Dossier Operaio

 

IL "NUOVO MODELLO" FIAT:...
MENO OCCUPAZIONE, PIU' SFRUTTAMENTO, MENO SALARIO

Indice


Con il lancio della Punto la FIAT pone agli operai le sue condizioni: legarsi alle sorti dell'azienda accettando un drastico peggioramento della situazione in fabbrica, altri tagli all'occupazione e al salario. Questo ricatto, cui la linea sindacale di "difesa dell'economia nazionale e aziendale" non può opporre una reale difesa, può portare solo alla divisione dei lavoratori dei diversi stabilimenti e tra classe operaia del Nord e del Sud. Se gli operai dovessero accettare ciò, non si garantirebbero alcuna "tenuta", anzi arriverebbero più deboli e divisi alla prossima, offensiva padronale. Solo la ripresa della lotta e l'unificazione del fronte operaio a difesa dei propri interessi di classe può porre un'argine a un attacco che non è solo della FIAT ma di tutta la borghesia.


L'ambizioso disegno della FIAT

Con l'uscita del suo nuovo modello la Fiat cerca un duplice successo: sul mercato dell'auto e, allo stesso tempo, sulla classe operaia, per piegarla più profondamente alle esigenze del capitale. Ma il raggiungimento di entrambi questi risultati non appare affatto scontato.

Sul mercato un possibile successo della Punto dovrebbe comunque fare i conti con una crisi economica mondiale ed una conseguente restrizione dei consumi. Quindi, spazi per un rilancio del mercato dell'auto non esistono, né a livello nazionale, né a livello internazionale. E, al di là della propaganda ufficiale, di questo sono consapevoli anche a corso Marconi, dove vanno preparando da tempo una pesante riduzione dell'occupazione e un più duro sfruttamento per chi resta in fabbrica.

Contemporaneamente la Fiat ha lanciato una campagna a tutto campo nel tentativo di legare più strettamente i lavoratori all'azienda, per convincerli che la loro sorte dipende dal buon successo dei prodotti. Ma questa prospettiva, pur essendo estremamente insidiosa, avrà sempre meno contropartite da offrire alla classe operaia. I sacrifici che vengono richiesti sono sempre più pesanti; i costi che la borghesia intende scaricare sul proletariato sono sempre più alti. Già oggi non è stato semplice convincere i lavoratori di Mirafiori al terzo turno, come non sarà facile far accettare sul campo ai giovani operai di Melfi e Pratola Serra le peggiori condizioni di lavoro e di salario. La fabbrica integrata non porta automaticamente al "consenso", né, tantomeno, all'integrazione della classe operaia.

Se per la Fiat le speranze sono effettivamente legate ai "nuovi modelli" e alle "nuove relazioni industriali" (sulla pelle della classe operaia) la linea perseguita dai sindacati, invece, non può che portare ad effetti disastrosi per i proletari. Cgil-Cisl-Uil hanno sempre dimostrato di avere una forte sensibilità per le necessità di "recuperare la produttività" delle imprese e, più in generale, dell'economia nazionale. Non a caso anche in Fiat la loro piattaforma punta sul lancio di "nuovi modelli" e, per quanto riguarda l'Alfa, sulla tutela della "qualità del marchio".

Su questa strada del "farsi carico" delle "compatibilità" aziendali diventano inevitabili gli accordi che accettano i sacrifici per i lavoratori nella speranza di risollevare le sorti delle aziende o dell'"economia del paese". Diventano inevitabili, insomma, accordi come quelli sul costo del lavoro, o quello per Melfi, o quello del 3. turno a Mirafiori.

La critica più "radicale" che Fiom-Fim-Uilm credono di fare alla Fiat è sul presunto ritardo nel promuovere "nuovi modelli", o sulla scarsa capacità di difendere "marchi prestigiosi" (illusione questa da cui non è esente lo stesso COBAS Alfa). Ma legare le sorti degli operai ai successi dei "nuovi modelli" equivale ad accettare il piano inclinato di impegnarsi alla loro maggiore produttività con tutto quel che ne consegue: riduzioni salariali, incremento dei ritmi e dello sfruttamento, diminuzione dell'occupazione, ecc.

In questa logica la classe operaia è chiamata ad accettare i sacrifici e schierarsi anima e corpo nella guerra (almeno per ora soltanto commerciale) della "propria" azienda e nazione. Dunque, per tentare di difendersi dai colpi della "propria" borghesia dovrebbe cercare di affossare i proletari tedeschi, francesi, spagnoli o giapponesi: un vero e proprio suicidio!

