Il tema Russia è vittima sulla nostra stampa nazionale di un ben strano destino: da nessuna parte esistono sedi di studio serio ed approfondito, ed i quotidiani e settimanali ne parlano ad ondate solo per tirar fuori dal cappello il solito pezzo di colore o l'ennesimo "rischio di golpe". Né va meglio per quanto riguarda la stampa "comunista" delle varie confessioni (tutto fuorché marxiste), sulla quale risultano costantemente assenti tanto l'analisi dei fattori materiali che hanno portato alla perestrojka quanto quella del terreno, altrettanto materiale, su cui essa si va svolgendo e delle conseguenti prospettive a venire.
Nel nostro piccolo, abbiamo cercato (e rimandiamo sempre al volume Dove va l'URSS, che è del '90. ma non ha perso d'attualità) di andare a scavare un po' a fondo in quella materialità, trovandovi la conferma della nostra ''atavica" teoria del socialismo (e, perciò, del corso storico del capitalismo mondiale che ne sta alla base).
La nostra organizzazione sta attualmente raccogliendo e vagliando una massa di materiali diretti, tuttora in corso di prima sistemazione e sull'analisi dettagliata dei quali dovremo, per forza di cose. tornare in altra sede.
In questo sommario articolo vogliamo gettare appena un ponticello verso questo appuntamento. L'esigenza che sentiamo qui impellente è quella di rimuovere un approccio troppo impressionistico e deviante alla questione Russia o CSI che si va facendo strada sulla stampa. basato su una descrizione di colore dell'attuale marasma economico (e politico-sociale) che può indurre a gravi errori d'interpretazione del corso generale e delle sue possibili prospettive.
A sentire i nostri gazzettieri, in Russia -per non parlare degli altri stati ex-sovietici- siamo ad un disastro cronico senza apparenti vie d'uscita. Alla soddisfazione per la "fine del socialismo reale" è subentrata la disperazione di fronte ad un "post-socialismo" che non riesce a decollare. E, allora, dove si andrà a finire? In fondo al baratro che si è aperto tra l'impossibilità di ripristinare la vecchia "economia di comando" o al ripristino di essa attraverso un "colpo si stato" (il centesimo annunziato!) da parte dei soliti "conservatori"?
Curiosamente. questo scoramento per l'impossibilità attuale di imboccare anche là le ''magnifiche sorti e progressive" del capitalismo ridà fiato agli asmatici propugnatori di un certo -mai stato tale- "socialismo" riverniciato a nuovo il cui ragionamento molto semplice è il seguente: se la catastrofe attuale deriva dall'abbandono della proprietà statale e della pianificazione non resta che ripristinare quelle categorie che, perlomeno, funzionavano. l'atta salva l'esigenza di una "maggior democrazia" e di un "nuovo" mix tra proprietà statale e proprietà privata ''non sfruttatrice". tra pianificazione e mercato. (Ed è divertente che questa "soluzione" venga avvalorata anche da un rapporto della CIA in cui si prende atto che i meccanismi precedenti in qualche modo "funzionavano". mentre oggi ad essi non si vede alcun succedaneo).
Stando a questa visione delle cose. ne risulterebbe che la "conversione'' al capitalismo in URSS è nata da una "scelta politica" irresponsabile. Ma davvero è pensabile che un rivoluzionamento delle strutture esistenti (ché di questo dovrebbe trattarsi per chi creda all'antitesi tra vecchio sistema "pianificato" e perestrojka) possa essersi dato per una pura "scelta politica" perversa? O non è un punto l'isso del marxismo che una tale scelta necessariamente consegue ad uno schieramento sociale di forze di classe coi piedi ben poggianti su solide fondamenta economiche? La "politica": variabile indipendente in grado di 'comandare'' sull'economia od espressione delle spinte che promanano dalla base economica?
