L'intesa Israele-OLP
Cantiamo ancora una volta fuori dal coro, e con nostra grande soddisfazione, se il coro di regime (e dell'"opposizione" di regime) in tutto l'Occidente è quello che osanna l'intesa tra OLP e Israele come una "storica svolta di pace" in Medio Oriente.
I nostri nemici non possono certo celebrare la pace tra israeliani e palestinesi. Questa pace è tutta da venire, e non verrà mai fino a quando non sarà stato distrutto lo stato oppressore di Israele, e fino a quando al suo posto non sorgerà in Palestina e in Medio Oriente, sulle ceneri della dominazione imperialista e borghese, una Federazione sovietica di popoli liberi (l'unica che sarà in grado di dare una soluzione anche alla questione ebraica).
I nostri nemici celebrano in realtà la "pace" imperialista, la vittoria -quanto fragile!- conseguita portando l'OLP arafattiana alla resa davanti ad Israele, ed all'impegno di attiva complicità nel punire (dice proprio così la lettera data ad Arafat per la firma) la continuazione dell'Intifadah. Questa immonda "pace", contro cui gli sfruttati palestinesi dal Libano a Gaza già urlano tutta la loro rabbia, porterà con sé la guerra tra palestinesi e sarà, come già lo fu l'accordo di Camp David, la premessa di nuove guerre di aggressione dell'imperialismo nel mondo arabo-islamico (ché non si fanno già i nomi degli "stati terroristi" da punire al più presto?).
E' dall'87 che Israele, con il padrinaggio di tutto il campo imperialista, tenta in tutti i modi di soffocare l'Intifadah delle masse sfruttate di Palestina. Ma è da dopo la guerra del Golfo che questi sforzi si sono intensificati battendo la via voluta dagli USA della "Conferenza internazionale". Ora essi giungono "finalmente" a compimento, con la liquidazione -sul piano diplomatico, s'intende- della questione dello stato palestinese e con il consolidamento dello stato di Israele, di cui proprio la sollevazione palestinese cominciava a scuotere benessere e sicurezza.
Ciò che ha "in cambio" l'OLP è uno straccio di "autogoverno" a Gaza e Gerico. Inizio del cammino di liberazione della Palestina, come la demagogia degli arafattiani (e dei sinistri di casa nostra, alla Rifondazione) vuol far credere, e come crede ingenuamente una parte delle masse palestinesi? No di certo. Piuttosto un plurimo protettorato imperialista, dotato di una qualche autonomia amministrativa formale, ma in realtà in tutto e per tutto dipendente da Israele e dall'imperialismo. USA, ONU, Europa dei 12, paesi scandinavi, Giappone, petrolmonarchie e, naturalmente, Israele: quanti piani di "cooperazione" e di intervento di truppe di interposizione si allestiscono! quanti e quali artigli già si allungano a ghermire le carni di questa micro-"entità palestinese"!
Al carro (in questo caso) del governo israeliano, Arafat e soci favoleggiano di una grande fioritura economica dei territori "liberati", di un prospero Mec medio-orientale cui nulla mancherebbe per destare le invidie del mondo ricco. Per i borghesi ultimi arrivati, sognare non costa, anzi: sognare si deve. Ma i borghesi che contano (prendiamo la "Washington Post", ad esempio) hanno già spiegato con chiarezza cristallina che "su Arafat non pioverà money". E' credibile che il capitalismo imperialista o le putrescenti petrol-monarchie, costretti a tagliar prebende in casa propria, si mettano a far doni ai baraccati di Gaza ed al loro nuovo questore con la kefiah? E se prestiti, col contagocce, saranno, dovranno aver ritorni, e che ritorni!
L'obiettivo dell'imperialismo, USA in testa, non propriamente di beneficenza, è quello di assestare subito il colpo finale alla sollevazione palestinese. Prima che questa miccia che la selvaggia repressione di Israele non è riuscita a spegnere, funzioni da detonatore alla sollevazione delle masse sfruttate di tutta l'area, a cominciare questa volta dall'Egitto, il paese tra tutti il più importante per la stabilità della pax imperialista a stelle e strisce nell'area. Non bastasse una quasi secolare esperienza, il forte dissenso e l'opposizione militante delle masse palestinesi della diaspora e dei territori all'intesa di Washington stanno a provare che non sarà niente affatto semplice soffocare del tutto la lotta palestinese. Ma è ben per questo che Israele e l'Occidente si sono cautelati: "provvederete voi, neo-amici dell'OLP, a punire i rivoltosi". Ed in questo caso sì, non si baderà a spese, se è vero che si parla di una polizia palestinese fatta di 15-20.000 addetti, su una popolazione di 800.000 (1 a 40!).
Questo accordo segna la morte dell'OLP in quanto Organizzazione per la liberazione della Palestina. Non è certo un evento sorprendente, un inopinato "tradimento" dell'ultima ora, un "oscuro complotto", come vorrebbe far credere la parte dell'OLP (e di Al Fatah) che si è rifiutata di seguire Arafat. Il patto di Washington è semplicemente il punto d'arrivo inevitabile della organica incapacità della borghesia palestinese di portare fino in fondo la lotta di liberazione nazionale da essa stessa proclamata. Il prodotto della crescente paura ed ostilità di una classe senza terra e senza stato sì, ma sfruttatrice, di vedersi togliere dalle masse lavoratrici povere del cui lavoro essa si nutre, la direzione stessa della lotta. Questo accordo è, infine, l'ennesima conferma di quanto la borghesia araba tutta sia impotente di fronte ai compiti di una vera lotta all'imperialismo.