Per di più, la linea proposta da Fiom-Fim-Uilm dimentica di considerare che non è solo la quota di mercato della Fiat a ridursi, ma è tutto il mercato dell'auto (e non solo) ad essere in panne. Quand'anche la Fiat riuscisse, grazie all'"aiuto" operaio, a recuperare qualche punticino percentuale di mercato, si troverebbe, pur sempre, nella necessità di ridurre la sua produzione, e riproporrebbe le misure di sempre con cassa integrazione, mobilità e licenziamenti. Se si accetta di mettere al primo posto la difesa della competitività aziendale, si finisce per subire passivamente le leggi del mercato che "impongono" agli Agnelli di tutto il mondo di licenziare e tagliare i salari proprio per "difendere" il proprio prodotto. Si finisce, cioè, per organizzare la resistenza attorno a obiettivi che accettano in partenza le riduzioni di salario, l'aumento dello sfruttamento e la logica degli "esuberi" necessari. Tali obiettivi, come i contratti di solidarietà, anche se possono sembrare più "credibili" e praticabili, in realtà sono comunque respinti dalle aziende (che pretendono molto di più), e soprattutto si prestano a introdurre elementi di divisione nel fronte di lotta, che poi vengono puntualmente utilizzati dai padroni.

Occupazione: una questione centrale

Le concessioni fatte dai vertici sindacali sull'altare della competitività aziendale e nazionale in tutti questi anni non sono servite a limitare le pretese padronali, anzi, ogni cedimento è stato utilizzato dalla borghesia per indebolire la forza operaia e scatenare attacchi sempre più duri.

E' questo un bilancio ineludibile per le avanguardie e per tutta la classe operaia, tanto più necessario oggi che siamo al preludio di un nuovo grande attacco ai livelli occupazionali a scala generale.

A scala Fiat, al primo grande ridimensionamento del numero degli occupati, quello del 1980, sono seguite la chiusura del Lingotto, di Desio e di Chivasso. Contemporaneamente la Fiat ha imposto un generale e progressivo aumento di produttività nei suoi stabilimenti, culminato nel disegno di realizzazione della "fabbrica integrata". Ogni volta, a giustificazione delle sue misure, l'azienda ha invocato la necessità di dover rispondere agli accresciuti livelli imposti dai concorrenti internazionali e dall'andamento del mercato. Ma nessuna di quelle misure si è rivelata decisiva, e, anzi, ognuna di esse è stata la premessa a nuove richieste di riduzione dell'occupazione e di aumento dello sfruttamento operaio. Allo stesso modo oggi - nonostante l'uscita della Punto - è facilmente prevedibile che una nuova riduzione dell'occupazione col ridimensionamento dei grossi stabilimenti e, persino, la chiusura di fabbriche come quella di Arese, non sarebbero le ultime.

D'altro canto la Fiat, per evitare riduzioni occupazionali troppo "traumatiche" e "rischiose" per il mantenimento della pace sociale, pone sul piatto della bilancia un ricatto esplicito, quello stesso che ha posto a Melfi: operai, se volete il posto di lavoro dovete rinunciare a tutte le conquiste che avete fatto finora con le vostre lotte, dovete ora accettare di ridurre i vostri salari, di peggiorare i regimi degli orari, di migliorare la saturazione degli impianti con l'aumento dei ritmi, di lasciare mano libera all'azienda - piena "flessibilità" - nell'organizzazione di tutti gli aspetti interni alla fabbrica e, naturalmente, anche di molti aspetti "esterni", tutti quelli che sarebbero stravolti dal regime degli orari e dei ritmi.

E' questo il contenuto principale dell'accordo che la Fiat ha imposto a Melfi e a Pratola Serra. Non solo, quindi, la pur pesante introduzione delle "gabbie salariali" che produrranno ulteriori divisioni all'interno della classe operaia, ma la delineazione di una logica da estendere a tutte le fabbriche del gruppo (e oltre!), basata su: salario ridotto e sempre più legato alla produttività, uso incontrollato della forza-lavoro, occupazione ridotta e maggiore produttività pro-capite, riduzione di ogni capacità di contrattazione sindacale, trasformazione dei sindacati in semplici firmatari delle sue scelte.

Unità tra stabilimenti, unità di tutta la classe operaia

Al precedente attacco, nell'80 gli operai risposero con 35 giorni di dura lotta. Quella lotta si concluse con un accordo che prevedeva sostanziali cedimenti da parte operaia. I fautori principali di quei cedimenti furono i vertici sindacali che sottoscrissero l'accordo, ma molti operai finirono con l'accettarlo nella speranza che una ripresa del mercato avrebbe, prima o poi, consentito di recuperare salario, occupazione e potere contrattuale. L'esperienza ha poi dimostrato che non si è ripreso né l'uno, né gli altri.

