Riforme elettorali e situazione politica
La corsa alla seconda repubblica non nasce da un moto di
purificazione morale impossessatosi improvvisamente della società civile ' ma è
conseguenza di bisogni indotti dalle convulsioni della crisi internazionale del capitale.
Sono queste a costringere la borghesia italiana a ridefinire i rapporti tra sé e il
proletariato, sospingendo quest'ultimo ancor più nell'angolo dell'"agone"
politico e cercando di spogliarlo di ogni possibilità di resistere al peggioramento delle
sue condizioni di vita e di lavoro.
Nel contempo essa mira ad irregimentarlo ed arruolarlo nella contesa sempre più aspra con
gli altri stati imperialisti per gli spazi di dominio imperialista, e nell'opera
brigantesca di asservimento e supersfruttamento delle masse del Terzo Mondo.
Della ristrutturazione dello stato e della democrazia abbiamo già scritto diffusamente,
tra l'altro, nel n. 23 del "Che fare". Vi ritorniamo ora solo per un
aggiornamento sui fatti da allora intercorsi e limitandoci ai soli aspetti interni di
essa. Sugli aspetti "esterni", legati allo scontro interimperialistico ed alla
"presenza" nei continenti di colore, cui non abbiamo mai cessato di dedicare la
massima attenzione e su cui veniamo anche in altri articoli di questo numero, torneremo
prossimamente in modo specifico con uno scritto d'insieme.
La prima repubblica, dunque, affonda.
La bubbola del giorno è ch'essa cada sotto il peso dell'affarismo politico e della pubblica corruzione. La società capitalistica italiana avrebbe scoperto improvvisamente che il suo fedele compagno di vita, lo stato democratico, è infestato, dal vertice in giù, di regole mafiose, loschi traffici e ladroni. Sdegnata da tanta notizia, qual verginella casta e pura, la società degli Agnelli e dei Berlusconi, che ha nel guadagno la sua sola ragion d'essere, che per uno zerovirgola di profitto in più è pronta a commettere e giustificare qualunque crimine, ora, scossa da incontenibile orrore morale, giura vendetta. C'è da trattenere il fiato: non sarà che lo stato democratico, ed in particolare il "sistema dei partiti" omaccione corrotto e prepotente, l'abbia vinta sulla nostra poverella virtuosa? Ma no, ma no. Niente paura, stanno arrivando in suo soccorso i principi azzurri delle favole. Magistrati dalle mani pulite, giornalisti dalle coscienze pulite, politici dalle intenzioni pulite. Lo giuro! Tiri il pubblico un bel respiro di sollievo. e applauda, applauda, applauda. Il ribaldo (la prima repubblica) è alle corde, il lieto fine (la nascita della seconda repubblica) non sembra lontano.
Credano i fessi a questa messinscena. I marxisti l'rridono. E siamo convinti che la parte più cosciente del proletariato ne diffida almeno un po'.
La prima repubblica affonda per ché il vero potere sovrano di questa società, il potere economico, che nella messinscena appare travestito da società civile-sesso debole ed è invece il potere più forte perché ha in pugno produzione e consumo (da lì viene la sua forza), la sta silurando da tutti i lati. Usando i poteri che da esso dipendono: la stampa, la magistratura, il governo e, buon ultimo, il parlamento. I quattro poteri che sono, come usa dire, relativamente autonomi da quello economico, ma -per l'appunto-relativamente ... Quattro poteri relativi, uno solo "assoluto" (finché non lo spezzerà la rivoluzione socialista):quello del grande capitale.
Le ragioni vere di questo siluramento non hanno nulla a che vedere con la morale. Sono ragioni storiche, economiche, sociali.
Un lungo ciclo di sviluppo e di "pace" è finito, dischiudendo una fase, appena agli inizi, di violenta crisi generale del capitalismo internazionale. Il "nostro" capitale teme di poter fare in essa, come nell'altro grande periodo di sconvolgimenti di questo secolo (19141945), la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro. Teme di diventare, come allora, teatro di un durissimo scontro di classe con il proletariato.
