Il "plebiscito" dei 18 aprile ha rappresentato un duro
colpo per il Partito della Rifondazione Comunista a misura che lo scontro (tutto
elettorale) tra il Si e il No èstato visto come una battaglia campale perduta.
Il contraccolpo è e sarà tanto più forte in quanto già si delineano linee di fuga
illusorie e pericolose, che sappiamo esser presenti non solo nei vertici, ma in certa
misura rispecchiare, aggravandole, le difficoltà della base proletaria. Il che però non
ci esime, anzi ci motiva a una critica ancor più serrata e franca e a ribadire la nostra
affermazione sull'organica incapacità di Rifondazione ad uscire dalle secche in cui
sempre più si impantana.
Il PRC arriva al 18 aprile -e, più in generale, affronta il passaggio del capitalismo italiano verso il riammodernamento dell'apparato statale in funzione antiproletaria - con una linea politica inadeguata e smobilitante.
La ristrutturazione autoritaria dello stato è sì vista in rapporto all'attacco antioperaio di padroni e governo, ma l'argine che a ciò viene contrapposto è uno ... sbarramento di schede di tutti i cittadini. Se alla conta elettorale è demandato il compito di bloccare l'attacco sociale, è allora ovvia conclusione il presenta
re l'appuntamento referendario come "la" battaglia, e la vittoria dei No a difesa della proporzionale come l'ultimo baluardo, perso il quale poco resta da fare. li messaggio che si dà al proletariato non può che essere illusorio e oggettivamente (poi anche soggettivamente) disfattista.
Maggioritaria o (per assurdo) proporzionale, la seconda repubblica si prepara a colpire su tutti i piani il proletariato e a questo fine è indirizzato svecchiamento e la ristrutturazione dell'apparato di potere. Questa operazione andava e va denunciata per quello che effettivamente è: non un attacco alla democrazia o un "falso risanamento morale", ma piuttosto un'offensiva tesa a ridefinire i rapporti tra borghesia e proletariato a tutto vantaggio della prima. Questa la reale posta in gioco, con e oltre il referendum Segni. Indifferentismo alla contesa il nostro? Niente affatto; bensì la messa in luce dello scontro di classe che le sta dietro e che ha in ultima istanza il proletariato come bersaglio finale.
Invece, e in apparente controtendenza al micidiale cavalcamento della seconda repubblica tentato da Occhetto, Rifondazione Comunista per un verso ha chiamato il "popolo della costituzione" a trincerarsi sulla linea di difesa della democrazia nata dalla Resistenza e del suo meccanismo elettorale - sistema politico ormai inadeguato per la borghesia, ma che non per questo il proletariato deve rimpiangere o addirittura salvare. Per altro verso si è collocata su un terreno -quello del "cambiamento", purché di segno opposto al disegno moderato" -che tradisce la medesima, suicida logica di fondo del PDS.
Cos'altro significa infatti porre al centro la "crisi morale del paese" se non confondere e mistificare i dati dello scontro di classe che ci è sotto gli occhi? se non distogliere l'attenzione dalle sue cause di fondo che risiedono nella crisi internazionale del capitalismo e dai suoi veri attori che sono proletariato e borghesia, e non certo la "parte sana e democratica" contro quella "corrotta che oggi si traveste da innovatrice"? Cosa sottende la rivendicazione di essere la I. vera" forza del cambiamento di contro al "continuismo" nascosto dietro l'operazione referendum se non la rincorsa al le classi non proletarie per la rigenerazione a colpi di schede della democrazia progressiva? E ancora: come spiegare l'appoggio alla magistratura e all'operazione "mani pulite? non sono i tipi alla Di Pietro tra quelli che più spingono per la seconda repubblica!? E dove conduce la propaganda sul parlamento "delegittimato" se non alla raccolta interclassista, tanto per cambiare, delle "forze sane", le sole in grado di "ripulire" e "risanare" la nazione? Per non dire, poi, delle professioni di fede nel regionalismo, nelle autonomie locali, ecc. che rappresentano, a dir poco, una dismissione dalle necessità di difesa unitaria e centralizzata dei proletariato.