Oggi quella speranza sarebbe ancora più vana. E' chiaro a tutti, infatti, che non siamo in presenza di una crisi della sola Fiat, né di una crisi solo italiana o congiunturale (o dovuta a "tangentopoli"), ma di una crisi strutturale, europea e mondiale, di tutto il capitalismo, non solo del mercato dell'auto. Nessun accordo "compatibile" con le esigenze produttive può dare, dunque, una garanzia per il mantenimento dei livelli occupazionali, nessun cedimento su salario e condizioni di vivibilità in fabbrica garantirà il proletariato di fronte ai prossimi e più pesanti attacchi.

Per far passare questo suo disegno complessivo di attacco anti-operaio la Fiat sta lavorando in tutti i modi per dividere e contrapporre i lavoratori dei vari stabilimenti. Ha già annunciato, più o meno ufficiosamente, che Arese chiuderà (o quantomeno ne verrà accelerato lo smantellamento), tenta di dividere gli operai del Nord da quelli del Sud, quelli di Milano da quelli di Torino. Di fronte a ciò sarebbe quindi controproducente chiudersi in un'ottica aziendalista o sperare di difendersi attraverso impossibili alleanze interclassiste che coinvolgono "tutta la città", "responsabilizzando" Comuni ed Enti Locali. Ma neanche dopo la vittoria della Lega a Milano viene qualche dubbio ai compagni dell'Alfa...?

No la strada non è questa! L'unico modo per opporsi al piano della Fiat è quello di ricorrere a tutta la capacità di lotta dei lavoratori, realizzando intorno ad essa il massimo di unità tra stabilimenti, e il massimo di unità di tutta la classe operaia.

La Fiat probabilmente cercherà di colpire in modo più duro gli operai di una soltanto delle sue fabbriche, e di indurre negli operai delle altre l'idea che non hanno da temere per il proprio posto di lavoro. Se gli operai dovessero cadere in questa trappola, non soltanto consentirebbero alla Fiat di sconfiggere più agevolmente i loro compagni dello stabilimento "nell'occhio del ciclone", ma preparerebbero per se stessi il peggiore dei futuri, quando dovesse toccare al "proprio" stabilimento di finire sotto tiro, e nel frattempo sarebbero costretti ad accettare un drastico peggioramento delle condizioni di lavoro.

Inoltre la Fiat, come altre volte nel passato, si pone come caposcuola di tutto il padronato italiano. Quanto questa azienda riesce ad imporre nelle sue fabbriche, immediatamente si diffonde nel resto delle imprese. E' questo un primo motivo per richiedere a tutta la classe di sostenere la lotta degli operai Fiat. Ma oltre a questo c'è il fatto che ormai già in moltissime fabbriche si sono posti e ancor più si porranno problemi occupazionali, sia nel senso di licenziamenti e mobilità, sia nel senso di ricatti per ottenere ulteriori arretramenti operai. E' quanto mai urgente, dunque, costruire un unico fronte di lotta contro i licenziamenti e contro i ricatti padronali.

Allora, la risposta che va data alla Fiat e a tutto il padronato non deve essere nella rincorsa all'aziendalismo e alla divisione. Al contrario, così come l'attacco della Fiat non è semplicemente l'attacco di una sola azienda, bensì il modo in cui tutto la borghesia tenta di scaricare sugli operai i costi della crisi, così bisogna rispondere ad esso con obiettivi che unifichino nella lotta tutto il fronte di classe.

Questa strada all'immediato può apparire difficile, ma ciò non toglie che bisogna impegnarsi ad allargare il più possibile il fronte di lotta. Solo così si potrà sperare di costituire un argine di reale resistenza all'attacco padronale.

Per questo è importante tenere ben presente anche le lotte contro i licenziamenti già sostenute negli ultimi mesi. La classe ha sempre risposto con la lotta, a volte in modo davvero esemplare, come nel caso dell'Alenia. Essa non è stata però in grado di respingere fino in fondo i licenziamenti, la cassa integrazione, la mobilità. Innanzitutto perché non è riuscita a realizzare proprio questa estensione della lotta, a conferma del fatto che è impossibile spuntarla in una singola vertenza fintantoché essa non trova sbocco nella lotta generale di tutto il proletariato contro governo e padroni.

Il patrimonio di esperienza, di organizzazione e di coscienza, che sono il principale risultato di queste lotte, devono diventare il punto di partenza di questo nuovo scontro e di tutti quelli che si apriranno. Per contrapporre alla forza dei padroni l'organizzazione e l'unità operaia nella difesa intransigente delle proprie condizioni di vita e di lavoro.