Ed è per questo che, sotto il pungolo di anni di perdita di competitività sul mercato mondiale, il padronato ha messo in cantiere una ristrutturazione globale della società e dello stato nel segno della reazione. Si tratta, infatti, di passare da una "società del benessere" ad una società della scarsità (non passeggera). Da uno stato regolatore della crescita ad uno stato gestore della crisi. Da una democrazia "di pace" ad una democrazia di guerra, interna ed esterna, contro la classe operaia e gli sfruttati di colore della "periferia". Un vero e proprio passaggio epocale, che, per poter esser govemato come la borghesia spera di fare, richiede cambiamenti profondi di condizioni e di abitudini sociali. tali per cui tanto per dire, una finanziaria alla Amato. i licenziamenti di massa e gli interventi bellici all'estero cessino di essere eventi eccezionali per diventare la normalità.
Tutto questo gran lavorìo de la magistratura (magistratura di regime. se mai ve ne fu altra) e della stampa (idem come sopra) intorno al Psi, alla Dc ed agli altri partiti; tutto il gran manovrare del parlamento e della "pubblica opinione" intorno alle riforme elettorali ed istituzionali: sono due momenti dell'azione delle forze capitalistiche dominanti intesa a sbaraccare le vecchie strutture politico-istituzionali ed a predisporre un apparato statale adeguato alla nuova fase.
Agli occhi dei capitalisti, la colpa vera della "prima repubblica" ben lo disse a suo tempo Cossiga, è di esser stata troppo consociativa, troppo molle con gli interessi "corporativa del lavoro salariato, troppo "collusa'' (con la mafia? noooh!) con il "comunismo". La borghesia non è mai stata avara con la sua classe politica in fatto di prebende (sempre e comunque tangenti pagate dal lavoro, e non dal capitale), considerandole in linea di massima un ottimo investimento (pensate all'efficientissimo modello-Giappone, dove c'è una corruzione italiana al cubo). Tutto sta, per l'"etica" degli affari, a calcolare il ritorno delle necessarie spese politiche in profitti per il sistema. E' su questo punto che l'oggi infamato Caf è caduto, e con esso si sta sfasciando l'impalcatura istituzionale dell'ultimo cinquantennio.
"Signori, si cambia", si cambia anche tipo di repubblica, è diventato il motto innovatore del grande capitale. Per il proletariato si cambia in peggio, sotto tutti gli aspetti.
Prima di vedere come il proletariato può difendersi da questo attacco a tutto campo del nemico di classe, chiediamoci a che punto è il cambiamento politico-istituzionale pilotato dal potere economico e poi quali sono i passi in cantiere in direzione della meta-seconda repubblica.
Se solo si fa mente locale su quale era la situazione un anno fa, i cambiamenti sono evidenti.
I colpi dell'iniziativa referendaria, le inchieste della magistratura ed i successi elettorali delle Leghe hanno fortemente fiaccato la capacità di resistenza della vecchia nomenklatura borghese. La Dc ha dovuto cambiare segretario e parte del gruppo dirigente, piegandosi almeno un po' al vento liberista del nord. Il Psi, che ha tentato e per aver tentato un improvvido arroccamento in difesa dell'esistente, ed anche -diciamolo- per quell'ombra di ombra di "socialismo" che tramite il Psi si può colpire, è stato ridotto a poco più che un cumulo di macerie.
Per converso. il "nuovo" ha cominciato a prendere consistenza. La Lega Nord in particolare si è affermata come una nuova formazione borghese di massa, sia pure soltanto su una sezione (ma quella più "pesante") del territorio nazionale. Anche al sud qualcosa si è mosso. L'indebolimento della componente più avventurista della mafia comincia a far uscire allo scoperto forze borghesi e sotto-borghesi vogliose di rilanciare nel Mezzogiorno sia l'accumulazione che la presenza dello stato. Pure qui ha fatto la sua comparsa una nuova forza politica di centro, la Rete, che inizia a fare discrete raccolte all'insegna di un qualunquismo "anti-partitocratico" di sinistra memoria.