L'intera campagna sul No di Rifondazione, dunque, da un lato si è caratterizzata come un rimpianto della trapassata repubblica capitalista, dall'altro per l'illusorio inseguimento delle tematiche più care proprio ai campioni massimi del "Sì" al cambiamento.
Questa linea e questa propaganda hanno avuto nella massa operaia uno scarso riscontro. li "vero cambiamento" proposto da Rifondazione è risultato meno credibile dell'opzione pidiessina. Il risultato del 18 aprile non fa che registrare i rapporti di forza attualmente esistenti nella società (e sfavorevoli al proletariato) nonché la grossa confusione che regna nelle fila della nostra classe a riguardo delle riforme istituzionali, la cui portata antioperaia non è stata ancora colta né dalla massa né dalla sua avanguardia (che, al massimo, inizia ad averne sentore).
Nonostante ciò, le differenze di classe non ne sono cancellate, ché anzi tutta la dinamica sociale va nella direzione di un'accentuazione senza precedenti della polarizzazione economica e politica. Le ragioni di fondo dell'antagonismo di classe non possono che risultarne esaltate e potranno (e dovranno) essere raccolte a patto di saper approntare un programma complessivo di coerente difesa proletaria, sul piano economico e politico, interno ed esterno.
Le reazioni immediate di Rifondazione al voto referendario così come le prospettive politiche tracciate mostrano con estrema chiarezza l'inconsistenza delle posizioni dalle quali si è tentato di dar battaglia e insieme la debolezza e pericolosità delle vie d'uscita che stanno prendendo forma.
Innanzitutto il giudizio sul voto. L'incomprensione politica di fondo che contrassegna tutte le prese di posizione all'interno di Rifondazione sta nel continuare a distinguere tra gli schieramenti del Si e del No invece che tra fronti di classe, confondendo il senso del Si operaio (la stragrande maggioranza del voto operaio!) con il significato cercato e voluto da Segni e dalla Confindustria. Il Si operaio esprime l'aspettativa (illusoria, certo) di condizionare i processi in atto cercando di starvi dentro, magari attraverso la partecipazione del PDS al governo, ma senza entusiasmo, con una certa demarcazione dalle espressioni più spinte dei fronte del Si (Pannella, Bossi) e, soprattutto con il sentore che non tutto il "nuovo" è propriamente benevolo verso le attese operaie. Il Si dei vari Segni. ecc. è invece teso a cercare una forte legittimazione popolare all'opera di accentramento del potere in vista di una fase di violenti attacchi alla classe operaia.
Non facendo questa elementare, ma fondamentale distinzione, il PRC non può che caratterizzare univocamente il voto del SI come "moderato" (v. documento finale dei Comitato politico nazionale dei 24/4, in "Liberazione" dei 30/4) o, come Libertini ha avuto il pregio di dire con franchezza, "reazionario di massa". Il No, di contro, rappresenterebbe un "segnale di resistenza" base di Il nuove. positive convergenze" (Cossutta) da sfruttare in chiave elettorale. Si dimentica -curiosamente la posizione del MSI e si accreditano di filo-operaismo Verdi e Rete - quest'ultima coagulo al sud di quelle spinte e umori d'ordine rappresentati al Nord dalla Lega, come qualcuno anche dentro Rifondazione inizia a cogliere.
