LO SCIOPERO EUROPEO DEL 2 APRILE

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La recessione economica e l'acuirsi della concorrenza internazionale hanno ridimensionato le fantasie ottimistiche sul radioso futuro dell'Europa unita. li progredire delle contraddizioni di cui ègravida la crisi dell'imperialismo ci consegna i primissimi passi di oggettivo collegamento della lotta dei lavoratori oltre i confini nazionali e, con essi, il primo sciopero europeo indetto dalla Confederazione Europea dei Sindacati a difesa dell'occupazione e per la riduzione dell'orario di lavoro.

Le ragioni oggettive dell'unità internazionale degli operai

Tutte le borghesie europee, incalzate dalla recessione, hanno tentato di scaricare sulla classe operaia (sia pure con modi e tempi diversi) i costi della crisi e, al tempo stesso, hanno attivato politiche finalizzate al compattamento dei rispettivi proletariati al carro degli interessi nazionali, in nome della difesa della competitività.

In questo quadro di duro e generalizzato attacco, ovunque la classe operaia è scesa in lotta.

In Germania, i lavoratori sono stati nuovamente sollecitati alla lotta dal duro attacco occupazionale e, da ultimo, contro il mancato rispetto degli accordi di progressiva parificazione salariale dei lavoratori dell'Est con quelli dell'Ovest.

In Gran Bretagna e Francia la lotta dei minatori inglesi contro la chiusura di altri trentuno pozzi e la resistenza dei lavoratori della Renault contro massicci tagli e la soppressione dello stabilimento di Billancourt, punto di aggregazione e di tenuta dell'organizzazione sindacale in Francia, hanno catalizzato la resistenza dei lavoratori delle altre aziende e di altri settori.

In Spagna e Grecia, come in Italia l'attacco occupazionale è sin dall'inizio andato di pari passo con quello che punta al drastico ridimensionamento dello "stato sociale''; e, come in Italia, i lavoratori spagnoli e greci hanno risposto con massicci scioperi generali e facendo quindi confluire il movimento di lotta nazionale nello sciopero europeo del 2 aprile.

Ma la spinta all'unificazione si misura, oltre che sul piano - decisivo - della lotta, anche su quello, strettamente collegato, dell'organizzazione. Sono nati così comitati sindacali inter-regionali, che collegano i lavoratori transfrontalieri (come quelli dell'Hainaut in Belgio e del Pas de Calais a collegamento dei lavoratori delle due sponde della Manica), le prime forme di coordinamento tra le camere del lavoro di diverse città europee (come quello tra Francoforte, Milano e Barcellona) e ancora numerosi comitati internazionali per la difesa unitaria dell'occupazione nell'ambito dei grandi gruppi multinazionali. Particolarmente significativi a riguardo appaiono il consiglio d'azienda della Volkswagen, che ha inizialmente collegato i lavoratori tedeschi, belgi e quelli spagnoli della SEAT, ma per il quale si è immediatamente posta la necessità dell'integrazione dei lavoratori cecoslovacchi della neo-acquisita Skoda, e il comitato sindacale della italiana Marzotto, che coordina i lavoratori di tutti gli stabilimenti del gruppo, tra i quali quello di Brno in Moravia e quello in Tunisia (il settore tessile è il più esposto al trasferimento delle produzioni in paesi dove il prezzo della forza-lavoro è più basso, come nell'Est europeo, nel Sud del mondo e nell'estremo Oriente).

In tale quadro si colloca altresì lo sciopero europeo di un'ora dei ferrovieri del 27 ottobre scorso contro la privatizzazione delle reti ferroviarie nazionali, che ha avuto un buon successo soprattutto nel Nordeuropa.

Ecco dunque la spinta materiale ed i primi fili di una rete organizzativa sovranazionale che hanno costretto la CES a passare dalle chiacchiere ai fatti. Il 2 aprile per la prima volta i lavoratori europei hanno scioperato insieme, manifestando in molte città. Tra gli appuntamenti più significativi quello di Maastricht, dove hanno manifestato insieme 16.000 operai tedeschi, inglesi, olandesi, austriaci e belgi e quello di Rostock, dove hanno sfilato 20.000 operai tedeschi dei cantieri navali del Baltico. In Italia, come in altre nazioni, la giornata di lotta europea, nonostante la pessima preparazione fattane dai vertici sindacali, ha costituito un ulteriore passaggio di unificazione delle lotte dei mesi precedenti.

Dunque, nel progredire della crisi mondiale dell'imperialismo, anche il processo di unificazione del proletariato in quanto classe internazionale muove i suoi primissimi ma significativi passi. Un processo di unificazione del proletariato europeo che si intreccia inscindibilmente con la questione della necessaria unificazione con il proletariato dell'Europa dell'Est. Al riguardo, oltre al dato decisivo della massiccia partecipazione dei lavoratori dei Laender orientali della Germania, acquista rilevanza l'adesione dei lavoratori di Cecoslovacchia e Lituania, paesi a strettissimo confine con il cuore dell'imperialismo e che, quanto più velocemente vengono ad essere centralizzati dal capitale tedesco, tanto prima i rispettivi proletariati conoscono le dure conseguenze dell'attacco anti-operaio.