La situazione non è rimasta quel che era neppure a livello di governo. Infatti il governo Amato ha saputo precorrere i tempi nel mettere la museruola al parlamento ed indicargli la sua futura collocazione chiaramente subordinata all'esecutivo (tutti e due, ma questa non è una novità, subordinati al capitale). E l'ha fatto il diritto segue sempre i fatti- senza bisogno di attendere nuove regole. Né ha avuto bisogno del I ... assenso popolare" ad una democrazia più autoritaria per attaccare frontalmente la classe operaia prima e privatizzare il pubblico impiego poi. Due buoni anticipi, lo intendano i lavoratori. di decisionismo da "seconda repubblica".
Un altro risultato conseguito dalla borghesia è la crescita della mobilitazione della cosiddetta pubblica opinione, in specie degli strati intermedi della società, a sostegno di un nuovo ordine democratico che sia si dice da sotto (ed è davvero straordinaria la coincidenza con quel che si vuole si dica da sopra)- più pulito, meno "partitocratico", più energico e che addirittura, beffa tra le beffe, consenta finalmente all'elettore di decidere "chi governa".
Nonostante ciò, la situazione continua a presentare, per il capitale, diverse incognite.
Le rappresentanze tradizionali di governo della borghesia, per quanto messe sulla difensiva. possono tuttavia ancora frapporre ostacoli al processo riformatore, che si prefigge di tagliare non poche sinecure. Ostacoli che sono pericolosi non perché possano mettere in discussione l'esito finale dello scontro tra il grande capitale e i suoi politici (è ben evidente da quale parte c'è la maggior forza). ma perché aumentano i fattori di instabilità e con essi il ritardo che il "nostro" capitalismo accusa nei confronti dei propri concorrenti.
Il "nuovo" poi, sta allargandosi. ma. rispetto alle necessità capitalistiche di massimo accentramento del potere, è tuttora frastagliato in troppi poli conflittuali tra loro. Lega Nord, la Dc di Martinazzoli, la "cosa" che c'è e non c'è di Segni, l'altra araba fenice della Alleanza democratica. e poi la Rete, Msi riverniciato da Fini in stile liberty: per ragioni diverse, al momento, nessuna di queste forze dà ai padroni sufficienti garanzie di poter diventare la pietra angolare della nuova repubblica anti-operaia. Anzi proprio la organizzazione politica con la crescita più impetuosa, la Lega, inizia ad essere avvertita nelle alte sfere del potere economico monopolistico come una presenza che può diventare ingombrante, nonostante Bossi si stia impegnando a mettere a freno le tentazioni alla secessione, lo stesso esclusivismo nordista e le pulsioni poujadiste ed "anti-monopoliste" delle proprie frange più arrabbiate.
Ed è questo uno dei motivi per cui il capitale, pur spingendo verso il rinnovamento del proprio ceto politico, sta attento -con l'occhio ai movimenti della classe operaia- a non esasperare le contraddizioni con la componente più flessibile di quel vecchio "sistema politico che fin qui l'ha servito a dovere.
Il passaggio "istituzionale" su cui più sta concentrandosi la pressione capitalistica è la introduzione del principio maggioritario. Non è ancora escluso che questa riforma elettorale possa essere varata in parlamento. tuttavia ci par di cogliere una chiara propensione del padronato a favore dello svolgimento del referendum, ed anzi intorno a questa scadenza già si sta montando un china di grande attesa.
"Si comincia. solo ora e finalmente, a fare sul serio", scrive il "Corriere della sera" del 18. 1, enfatizzando al di là degli effetti pratici del referendum, i suoi "ancor più importanti e dirompenti, cruciali effetti simbolici"
Gli effetti pratici sono risaputi. Dal maggioritario i padroni si aspettano innanzitutto una drastica riduzione e concentrazione delle proprie forze politiche, parallela al ridimensionamento, nel sociale, delle svariate corporazioni (borghesi). Una semplificazione che dovrebbe produrre maggiore stabilità delle coalizioni e dell'esecutivo, oltre che una riduzione di costi dell'apparato politico. Contano, poi, sulla capacità moderatrice del principio maggioritario, che costringe i partiti, ed in primis quelli di sinistra, per conseguire il premio di maggioranza, a serrare al centro per accattivarsi il voto determinante delle mezze classi. Tramite esso, infine, sono sicuri di "liberare" il parlamento perfino del piccolo fastidio delle punture di spillo (sarebbe esagerato parlare di ostruzionismo) delle formazioni minori estreme.