La fine dell'OLP è la fine di un blocco nazionale tra classi sfruttate e classi sfruttatrici che -come non riescono capire certi nostri critici idealisti- è stata la lotta "nazionale" stessa a determinare. A misura che con essa ed in essa è cresciuta, sempre meno contenibile, la lotta tra le classi dentro il "popolo" palestinese. Una lotta che ha sempre più distanziato e contrapposto borghesia e proprietari terrieri da un lato, proletari e sfruttati della campagna e delle città dall'altro.
Non per nulla le classi possidenti inneggiano alla "pace" mentre la parte più combattiva e consapevole di quelle povere (i soliti "fanatici" e "terroristi"...) la condanna senza esitazione. Perché avverte che la "pace" dettata dai Clinton e dai Rabin significherà solo la continuazione e l'intensificazione dello sfruttamento e dell'oppressione. Che non mutano di segno, anzi diventano perfino più odiose, se a macchiarsi del sangue degli sfruttati palestinesi indomiti dovrà essere da ora in poi un "legittimo rappresentante del popolo palestinese". Reso "legittimo", infine, dopo tanti anni di agitata anticamera, da tutto il gangsterismo imperialista solo e soltanto per questa nobile mansione.
Ma la fine dell'OLP è anche la fine annunciata dell'opposizione interna all'OLP. Di tutte quelle tendenze conciliatrici tra borghesia e sfruttati (a scala interna come internazionale), di cui la sinistra "rivoluzionaria" italiana ha intessuto i peana come "alternativa" ai cedimenti di Arafat. E che oggi, come e più di ieri, vagola smarrita ed impotente da un palazzo del potere borghese arabo all'altro, da Damasco a Baghdad, da Tripoli a Beirut, alla ricerca di alleanze borghesi per la lotta "contro l'imperialismo" che levantinamente si sciolgono prima ancora di costituirsi.
L'intesa di Washington non è, invece, la fine della lotta rivoluzionaria dei palestinesi. Pur se nell'immediato è possibile e perfino prevedibile che aumentino le difficoltà della lotta e le divisioni anche nel campo delle masse sfruttate palestinesi, la guerra di liberazione degli sfruttati palestinesi è spinta in avanti. A lasciarsi dietro le spalle ogni illusione sulle classi sfruttatrici palestinesi e arabe, ogni illusione sugli stati "progressisti" arabi, ogni illusione sugli imperialisti "buoni" e sui buoni amici "umanitari" d'Occidente. E nel mentre non può cessare neppure per un istante di battersi contro Israele e l'imperialismo, è spinta a riconoscere e dichiarare sempre più, a sé stessa per prima, il suo carattere sociale, di guerra ad un tempo (ancora) nazionale e di classe (e perciò internazionale), anti-imperialista e anti-capitalista. E' spinta a darsi una nuova direzione coerente con questa natura, che non può essere quella di un islamismo che, per quanto militante, ha in sé, nel suo essere piccolo-borghese e nei suoi velleitari programmi, i germi della propria dissoluzione. E' spinta, infine, a stringere una solidarietà non solo "ideale", ma materiale, organizzata, strategica, con gli sfruttati di tutta l'area, contro i quali già si preparano nuove guerre imperialiste di aggressione (il Sudan sembra essere la prima vittima designata), e con il proletariato d'Europa e d'Occidente.
Le masse palestinesi ed arabo-islamiche non si ritrarranno da questi compiti. Non dovremo ritrarcene neppure noi, classe operaia e comunisti dei paesi imperialisti!
A riguardo, diciamolo senza perifrasi: siamo messi male. Una "sinistra" che più che mai si identifica con le sorti della dominazione imperialista nel mondo e con quelle dello stato bianco e civile di Israele (nevvero Fassino?) in medio-Oriente, ha plaudito perfino più delle peggiori canaglie del giornalismo ufficiale alla "pace" imposta dall'imperialismo. "Il manifesto" del 10 settembre, che qualcuno si ostina a credere un giornale in qualche misura "comunista", è arrivato a parlare del giorno dell'intesa annunciata come di "un giorno fausto, indicibilmente fausto per tutti gli uomini di buona volontà", ed a beffeggiare nientemeno che il "materialismo storico" che non sarebbe in grado di comprendere "le complicazioni e le pregnanze più profonde della nostra civiltà"!
Comprendiamo, signori, comprendiamo assai bene -dove starebbe la complicazione?- le "pregnanze" materiali che vi spingono a "dar merito agli USA" ed a lanciare i vostri anatemi preventivi contro la "religione" (islamica, islamica, dice chiaro e netto "L'Unità") che minaccerebbe la pace. Ma per vostra sfortuna questa lurida pace capitalista e imperialista cui vi attaccate con tutta l'anima è finita.
Ed il proletariato che finora non ha fatto sentire la sua voce su questo piano, sarà aiutato dalla dura realtà di uno sfruttamento e di una aggressione capitalistica anche qui da noi sempre più acuti a sentirsi un po' più "palestinese" ed un po' meno "bianco" e "civile". Su queste basi il comunismo internazionalista lavorerà con tutte le sue forze perché la classe operaia dell'Occidente accolga e faccia sua la straordinaria disposizione delle masse sfruttate palestinesi ed arabo-islamiche a continuare la guerra all'imperialismo, nonostante l'abbandono dei loro capi storici. E dia loro finalmente la guida rivoluzionaria che meritano.