Si tratta di un processo di avvicinamento delle sezioni nazionali del proletariato europeo che costituisce indubbiamente un terreno più maturo per l'integrazione a pieno titolo dei lavoratori immigrati extracomunitari nel fronte proletario. Mentre al contempo, un fattore di unificazione tra il proletariato metropolitano e gli sfruttati del Medioriente e del Nordafrica è costituito dalla pratica del decentramento delle produzioni verso i paesi con più basso costo del lavoro.

"Internazionalismo" dei sindacati riformisti

Di tale processo è espressione, malgrado se stessa, la Confederazione Europea dei Sindacati. Le organizzazioni sindacali riformiste, se da un lato raccolgono la forte spinta oggettiva alla lotta ed all'unificazione, dall'altro cercano di smussarne la carica dirompente le necessità del capitale. L'"internazionalismo" della Confederazione Europea Sindacale e delle confederazioni affiliate, infatti, si presenta sulla scena europea con il dichiarato intento di regolare l'anarchia del mercato europeo del lavoro in funzione di una maggiore tutela degli "interessi comuni" tra operai e padroni europei.

Il ragionamento con cui viene presentata agli operai la "questione" è più o meno questo: "non conviene ne agli operai né ai padroni consentire che diverse regole sull'orario di lavoro e sul salario lascino all'uno o all'altro capitalista la possibilità di avvantaggiarsi sul mercato europeo con investimenti in paesi dove la manodopera costa meno". Non sorprende che a tale "vocazione internazionale" corrisponda, quindi, un atteggiamento sul fronte interno delle Confederazioni sindacali protagoniste della CES propenso a contenere il costo del lavoro ed a liberalizzare il mercato della manodopera. Solo apparentemente l'aspetto nazionale e quello internazionale della politica di queste forze sindacali appaiono contraddittori; dietro la scorza è il secondo ad essere ben presto messo da parte in favore dei primo. li filo conduttore che li lega è la massima e dichiarata intenzione di ciascun sindacato nazionale di, sostenere sul mercato internazionale la "propria economia". E' quindi evidente che l'"internazionalismo" della CES ha le gambe corte ed è destinato ben presto a cedere le armi anche su quelle proposte di unificazione dell'orario di lavoro e di miglioramenti unitari di salario che potrebbero essere il presupposto di una reale e comune lotta della classe operaia contro il proprio e l'altrui capitale.

E' una vera e propria favola quella che recita: "i padroni onesti sono interessati a regolare l'anarchia del mercato del lavoro e consentire una unificazione delle condizioni di vita operaie". Innanzitutto perché questa anarchia è propria del sistema capitalistico, e le ragioni della concorrenza (soprattutto nella crisi) impongono ai padroni di ottenere condizioni a loro sempre più favorevoli di acquisto della merce lavoro, infischiandosene delle regole e dei piani internazionali; e soprattutto perchè il costo di questa merce diviene tanto più basso quanto più gli operai sono divisi, e quanto più il mercato della "carne umana" viene diversificato.

In sostanza l'illusione di poter combinare la richiesta di condizioni egualitarie di lavoro per la classe operaia europea con la supposta disponibilità padronale a concederle è destinata a svanire dal suo nascere. Non è un caso, ma semmai una riprova della natura nazionalista del riformismo, che al momento di dare prova reale di sostegno dei comuni interessi di classe del proletariato, i vertici della stessa CGIL non esitano a sostenere imprese imperialiste come la guerra del Golfo o l'intervento in Jugoslavia; dando così il massimo esempio di dove porta l'adesione agli interessi nazionali: alla guerra aperta tra proletari in nome dei profitti dei padroni.

La oggettiva spinta all'unità internazionale dei proletariato trova dunque all'interno stesso della classe, nella sua direzione (ma anche in una tradizione nazionalistica della classe operaia, abituata a convivere per anni entro le ragioni ed i confini del suo capitale) degli ostacoli ed una linea di condotta che lavora per sabotarla.

Una ragione di più per seguire il percorso oggettivo verso l'unità internazionale anche nelle sue forme embrionali e mal dirette, dando il massimo rilievo e producendo il massimo sforzo per incoraggiare l'unità sindacale e politica internazionale dei proletariato su propri e distinti interessi di classe.