Con una serie di piccole modifiche istituzionali per lo più passate sotto silenzio, negli scorsi anni la borghesia ha rafforzato, anche sul piano formale, la diretta subordinazione a sé del governo. svincolandolo il più possibile dal controllo parlamentare. Conseguito ciò. essa vuole ora un parlamento ancora più allineato. più efficiente. più scattante nel secondare le necessità del "nostro" capitalismo, Un parlamento. quindi, che sia anche più blindato nei confronti di governi parlamentari di sinistra (pare che anche Occhetto inizi a sospettarlo ... ).
Conseguentemente, mentre si apprestano a doppiare il capo del referendum e -comunque- del maggioritario, i capitalisti intensificano i contatti e le manovre per arrivare alle prossime scadenze elettorali generali con una qualche forma di ricucitura tra parte del proprio vecchio personale politico e quello emergente. Si moltiplicano così gli auspici di una "grande alleanza di forze laiche e cattoliche" capace di assicurare ai propri mandatari -quelli di sempre, ."eletti" dal mercato- una schiacciante vittoria, un secondo trionfale 18 aprile, e di relegare il Pds, possibilmente indebolito da altre piccole scissioni su ambo i lati, ed i suoi eventuali alleati al rango di forza del tutto secondaria nel futuro parlamento e nel futuro "sistema politico". Non sarà cosa semplice a farsi, questa alleanza, ma se é vero che la Lega è stata già autorizzata a governare e già si auto-definisce la "nuova Dc, però non corrotta", che il Pri comincia a perorare un riavvicinamento tra Dc e Lega, e così via, vuol dire che il vecchio e il "nuovo" stanno, se non altro, cominciando ad annusarsi. Il resto si vedrà.
Quel che già ora pregusta la borghesia (ma non è escluso che le possa restare un po' amaro in bocca), sono gli effetti simbolici del referendum. Sarà, scrive ancora il "Corriere", "un plebiscito, dal risultato praticamente scontato, contro la prima repubblica ed a favore della seconda". Un plebiscito contro una forma di democrazia, quella eletta con la proporzionale, che avrebbe avuto il torto di aver dato "rappresentanza a qualunque interesse ed a qualunque umore. anche il più minuscolo", ed a favore di una democrazia corazzata. chiamata "prima di tutto e soprattutto a governare", A governare, non c'è bisogno di specificarlo. in accordo ai soli interessi cui per definizione, in questa società. spetta la maiuscola quelli del capitale. E perciò a governare con pugno di ferro. prima di tutto e soprattutto. contro la classe operaia.
A queste "nuove" istituzioni la Confindustria, primo sponsor dei referendari doc, spera di assicurare una solenne investitura popolare con l'annunciato successo dei "sì", che verrà presentato come una delega di lungo periodo alla seconda repubblica a fare il suo compito. Il contenuto della delega l'ha dichiarato piuttosto apertamente anche Segni, tra i non ultimi fari della suddetta: "per risolvere la crisi, dovrà essere fatta una politica dura, con forti sacrifici. Una simile operazione (anti-proletaria -n.) richiede una nuova direzione politica che abbia un largo consenso, una larga fiducia nel paese. Non è pensabile che una classe politica come questa chieda sacrifici." (intervista a "la Repubblica", 15 marzo 1992).