Noi invece pensiamo che sia il fronte dei Si che quello del No sono percorsi da una linea divisoria che separa classi contrapposte quanto a interessi e prospettive Da una parte uno schieramento sociale borghese ferocemente antioperaio, dall'altra la classe operaia e il proletariato veri obiettivi delle manovre di blindatura dell'apparato statale. li primo (rappresentato prevalentemente nel Si, ma presente anche nel No), lungi dall'essersi lasciato ingannare, ha votato con giusto senso di classe per il rafforzamento dello stato e contro le postazioni operaie. Il secondo, politicamente ancora confuso e frastornato nonostante la rimessa in moto di autunno, si è attestato sull'unica linea che gli è apparsa al momento credibile.
Se passiamo alle prospettive che vanno delineandosi abbastanza nettamente all'intemo di Rifondazione rispetto al che fare, un primo dato salta subito agli occhi, al di là delle differenti "ricette". Ed è il persistente ancoraggio ad un quadro tutto elettorale- istituzionale, terreno privilegiato e sbocco obbligato per le varie "anime" di Rifondazione in ciò tutte concordi nella risposta da dare all'attacco sociale. Dalla raccolta di firme per i referendum su sanità, pensioni e articolo 19 alle amministrative di giugno, alle auspicate elezioni politiche anticipate ... la lotta continua sempre fondamentalmente sul terreno elettorale:: questo il tenore della quasi totalità degli interventi all'ultimo Comitato politico nazionale.
Un secondo dato è poi il pessimismo strisciante, provocato dagli esiti referendari, ma più in generale portato del l'impostazione complessiva sotto-riforinista di Rifondazione che pensa di poter rispondere ad un'offensiva capitalistica violentissima con le vecchie ricette interclassiste e parlamentariste proprie di anni di "vacche grasse" ormai tramontati.
Questo pessimismo caratterizza particolarmente una prima area politica interna, delle quattro che grosso modo si sono delineate al Comitato politico nazionale. Esso spesso si accompagna alla rimessa in discussione della stessa forma-partito (in qualche modo) centralizzato della classe operaia, magari per sostituirlo con un "sindacato neoconsiliare" da costruire sul cadavere di quello confederale (v. intervento di Agostini). Dal contraccolpo dell'illusione di svuotare il PDS derivano dunque linee di fuga decentralizzatrici pericolosissime per l'effetto di disarmo e frantumazione che potrebbero avere sul proletariato.
Una seconda area punta tutto sulla raccolta di firme su sanità, pensioni e democrazia sindacale, vista come leva per rovesciare la sconfitta referendaria. Anche qui mettiamo in conto ricadute disfattiste, come quando si presenta un eventuale fallimento della campagna come una Il sconfitta ancor più grave dì quella del 18 aprile" (Cossutta), senza cogliere minimamente quale dìspersione delle energie operaie si realizzi enfatizzando una falsa scorciatoia del genere.
La tendenza più rappresentativa, al contempo summa dei senso comune, è sicuramente quella che lavora per uno "sbocco politico" imperniato sulla costituzione di uno "schieramento democratico di sinistra" (Garavini) che, a partire dallo schieramento referendario dei No, si presenti come nuovo blocco elettorale. Dunque alleanze elettorali con Verdì, Rete, sinistra PDS per alcuni, con il PDS per altri. Ma in entrambi i casi in quale prospettiva e su quale programma? La prospettiva - afferma Garavini - resta quella dell'entrata della sinistra nel governo, "anche in un esecutivo di coalizione con forze moderate ... il cui programma copra solo in parte le esigenze ... della sinistra. Ma la condizione è che questa partecipazione non abbia carattere subordinato".