La "sinistra" italiana e lo sciopero europeo

"L'Unità", tutta presa dalla campagna referendaria "per il cambiamento" (che evidentemente non deve contemplare troppo spazio per la lotta operaia e men che mai per quella internazionale), assolve i propri doveri di cronaca sullo sciopero europeo e se la cava con mezza pagina. Forse al suo direttore non sfugge che l'unica reale e convinta solidarietà tra i governi (e i capitali) europei è quella che li vede fare fronte comune nell'attacco anti-proletario ed è chiaro che ad essi nulla di buono può venire dalla contrapposta solidarietà di classe e di lotta dei lavoratori che scendono in campo a difesa dei propri interessi. Per altro l'europeismo pidiessino non va mai disgiunto da velenosi attacchi anti-tedeschi, che puzzano lontano un miglio di sciovinismo. A commento degli scioperi dei lavoratori della Germania dell'Est contro la disdetta degli accordi per la parificazione salariale, Angelo Bolaffi, sull'Unità del 5 maggio, argomenta che "gli europei", invece di temere la potenza economica della Grande Germania, dovrebbero ben di più preoccuparsi degli "allarmanti segnali di crescente pericolo di ingovernabilità della società tedesca" collegati - tra l'altro - all'avvio di un ciclo di lotte operaie nelle regioni dell'ex socialismo prussiano". Più chiaro di così non si può: sciovinismo anti-tedesco e sciovinismo anti-operaio a braccetto !

Per "Liberazione" il 2 aprile è stata una giornata di lotta di particolare importanza, ma non già perchè insieme ai lavoratori italiani hanno scioperato quelli tedeschi, francesi, inglesi (di questo neanche si avvedono), bensì (udite, udite) perchè "è iniziata la raccolta di firme per i referendum su art. 19, sanità, etc..."! E mentre gli operai tedeschi manifestano a Rostock per la difesa dell'occupazione e la riduzione dell'orario di lavoro, questi imbelli epigoni del "socialismo nazionale" non sanno fare altro che continuare a diffondere, anch'essi, sciovinismo anti-tedesco con le immancabili tremebonde sparate sul "futuro Quarto Reich".

Quali indicazioni dallo sciopero del 2 aprile

Nonostante la sottovalutazione da parte dei riformisti nostrani, il primo sciopero europeo chiama invece tutti i lavoratori ad un primo importante bilancio.

Innanzitutto sull'obiettivo della riduzione dell'orario di lavoro che il proletariato istintivamente oppone all'attacco padronale. Il padronato, cancellando centinaia di migliaia di posti di lavoro ed espellendo gli operai dalle fabbriche, sta nei fatti riducendo drasticamente la massa delle ore lavorate. In questo modo, quand'anche vengono concessi parziali ammortizzatori sociali, la borghesia, nel mentre difende l'accumulazione ed i profitti, diffonde disgregazione, emarginazione e disperazione nella classe operaia, attaccandone l'unità ed indebolendone la forza. Riduzione dell'orario, quindi, per sottrarsi al bestiale sfruttamento dei capitale ed insieme quale strumento di unificazione dei proletariato.

E la necessità dell'unificazione della forza operaia a livello internazionale ci è imposta dalla natura del complessivo attacco dell'imperialismo, che da un lato attacca duramente le condizioni salariali e di lavoro nei paesi del vicino Est e mette ancor più sotto torchio gli sfruttati del Sud del mondo, e dall'altro ricatta e attacca il proletariato metropolitano con la minaccia di spostare altrove le produzioni. li ricatto padronale suona in questo modo: "o accettate di farvi spremere di più per dare competitività alle nostre merci o saremo costretti a chiudere e trasferire la produzione dove il costo del lavoro è minore". E' lo stesso ricatto imposto dalla FIAT prima di mettere la prima pietra del nuovo stabilimento di Melfi.

Illudersi di poter difendere i posti di lavoro accettando un maggiore sfruttamento in nome della competitività, sarebbe suicida. Ugualmente micidiale è il progetto delle direzioni sindacali che chiamano i lavoratori a battersi per la limitazione delle importazioni dai paesi extra-comunitari. Le politiche di innalzamento della competitività, così come le misure protezionistiche, lungi dal tutelare i posti di lavoro, li rendono invece ancora più precari, perché concorrono a determinare l'effetto di acuire ancor di più la concorrenza sul mercato mondiale, schiacciando sotto il suo peso i lavoratori costretti, in Italia come negli altri si, a sacrifici immani per poterla poi sostenere.

L'unica via di salvezza per il proletariato è nel rifiuto del ricatto padronale e nella difesa intransigente di ogni propria postazione attaccata dal capitale; è nel collegamento e nella unificazione della propria lotta con quella che stanno conducendo i proletari in tutti gli altri paesi. Essi non sono temibili concorrenti, come dicono i padroni, ma compagni di una stessa lotta. E' interesse della classe operaia che i proletari dei paesi in cui i padroni minacciano di trasferire le produzioni metropolitane siano forti e organizzati, in modo che i padroni non possano utilizzare la loro debolezza come arma di ricatto contro di noi.

Al contrario, è interesse della classe operaia metropolitana che questi proletariati entrino a far parte attiva di un fronte internazionale di lotta contro i nostri padroni e contro l'intero sistema capitalistico. E' interesse della classe operaia, quindi, battersi contro tutti gli strumenti e le aggressioni che l'imperialismo mette in campo per torchiare ancor di più i lavoratori dei paesi poveri (a cominciare da quelle in atto nell'ex-Jugoslavia e nei Balcani).

Dare continuità al primo sciopero europeo vuol dire portare questi elementi di bilancio nella necessaria prosecuzione delle lotte.