E' questo il vero nocciolo di tutta la sarabanda sulle riforme elettorali-istituzionali (quand'anche dovessero farsi in parlamento) e delle elezioni generali con nuove regole che ad esse seguiranno. La classe borghese svecchia, semplifica, riorganizza, accentra il suo apparato di potere e chiede per esso una nuova, forte legittimazione popolare in vista di un'intera fase storica di pesantissimi attacchi alla classe operaia ed ai lavoratori che il "nostro" imperialismo sfrutta nel Terzo Mondo. Attacchi. ben inclusi quelli bellici, nei quali un governo ed uno stato democratico super-blindati dovranno fare fino in fondo la loro parte.
Se così è, e così è, corrotti ed onesti. conservatori ed innovatori-reazionari. e soprattutto le forze economiche che stanno dietro le quinte della politica borghese e ne dettano gli svolgimenti sanno bene che la massima incognita con cui dovranno fare i conti è rappresentata dal proletariato industriale. Per questo, con unità d'intenti spontanea, da un lato lavorano a coinvolgere nella misura del possibile le organizzazioni "operaie", ed in particolare il Pds, nella riforma autoritaria delle istituzioni, e dall'altro ad immobilizzarle e sfibrarle sul terreno sociale. Senza. si capisce, mai cessare di attaccarle e colpirle sul piano propagandistico e, se possibile, giudiziario, in modo da mettere il proletariato ulteriormente in difficoltà e da congelarne o disperderne il potenziale di lotta.
Da manuale, in materia, il comportamento di Segni e della sua ganga di referendari Dc. Arruolarono a suo tempo il Pds per dare impegno ad una campagna referendaria che, nonostante gli enormi mezzi a sua disposizione, stentava a decollare e per assicurare ad essa una udienza dentro la classe operaia. Lo hanno tenuto per un paio d'anni al laccio, forzandolo a continue rielaborazioni in senso moderato della sua prospettiva di governo ed utilizzandone la forza di pressione fino a quando è stata in dubbio l'ammissibilità del referendum. A quel punto giunti, questi escrementi del cinquantennale "regime democristiano" si sono per messi di congedare il loro ex-compagno di strada Pds come fosse esso un ferrovecchio dell'Ancien regime:
"Non credo -è sempre il solito a parlare- che la novità del futuro possa essere costituito da un qualcosa in cui confluirebbero pezzi di apparati scampati a tangentopoli e personaggi ormai logorati. Non basta il timbro dell'Internazionale socialista a fare nuova una cosa che nascerebbe vecchia" (" L'indipendente ".24.1.93). C'era da aspettarselo che nella nuova repubblica finanche il timbro della Seconda Internazionale sarebbe stato guardato con sospetto ... E ben dimostra di averlo inteso il "sinistro" Martelli. Altro punto di riferimento del gruppo dirigente del Pds. quando afferma -contro qualsiasi velleità di rilancio di un riformismo con pur minimi contenuti "operai"- che la stessa socialdemocrazia è superata. e che si tratta di fare un grande partito democratico sul modello del partito radicale. E non va forse dicendo la grande stampa democratica che ormai non è più tempo di sinistre, che la sinistra non solo non c'è ma è tutt'altro che una perdita che non ci sia?
Né la vecchia nomenklatura (ammesso e non concesso che i Segni. i Martelli e tutta [a fetentissima congrega degli innovatori siano "nuovi") intende esser seconda a nessuno nell'attacco al Pds. ovvero: a quegli interessi operai che tanto poco e male il Pds rappresenta. Al solo accenno da parte della Quercia di rilancio della lotta nelle piazze, Amato si è letteralmente scatenato, dicendo, in sostanza, che saranno guai per chi osa assumere in un qualsiasi modo il "patronato" degli operai e dei pensionati.
Per i capitalisti ed i loro uomini politici, dunque, riforme istituzionali e controriforme sociali fanno tutt'uno. L'offensiva capitalistica sta procedendo unitariamente su entrambi i piani.