I contenuti del programma della sinistra sono presto detti: dare all'Italia la possibilità di "competere effettivamente a livello europeo" (così Serri nella relazione introduttiva). Rincara la dose Garavini: con la svalutazione. frutto di una "colpevole gestione della politica economica", "abbiamo creato le premesse perché l'Italia si trovi in una situazione di crescente inferiorità in Europa"! Una "sinistra di governo" con un tale programma dovrebbe dunque contribuire a irreggimentare il proletariato dentro le ferree necessità del capitalismo nazionale allo scopo, da essa assunto, di far uscire quest'ultimo dal suo "stato d'inferiorità" nei confronti della concorrenza. E sarebbero queste le coordinate di una partecipazione "non subalterna" al governo!! I reali coefficienti della forza operaia - la lotta e l'unità di classe - in quest'ottica devono inevitabilmente essere sostituiti da accordi con alleati sociali e politici che chiederebbero al proletariato rinunce e prezzi enormi in cambio di ... nulla. Nel quadro di questo accordo con gli "strati di ceti medi colpiti dalla crisi" (così Maitan) - quegli strati che in mancanza di un forte e autonomo movimento operaio abbiamo già visto mobilitarsi contro la classe operaia e il sindacato durante le lotte d'autunno - I' "autonomia comunista" diventa poco più che una parola. Una parola, per di più, falsa. Viene da chiedere: si è veramente così distanti dal programma pidiessino?
Ad aggravare le conseguenze di questa linea disastrosa per la classe operaia concorre un'attitudine nel lavoro sindacale che, m nome della denuncia della "corporativizzazione" del sindacato confederale, spinge nei fatti alla rottura organizzativa nella CGIL. Senza riuscire ad aggredire le ragioni di fondo del processo di irreggimentazione dei sindacato - e che sono le medesime che dettano a Rifondazione il rispetto innanzitutto delle "esigenze della nazione" - questa attitudine porta solamente a disattendere i compiti di unificazione della massa del proletariato, dalla quale anzi si corre più di un rischio di separarsi.
Una quarta area infine, assai limitata, pone al centro l'esigenza di un "pieno recupero di autonomia del partito (v. emendamento respinto), che non deve annegarsi nei comitati per il No" o in blocchi elettorali. Ma anche in questo caso l'autonomia è in funzione della massima visibilità in occasione delle elezioni amministrative nelle quali il ruolo dei "comunisti" sarebbe quello di lottare contro la "corruzione" delle amministrazioni locali. E' vero che si dice di voler colpire gli interessi capitalistici, ma il tutto nell'ottica di un "controllo operaio e popolare su appalti e servizi". Davvero un bel programma anticapitalistico!
Queste, in sintesi, le diverse proposte che si agitano al momento dentro Rifondazione, tutte ugualmente inconsistenti e smobilitanti rispetto alle necessità di lotta e di una linea di difesa coerente del proletariato nessuna prospettante un programma anche solo un minimo in controtendenza rispetto alla débacle del riformismo pidiessino.
Se, in conclusione, pensiamo alle intenzioni iniziali che animavano i militanti operai del PRC, nato dal tentativo di opporsi al "disastro" della fine del PCI, il quadro della deriva è grave. A dimostrazione di quanto quella separazione, avvenuta su trincee già bruciate senza chiare prospettive in avanti, fosse politicamente inconsistente e per questo non in grado di rappresentare una "sponda" politica positiva per il settore di proletariato che vi si appoggiava. Le ripercussioni negative su questo settore -che è il vero motivo del nostro interesse per Rifondazione -, nel breve periodo non irrilevanti, potranno essere superate, così come le altre difficoltà del proletariato, solo con una forte ripresa di mobilitazione della massa operaia. Questa, nell'approfondirsi dello scontro con la borghesia. dovrà sperimentare l'inadeguatezza di simili programmi riformisti.
Ma già da oggi noi diciamo ai militanti proletari del PRC che l'unica direzione nella quale la contraddizione dovuta a quel l'inadeguatezza può essere sciolta sta fuori e in contrapposizione alle secche dell'elettoralismo, dell'istituzionalismo, proprio di Rifondazione. Ad essi, poi, rivolgiamo il caldo invito a non venir meno nell'attuale, non facile, congiuntura ai compiti di unità nella lotta con i militanti operai dei PDS e con la massa tutta del proletariato di fronte a un'offensiva violenta portataci dal comune nemico.