazia
potesse cancellare di colpo i guai di una nazione ridotta allo stremo delle forze. Ma la
realtà ha un'immagine diversa: il popolo ha fame, chiede che la situazione cambi.
"Dovete avere pazienza", rispondono gli uomini politici che dalla scorsa
primavera detengono il potere. Ma gli albanesi non hanno più fiducia. Si sentono traditi:
da chi aveva promesso e non ha mantenuto".
(3)"per addestrare -scrive il Manifesto del l'1/10/'92- estremisti del Kosovo che vogliono provocare disordini"
(4)"Il nostro governo pensa e lavora perchè il Kossovo sia una zona di ampia e vera autonomia, che rispetti un dato di verità: che il 90% della popolazione è albanese. Quanto poi alla vicina Bosnia è un crimine organizzato ormai intollerabile. La Serbia mantiene una matrice marxista non tramontata e opera con metodi tra l'hitleriano e lo stalinista", (da "Il Corriere della Sera" del 19/12/'92)
(5)"l'ammissione -ha tenuto a precisare il vicepresidente dell'Assemblea, il tedesco Karsten Voigt- vuole essere un ammonimento ai serbi perchè non tentino di destabilizzare l'intera regione balcanica"