Il gruppo dirigente del Pds. invece, ha creduto che fosse possibile tener separati i due processi. Peggio: ha pensato di potersi difendere dalla ristrutturazione in senso totalitario delle istituzioni statali mettendosi a cavalcarla, facendone propri i principi di fondo, in nome di un'efficienza presuntamente utile per tutti e dell'avvicinamento dell'alternanza (altra topica!). Appena adesso inizia ad avvertire di essere uno dei bersagli della macchina referendaria-maggioritaria che ha contribuito a fabbricare e lanciare. Sarebbe grave -ha dichiarato Occhetto a "la Repubblica" del 22.1- usare il referendum non per fare la riforma elettorale, ma per fare "tabula rasa dei partiti e di tutto ciò che è stata la prima fase della repubblica", maneggiandolo come "una clava da calare sulla testa del parlamento" e del ... Pds. Davvero? E cosa di diverso avrebbe potuto essere'?
Inutile attendersi che le ennesime clavate rimediate portino il gruppo dirigente del Pds a riconoscere il feroce segno di classe di tutta la ristrutturazione sociale e politico-istituzionale in atto da molti anni, -o tanto meno- che lo inducano a rovesciare la sua linea. La ragione sociale dei partiti riformisti e socialdemocratici è quella della armonia tra le "parti sociali". Il loro vangelo è che è sempre possibile, e nell'interesse della 'comunità". ricomporre ad unità gli interessi (antagonistici) di capitale e lavoro. E nella loro concezione sono appunto le istituzioni politiche. lo stato. la democrazia, il parlamento, il governo, che, lungi dall'esser strumenti di dominio e di repressione nelle mani della classe sfruttatrice, avrebbero la funzione super partes di comporre equamente le contraddizioni sociali.
Ed è così che, nella vana speranza di poter limitare i danni proseguendo sulla propria linea bancarottiera, il Pds non trova di meglio ora che cercare di evitare che passino le modalità più estreme del principio maggioritario, e ritentare di continuo. e sempre più al ribasso, di entrare nell'area di governo per co-determinare la transizione alla seconda repubblica. Salvo ad impattare sistematicamente nel no secco dei propri interlocutori, vecchi o "nuovi", a qualsiasi proposta di programma di governo che tenga conto delle aspettative immediate della classe operaia. Aspettative da cui invece il Pds non può tutt'oggi prescindere, pena la perdita di senso della sua esistenza come partito distinto e "diverso".
Il turbinoso susseguirsi di "alleanze" (che finiscono sempre in rotture), contatti, incontri, mezzi giri di valzer (che finiscono sempre nel nulla) della direzione pidiessina con i d.c. pattisti, la Lega, i verdi, la Dc del nuovo corso, il Pri, l'opposizione socialista e addirittura con un Quirinale di provatissima fede scelbiana. non è stato in grado di rallentare in nulla l'incedere dell'offensiva reazionaria, di cui tutte queste forze sono parte integrante. Anzi, ha prodotto solo altro disorientamento nel proletariato, frenandone la lotta e permettendo alla borghesia di andare più a fondo nei propri attacchi. Non le convergenze con questa o quella parte dello schieramento borghese, ma soltanto la scesa in campo della classe operaia e dei lavoratori a difesa dei propri interessi potrà sbarrare il passo alla riorganizzazione in senso ancor più anti-proletario (se possibile) della società e dello stato.
Una netta indicazione in questa direzione non viene neppure da Rifondazione comunista. Certo, il Prc intravvede, -non è che ci voglia molto!-, una certa connessione tra la svolta autoritaria a livello di riforme elettorali-istituzionali e la politica sociale thatcheriana del governo Amato e del padronato. Ma questa connessione è stabilita con la medesima logica di fondo del Pds (Togliatti docet agli uni ed agli altri): il terreno decisivo è quello elettorale-istituzionale, dice anche il Prc. E dunque per Rifondazione, la madre di tutte le battaglie, che deciderà delle "sorti del Paese". sarà quella in difesa della democrazia, a salvaguardia dei "valori decisivi della democrazia contenuti nella proporzionale". La lotta operaia. senza dubbio. è anch'essa importante (come un accessorio di lusso), ma deve porsi e purché si ponga al servizio della lotta per la democrazia vero bene supremo per tutti i cittadini. e principalmente per i lavoratori.