Per noi è assiomatico che una scelta economica capitalista" si può fare solo dopo che nel tessuto economico-sociale preesistente sono emersi come dominanti i rapporti economico-sociali borghesi e, quindi, classi dominanti borghesi ed abbiamo mostrato come in URSS dallo stalinismo alla perestrojka il cammino sia stato precisamente quello del rafforzamento di questi rapporti e di queste corrispondenti classi, procedendo al capitalismo... dal capitalismo. con mutamenti (anche profondi, questo è certo) non di natura, qualità, ma di gradi di sviluppo del capitalismo. da una fase originaria contraddistinta dalla presenza di rapporti di struttura capitalistici (pur se ancora ipotecati, in qualche misura dal peso di una Rivoluzione proletaria non del tutto esauritasi nella coscienza e nella volontà di lotta del proletariato internazionale e dall'inconsistenza di una vera e propria classe borghese dirigente) alla fase di piena assunzione di tali rapporti da parte di una più diffusa e solida borghesia completamente sciolta dalla necessità di ulteriori compromessi col proletariato.
I presupposti della perestrojka da questo punto di vista sono eloquentemente condensati dal "Programma di approfondimento delle riforme economiche predisposto dal governo della Federazione Russa (cfr. Voprosy Ekonomiki, n° 8 del '92).
"La struttura preesistente dell'economia. in realtà, si era dimostrata incapace di riprodursi in maniera allargata. Si verificava una continua decapitalizzazione dell'economia, in particolare un cronico processo di disinvestimento, specie a cominciare dalla metà degli anni '70, in primo luogo nei settori di base (estrattivi ed energetici). In seguito alla bassa efficacia produttiva ed alla struttura deformata di ricapitalizzazione negli ultimi anni praticamente non c'è stato spazio neppure per la semplice conservazione dell'apparato produttivo. I dati reali del l'accumulazione sul finire degli anni '80 sono diventati negativi. La parte destinata al consumo si è innalzata dal 73,6% dell'85 al 79,3 del '90. Un simile cambiamento in profondità delle relazioni tra investimento e consumi non si verificava dagli anni Trenta. E tuttavia il livello di vita della popolazione, a causa del quale s'inceppava il meccanismo produttivo, praticamente non migliorava."
A questi problemi d'accumulazione. investimenti e... profitti cronicamente in discesa doveva rispondere la borghesia sovietica. detentrice del potere politico, con la perestrojka, passo obbligato per il paese a meno di un'insurrezione proletaria volta a sovvertire le esistenti strutture economico-sociali e le corrispondenti relazioni politiche di potere (ciò che evidentemente non è stato. e non stiamo a piangerci sopra. perché sappiamo che la partita. al momento immatura, è solo rimandata).
Al mito dell'"economia statale pianificata" che, a questo punto. sarebbe saltata in aria rispondiamo con la dimostrazione d'altra volta che essa. dopo aver svolto con lo stalinismo il suo ruolo di motore di un'"accumulazione originaria", si era già convertita -come altro non poteva essere sulla trama del mercato in una crescente indipendenza dai vincoli formali della "pianificazione centrale", attraverso l'autonomizzazione settoriale, aziendale (e locale) ed una vera e propria concorrenza tra queste realtà indipendenti per l'appropriazione delle quote di investimento e profitto. L'anomalia cui si doveva rimediare a questo punto consisteva nel fatto che questa competizione avveniva troppo a spese del "fondo comune'' centrale e troppo poco sul terreno di "libere relazioni di mercato", con l'effetto di una strozzatura generale dell'economia. Ed è perciò che se ne dovevano tirare le conseguenze.
Di qui la necessità di passare con maggior decisione alle "libere relazioni" di cui sopra (in Russia si usa come sinonimo di esse "relazioni civilizzate di mercato"). L'autonomizzazione non poteva più oltre mantenersi sul semplice piano amministrativo (per quanto esso già indichi una forma sostanziale di autonomia economica mercantile, borghese), ma assumersi pienamente i rischi -e le promesse del "libero mercato".
Già prima di El'tzyn il processo era largamente avviato. Per darne un'idea. citiamo da una relazione di A. Volski al Convegno di Bologna su "Le riforme dell'economia sovietica viste dall'Occidente" del 27 maggio '91 (edita dall'Associazione Nord-Est):
Come si vede, un quadro in via di rapida evoluzione verso " normali relazioni di mercato" senza alcuna rivoluzione o controrivoluzione frammezzo, né politica né tampoco economico-sociale. Gli agenti della "ristrutturazione". della perestrojka, non escono dal nulla. ma sono esattamente quelli. o la frazione più conseguente. della fase di sviluppo precedente. Per non misteriosi motivi il proletariato non si è mosso per la difesa delle "acquisizioni dell'Ottobre", come dai desideri di vari nostalgici. e cioè per la semplice ragione che alle spalle non c'era orinai nulla più da difendere e proiettarsi verso il futuro non era ancora possibile. E quanto alle forze della "nomenklatura" che si sono opposte alla perestrojka possiamo pur dire che la loro posizione si poneva contemporaneamente al di qua delle esigenze capitalistiche di ristrutturazione senza per questo avvicinarsi "oggettivamente" a quelle del proletariato: al contrario. l'opposizione alla perestrojka in quanto minaccia di ridimensionamento della burocrazia parassitaria attenta due volte alle postazioni del proletariato: per il suo nulla di socialismo ed il suo troppo poco di moderno capitalismo.
A. Volski ha il buon senso di chiarire immediatamente "Si potrebbe ingenuamente pensare a questo punto che queste forme costituiscano il mercato cui tendiamo. Ma questo è soltanto un aspetto della trasformazione che varrà a definirlo". Ovvero: le basi del vecchio ''sistema di comando" sono state smantellate quelle di un moderno mercato non sono state ancora fissate.
Ed è esattamente qui che si apre la battaglia decisiva. Come affrettare e completare il passaggio'?
Con Gorbacev troppo si era esitato nell'assumere decisioni radicali, con l'effetto di aggravare il quadro economico tanto dal lato del vecchio conservatorismo parassitario quanto da quello dei neo-aspiranti borghesi. Mentre il primo continuava a raschiare il fondo del barile, dei secondi venivano portati alla luce solo i figuri più sinistri della speculazione finanziaria, dei traffici "neri" commerciali, del l'intermediazione "compradora" con l'Occidente, senza alcuna decisiva ricaduta positiva sull'apparato produttivo.
I cosidetti "golpisti" agostani avevano (malamente) tentato di raddrizzare tale situazione mirando a tagliar le penne agli uni quanto agli altri. La loro (meritata) sconfitta ha definitivamente consacrato l'impossibilità di tornare indietro (cosa da cui ben si guardavano per primi i "golpisti" stessi) e riaperto la lotta tra le varie frazioni borghesi delegate alla guida della perestrojka.
Quali sono queste frazioni'? Due sostanzialmente, afferma B. Rakitzkij, direttore dell'Istituto di Studi sull'occupazione (cfr. Voprosy Ekonomiki, n° 9 del '92), e come conferma il quadro politico russo in cui questa dicotomia si esprime: da una parte "la borghesia nazionale (dirigenti industriali -"statali", n.- e nuovi proprietari privati legalizzati)", dall'altra una "nuova nomenklatura pro-occidentale (borghesia "compradora" e dei rappresentanti degli interessi del capitale internazionale)". All'interno di questa seconda sezione si potrebbe poi distinguere una fascia comunque legata infrastrutturalmente allo sviluppo dell'apparato produttivo (da parassitare) da una pletora di pessimi soggetti "dal basso" prosperanti unicamente negli interstizi speculativi, del tutto sganciati dal riferimento produttivo.