Scontata è. anche in questo caso, la rincorsa alle classi non proletarie, qui nelle vesti di "popolo della Costituzione" e degli eccellentissimi paladini del proporzionale, inclusi gli strusciamenti coi, Psi craxiano (ma non si tratta del partito dell'"odiato" Amato?), e qualche altro piccolo infortunio collaterale (sul tipo dei "fronti uniti" alla croata ... ).
Non è da stupire, perciò, se l'appello del Prc ad una mobilitazione eccezionale in difesa della proporzionale (ancorché non proprio di quella purissima. perché dopotutto il bicchierino dello sbarramento del 5% è disposto a berlo anche l'astemio Cossutta) abbia avuto un riscontro assai modesto tra gli stessi militanti del partito, ed in particolare tra quelli proletari, di condizione o di sentimenti. Esso suona oggettivamente, e tale è, come un appello smobilitante per la lotta del proletariato, la sola forza sociale realmente in grado di arginare e respingere l'attacco capitalistico.
Questa forza, purtroppo, è molto lontana dall'essere schierata su una posizione di classe rivoluzionaria.
Un lungo periodo controrivoluzionario di sviluppo del capitalismo ha radicato profondamente nella classe operaia la fiducia nelle istituzioni democratiche. Non sono soltanto le direzioni del Pds e di Rifondazione a vedere come unico orizzonte possibile quello del mercato e della democrazia borghese (semi-maggioritaria o semi-proporzionale che sia). Né sono soltanto Occhetto e Garavini a preconizzare come soluzione dei problemi operai un governo degli onesti e dei competenti o una altrettanto evanescente "alternativa di sinistra". Così è pure per la massa e per la stessa avanguardia di lotta della classe operaia.
Tuttavia. finito il periodo dello sviluppo e della "pace". le illusioni democratiche (figurarsi le illusioni di allargamento referendario della democrazia, art. 19 e compagnia!) saranno picconate dalla inesorabile dinamica dei processi materiali. il passaggio dal fascismo alla prima repubblica. non perché questa avesse natura di classe diversa da quello, ma perché coincise con un rilancio del l'accumulazione sulla base delle montagne di cadaveri e di rovine della guerra, ha significato un certo miglioramento delle possibilità di consumo del salariato (l'auto, la tv, la lavatrice, qualche giorno di ferie in più, talvolta la casa). Il passaggio dalla prima alla seconda repubblica segnerà, già ora segna, un tragitto inverso. E' questo il dato materiale. oggettivo, che renderà impossibile alla borghesia "integrare" a fondo consensualmente la classe operaia nelle "nuove" istituzioni politiche.
Lo si è già visto con la ripartenza delle lotte operaie in autunno. La modesta rivendicazione operaia di una società un po' più equa, in cui comincino a pagare quelli che non hanno mai pagato, va oggettivamente in direzione opposta a quella esasperazione della polarizzazione sociale e delle sperequazioni che sarà invece propria della seconda repubblica. Ma, -qua sta la complicazione-, la cosa è oggi tutt'altro che chiara ai lavoratori.
Infatti, mentre il governo Amato è stato costretto ad esporsi per conto di tutta la classe capitalistica alla rabbia del proletariato, i "rinnovatori"-reazionari (Lega Nord, referendari, etc.) hanno pensato bene di tenere prudentemente coperte le proprie carte in fatto di programma sociale. Una parte di essi ha votato con Amato (magari criticandolo in modo criptico da destra per l'insufficienza della sua manovra). ma ha lasciato che entrambe le cose. voto di fiducia e critica da destra. restassero sullo sfondo. e si è presentata al proscenio gridando -anche verso gli operai- che non ci sarà uscita dalla crisi senza la fine del "vecchio regime". e collocandosi così. apparentemente a mezza strada tra governo ed opposizione. Un'altra parte di essi che. pur condividendo a pieno l'impianto anti-operaio della politica di Amato, ha votato contro il governo, ha avuto un compito ancora più agevole nel negare ogni responsabilità per l'aggressione ai lavoratori. Le due parti sono impegnate a conquistare il consenso del lavoro salariato alla nuova repubblica allo stato nascente.