Il grave problema che si pone in Russia è che se dal tessuto economico precedente è potuta uscire una rete d'interessi borghesi assolutamente dominante, non si è potuta tuttora definire come egemone la variante prima cui si riferiva il Rakitzkij, e cioè una moderna "borghesia nazionale In queste condizioni, il venire al dunque catastrofico delle contraddizioni accumulate nella fase di sviluppo capitalistico precedente ha potuto aprire la strada del potere alla variante più spinta in senso pro-occidentale. Non per una confessata volontà di "svendere" l'URSS. ma per la necessità urgente di reperire capitali sufficienti alla "ristrutturazione"; capitali che proprio e solo l'intervento dell'Occidente sembrava promettere in assenza di risorse di capitalizzazione sufficienti da parte dello Stato così come da quello dei privati interni.
Il governo Gaidar è stato l'espressione più eloquente di questa tendenza. Dietro di esso c'erano tutte le buone promesse dell'Occidente e del FMl. Solo promesse ahinoi!
Giustamente ne tira la lezione "Le Monde Diplomatique" (gennaio '93): è mai pensabile, "allorquando. sullo sfondo di una crisi generale, varie fabbriche chiudono in Europa e nell'America del Nord, che ci sia posto per un capitalismo russo integrato nella divisione internazionale del lavoro?". Fin troppo facile la risposta.
In queste condizioni, "le riforme ispirate dal FMI mirano a promuovere la libertà di esportazione delle materie prime ed a facilitare l'importazione di beni di consumo destinati alla nuova élite" mentre l'industria nazionale non è protetta dalla concorrenza ne incoraggiata a produrre... Il 'trattamento choc' (ispirato dal FMI e messo in atto da Gaidar. n.) impediva ogni possibilità di transizione verso un "capitalismo nazionale" organizzato a profitto di una classe d'imprenditori russi e sostenuto, come in ogni paese capitalista, dalle politiche economiche e sociali dello Stato".
Lo stop imposto a Gaidar può essere letto come il segnale più eloquente del fatto che dalle viscere del capitalismo russo si stanno sprigionando quegli anticorpi di resistenza alla "latino-americanizzazione" ed al "compradorismo" (termini qui sempre più in uso) che avevamo già vaticinato allorché formulavamo la certezza che la Russia non si sarebbe facilmente fatta ridurre al ruolo di colonia dell'Occidente. E tanto ci riconforta nella certezza che il proletariato russo saprà percorrere la strada della propria riscossa accompagnando lo sviluppo del capitalismo con la difesa conflittuale dei propri interessi immediati e non contrapponendosi ad esso in un insano blocco con i residui avversari reazionari della perestrojka.
Sentite quel che afferma un Accademico russo (sempre da "Le Monde Diplomatique"): "Il G7 vuole distruggere le nostre industrie ad alta tecnologia ed impedire lo sviluppo di una potenza capitalista rivale. Ma se l'Occidente si immagina di trasformarci in paradiso tecnologico dotato di una manodopera a buon mercato. se crede di poter pagare il nostro personale scientifico 40 $ al mese, si sbaglia di grosso. li nostro popolo si rivolterà".
Lasciamo stare il "popolo" che si rivolta per difendere le ragioni del capitalismo nazionale. Ci basta sapere che quest'esigenza s'incarna di già in una borghesia nazionale russa in grado di far sentire la propria voce e di decidere non diciamo di sottrarsi alle leggi dello Sviluppo combinato e diseguale del capitalismo mondiale ma sì ad una spontanea accettazione a farsi da esse strangolare.
Le risorse produttive accumulate precedente niente dal capitalismo sovietico restano comunque cosa non da poco da cui non è lecito pensare si debba ripartire al livello di una colonia o semi-colonia terzomondista. Inoltre, il differenziale esistente tra la Russia e gli altri paesi dell'ex-Unione Sovietica offre alla prima l'opportunità di sfruttare a proprio vantaggio, localmente. le stesse leggi dello sviluppo combinato e diseguale sopra evocato ed è significativo il dato secondo cui "adesso le 14 repubbliche della CSI hanno nei confronti della Russia un deficit commerciale che, nel primo semestre del '92, è salito a 320 miliardi di rubli, pari a 2,8 miliardi di dollari, al cambio vigente a giugno. pari al 67% delle loro esportazioni verso la Russia, e poiché la maggior parte di questo deficit è stato accumulato nel solo secondo trimestre, è sicuro che entro l'anno il totale sarà il doppio e che nel '93, quando la Russia aumenterà i prezzi delle sue esportazioni di energia. esso arriverà a livelli inimmaginabili" (cfr. Notizie Internazionali, n° 25 del '92).
L'immagine di un'economia russa ridotta e, soprattutto, destinata al livello di un bazaar medio-orientale, su cui tanto insiste anche il citato articolo di "Le Monde Diplomatique", non ci convince affatto. E' certamente vero che fenomeni diffusi in questo senso sono tuttora dilaganti e, sotto quest'aspetto, non è del tutto ingiustificata la dichiarazione a "Newsweek" del capo dell'anticrimine di Sanpietroburgo: "Dove un occidentale vede un imprenditore, i russi vedono un bandito". Ma il proliferare della speculazione che gioca sull'accaparramento delle merci prodotte dalle aziende "statali" a prezzi convenzionali per poi stoccarle e reimmetterle sul mercato "nero" non può darsi come regola stabile: se. teoricamente ciò può portare ad un collasso ulteriore della produzione. può anche costituire un'anomalia di medio periodo. nella fase in cui. per riprendere le parole di Volski. vanno a costituirsi le "infrastrutture" di un solido mercato in grado di recidere o deprimere i margini dell'"intermediazione" borsaneristica.
Gli stessi dati relativi alla produzione ed al commercio globali, che indicano una caduta libera dei volumi realizzati, vanno forse letti cum grano salis. Primo perché, presumibilmente una buona fetta delle nuove attività produttive e commerciali sfugge alle statistiche statali ed alle relative indagini da Guardia di Finanza (il famoso "sommerso"). Secondo, perché andrebbe considerato in che misura questa caduta volumetrica corrisponda anche al ridimensionamento obbligato di imprese non remunerative precedentemente protette per ragioni "extra-economiche".
La ricetta del "partito degli industriali" (che osiamo credere, alla distanza, più attrezzato di quello del "bazaar") è, a questo punto, semplice e chiara. Sempre per bocca di Volski: va salvaguardata e, in un certo qual modo, potenziata la proprietà statale (con le caratteristiche di "autonomizzazione" di cui s'è detto) per quanto attiene i settori della grande industria, dei trasporti, del settore energetico e militare, perché solo da qui può darsi "là preparazione delle necessarie infrastrutture, dei quadri economici e del sistema di ammortamento", ma non per riproporre il vecchio sistema amministrativo; la produzione statale va "realizzata" per una sua parte essenziale sul mercato perché solo a questa condizione l'incidenza di essa offrirà occasioni di sviluppo al processo di creazione di società per azioni, collettivi d'affitto, cooperative" (più Stato più mercato; perfetto!). Invece: nei settori a "struttura mobile" (industria meccanica, di precisione, alimentare. di trasformazione, di commercio al minuto dei servizi etc.) il processo di privatizzazione va non solo non ostacolato. ma incentivato.
E sempre allo Stato incombe il carico di una "politica sociale" welfarista. non per un residuo "operaista" da parte dello Stato. ma per l'esigenza di guidare la trasformazione a servizio collettivo della borghesia in maniera tale da evitare processi incontrollabili di degrado a livello di massa col pericolo conseguente di rivolte sociali che rischierebbero di mandare tutto all'aria ("piccolo particolare" trascurato dagli ultra-liberisti, illusi magari di potere all'occorrenza rispondere ad esso col semplice ricorso al bastone).