Le acute contraddizioni o le rapide dislocazioni in atto nel campo borghese non stanno favorendo la decantazione delle posizioni nel campo proletario. C'è una confusione politica estrema nelle fila della nostra classe. Ed, è inutile nasconderlo, vi è spazio, non poco, per una passiva aspettativa di benefici dall'opera di "moralizzazione" dei giudici e dallo smantellamento della "partitocrazia". Vi è spazio, anche, per un qualche rilancio della alleanza tra "ceti produttivi" contro la disoccupazione. E tuttavia, pur in questo quadro di drammatica corruzione della organizzazione e della coscienza di classe antagonista, si sta facendo faticosamente strada nelle lotte operaie la sensazione che forse non è il caso di riporre fiducia nei campioni della seconda repubblica.
Non è cosa da niente che nei cortei operai comincino a sentirsi, a Milano!, slogan polemici anche nei confronti della Lega, per la sua sistematica indifferenza (è questo che si coglie, per ora) alle istanze dei lavoratori. Né lo è che si cominci ad affermare, per dirla con un operaio dell'Ilva di Piombino, che "la prima riforma istituzionale dev'essere quella di garantire il lavoro agli operai ed ai disoccupati". Perchè mostra come. nel vivo dello scontro di classe, e sia pure a partire da un livello politico minimo, riemerge necessariamente la istanza operaia di una politica, di un potere che risponda ai bisogni della classe sfruttata.
E' questo l'anello vivo e nostro da afferrare. E' solo la lotta nelle piazze, nelle fabbriche, sui luoghi di lavoro che può ergere barricate vere contro l'offensiva capitalistica. E' solo la esplosione della "questione operaia'' delle incomprimibili necessità e "diritti" della classe operaia. che potrà negare un secondo plebiscito (sul tipo di quello del '46) a quest'altra infame repubblica borghese, svelandone da subito il suo carattere di totalitaria dittatura di classe degli sfruttatori.
Altro che le fasulle "barricate" in difesa del sacro principio proporzionale! Questo è l'ennesimo ed il più vacuo degli argini legali-elettorali di cartapesta che il riformismo s'è illuso in questo secolo di poter opporre ai carri armati ed ai caccia bombardieri della reazione borghese implementata dal potere economico e politico del capitale.
Il proletariato deve difendere, questo è certo, le sue postazioni, la sua organizzazione sindacale e politica, le sue "istituzioni", tutto quanto con le sue lotte, e non per graziosa concessione di nessuna costituzione o di un qualsivoglia "alleato", ha strappato al capitale. Ma non può provare nessunissimo rimpianto per il "sistema politico" al tramonto, che ha tanto amaramente deluse le sue grandi speranze di una "democrazia popolare" giusta con tutti i suoi membri. La democrazia al declino. la gloriosa democrazia nata dalla Resistenza (a proposito, a quando l'ammissione che avevano piena ragione i marxisti a dire, nel 1946. "abbasso la repubblica borghese"? La domanda, naturalmente, non è rivolta ai capi del Pds o del Prc.), non è mai stata la sua, ma sempre e solo la democrazia della Fiat. dell'Iri, della Montedison. della Banca d'Italia: la democrazia del capitale.
Nessun suicida cavalcamento della nuova repubblica, alla Occhetto, dunque. Ma anche nessun passatismo alla Garavini. Indietro non si torna. Il proletariato dovrà accettare fino in fondo la sfida che il capitale gli sta lanciando. Ha saputo farlo, pur perdendo il primo round. battendosi contro l'offensiva del governo Amato. Saprà farlo anche contro l'offensiva politica e propagandistica volta alla rifondazione dello stato borghese. a condizione che rifiuti di scegliere il "meno peggio" tra le istituzioni di potere nemiche e si riorganizzi e si batta per la conquista di tutto il potere per sé.