"Nessuno dei paesi sviluppati industriali può dipendere in pieno dalla pura azione delle forze di mercato... L'esperienza dimostra che un'economia non regolata, affidata al solo mercato produce dei seri problemi... Questi problemi nella maggior parte di questi paesi è stata risolta attraverso un sistema di regolamentazione statale...". Primo punto, che solo ''Lutte Ouvrière" nei suoi ultimi scritti può ancor considerare come contrassegno di post-capitalismo. In secondo luogo: adottati i mezzi della regolamentazione statale, occorre procedere con decisione, ma gradatamente, perché la riforma in corso potrà completarsi solo nel corso di decenni, non di qualche anno, e proprio per favorirne il corso occorre, nella fase di passaggio, "conservare alcuni aspetti del sistema precedente" e cioè quegli aspetti di "comando" utili ad evitare la caduta produttiva via deregulation. "Anche negli USA si fa così". Già, dimenticavamo: questi non sono suggerimenti di qualche "conservatore" o "criptostalinista" russo, ma di un esimio professore della sezione economica dell'università del Massachusetts! (Cfr. D. Kotz, Un'alternativa alla "terapia-shock": il passaggio graduale e regolato all'economia di mercato, in Voprosy Ekonoiniki, n° 1 del '92).
L'esperienza dei guasti prodotti dal "liberalismo selvaggio" raccomandato (et pour cause dal FMI, assieme alla constatazione che da Ovest non arriva alcuna massiccia iniezione di capitali. sta suggerendo un certo "riorientamento" ai vertici del potere russo nella direzione di cui sopra. Il che dovrebbe anche significare che dietro ai vari Voiski esiste un tessuto economico ed una rete d'interessi che vanno estendendosi nella società. Sarebbe un freno od un arresto alla perestrojka? Tutt'altro. Ne sarebbe una congrua accelerazione secondo lo schema da noi già indicato nel n° 18 del nostro giornale (marzo-aprile '90: La perestrojka cambia marcia dall'accelerato al rapido? anche se ci aspettiamo che qualche "trotzkista non pentito" (diversi dagli el'tziniani da "Bandiera Rossa") verrà a spiegarci che siamo di fronte alla rivincita delle "acquisizioni dell'Ottobre" -proprietà statale più pianificazione- tutta roba da "socialismo da Massachusetts"!
Diciamo con ciò che la strada verso la costituzione di un forte capitalismo "rivale dell'Occidente" è definitivamente spianata in Russia? Niente affatto. da un lato perché l'Occidente farà di tutto per mettere il bastone tra le ruote di un simile "progetto", dall'altro perché non vediamo ancora in Russia lo stabilirsi di una sufficientemente estesa e matura base di massa di sostegno ad esso ed un conseguente avvio verso la stabilità politica. E, comunque -sia detto subito-, ogni decisivo successo in questa direzione comporterebbe non la pacifica integrazione del sistema capitalistico russo in un armonico quadro capitalistico mondiale, ma una straordinaria accelerazione della crisi capitalistica mondiale stessa, con l'erompere di incontrollabili contrasti all'interno delle potenze imperialistiche. Ed insieme a questo un formidabile inasprimento delle contraddizioni fra Nord e Sud del mondo, a cominciare dallo stesso perimetro della ex-URSS, all'interno del quale un ritorno in campo di una Russia di nuovo capace di un'aggressiva presenza "esterna" provocherebbe esplosive tensioni con le masse sfruttate delle repubbliche più povere e un ingigantimento della già ora ostica "questione islamica". Ciò che arriverebbe a maturazione in questo caso sarebbe anche una più stretta integrazione tra le forze del proletariato internazionale. Oggettivamente, intanto: ma non mancherebbe a questo punto di spuntar fuori anche il soggetto.
Noi non possiamo che 'tifare" ardentemente per il primo risultato. quello oggettivo, e lavorare coerentemente per il secondo, quello soggettivo.