I lavoratori hanno sempre giustamente visto nella criminalità organizzata un fenomeno estraneo e ostile agli interessi del movimento operaio.
Basterebbe ricordare i tanti episodi di intimidazione e di aggressione subita dagli operai per mano della mafia e della camorra per confermare la natura antiproletaria della criminalità organizzata.
Negli ultimi anni la mafia si è trasformata, puntando da un lato sul traffico della droga e dall'altro accentuando i suoi investimenti nel campo produttivo.
Sempre più spesso piccole e medie fabbriche o catene della distribuzione passano nelle mani di uomini della mafia, che non esitano ad utilizzare i propri scagnozzi armati per imporre condizioni di lavoro e trattamenti salariali intollerabili, per intimidire qualsiasi tentativo di reazione operaia.
Per quanto riguarda il traffico illegale della droga, basta osservare qualsiasi quartiere periferico delle nostre città per rendersi conto del degrado e della frantumazione interna al proletariato che la diffusione della droga provoca.
Ma per difendersi da questo fenomeno apparentemente indistruttibile occorre chiedersi innanzitutto da che cosa è alimentata e da dove deriva la forza della mafia.
Il primo luogo comune che occorre sfatare è quello secondo cui la mafia è il frutto dell'arretratezza sociale. Ma la mafia è oramai un fenomeno mondiale ed è insediata nelle principali metropoli del mondo: da NewYork a Mosca da Tokio a Rio de Janeiro. Si tratta quindi di un fenomeno "moderno" che fa proseliti nelle aree in cui il pieno dominio capitalistico produce un maggiore degrado sociale.
Il secondo elemento di falsità che va superato è quello secondo cui la mafia è qualcosa di esterno agli attuali rapporti sociali, una specie di cancro cresciuto sul tessuto sano della società.
In realtà la mafia non fa altro che portare alle estreme conseguenze quello che è l'imperativo dominante della società capitalistica: la ricerca del massimo profitto senza stare a guardare per il sottile sui mezzi e sulle conseguenze per raggiungerlo.
Le vicende delle tangenti a Milano (altro fenomeno ormai universale) non dimostrano forse che anche i padroni "sani" non esitano a trasgredire la "loro" legalità per ottenere guadagni al di sopra della media?
Lo sfruttamento quotidiano degli operai e lo stillicidio di morti sul lavoro, la rapina e l'affamamento dei popoli del terzo mondo, l'inquinamento mondiale prodotto dalla produzione capitalistica, le guerre foraggiate dalle diplomazie occidentali e dai produttori di armi sono solo degli esempi per comprendere che i crimini della mafia impallidiscono di fronte a quelli commessi dai padroni e dai governanti che li rappresentano politicamente.
In ultimo, la mafia non è l'antistato. Contrariamente a quanto cercano di farci credere giornalisti e politici borghesi, essa è un organizzazione complementare e strettamente intrecciata con parti decisive degli apparati statali.
Complementare perché attraverso la propria presenza in aree particolarmente degradate assicura al capitalismo nel suo complesso un controllo sociale difficilmente raggiungibile con l'ordinaria amministrazione. Intrecciata perché, come ogni organizzazione borghese, cerca di crearsi le proprie lobbies all'interno dello stato per tutelare i propri interessi economici.
Solo quando le attività mafiose entrano in contraddizione con la difesa degli interessi del capitale complessivo nazionale lo stato esercita una reale politica repressiva contro la criminalità organizzata.
Politica che non è mai tesa a distruggere il fenomeno mafioso (cosa tra l'altro impossibile entro gli attuali rapporti sociali che l'alimentano continuamente) ma a ridimensionarlo e a renderlo di nuovo funzionale con gli interessi generali del capitalismo.
Non è un caso se quei pochi "servitori dello stato" che s'illudono di condurre fino in fondo la lotta alla mafia, vengono sempre bloccati e ostacolati quando superano gli scopi che lo stato si era prefissato, quando non vengono abbandonati alla vendetta della mafia.
Non è da questo stato quindi che ci si può aspettare una lotta decisiva contro la mafia.
Non è la mancanza di leggi adeguate o di un sufficiente numero di magistrati e poliziotti che impedisce di sconfiggere la mafia, ma il fatto che questo stato non vuole e non può fare a meno della mafia.
Viceversa in nome della lotta alla criminalità organizzata assistiamo al tentativo di rafforzare lo stato borghese nelle sue funzioni antiproletarie, di creare un consenso e persino una mobilitazione di massa a suo sostegno.
Un esempio concreto lo abbiamo avuto con l'ultimo decreto legge antimafia emesso dal governo. Questo provvedimento, che gli stessi magistrati non esitano a definire inutile per la lotta contro la mafia, rappresenta un tentativo di rafforzare i poteri e la discrezionalità della polizia.
Esso s'inserisce a pieno titolo nel processo di "riforma istituzionale" su cui tutti i partiti costituzionali convergono e che ha come obiettivo un rafforzamento autoritario dell'esecutivo e la creazione di strumenti repressivi contro chi si oppone alla politica statale.
Non lotta contro la mafia quindi, ma rafforzamento degli apparati repressivi per difendere meglio il sistema capitalistico.
Sfruttando l'indignazione popolare per i delitti di mafia più clamorosi si cerca di trasformare una mobilitazione come quella di Palermo in un movimento a sostegno della svolta autoritaria che avrà come principale obiettivo la repressione delle lotte e delle organizzazioni proletarie.
Questo tentativo va bloccato e respinto da parte degli operai.
La lotta alla mafia non può trasformarsi neppure indirettamente in un movimento a sostegno di questo stato che rappresenta politicamente gli sfruttatori del proletariato.
Parimenti non vi può essere lotta alla mafia che non sia contemporaneamente lotta a questo stato e al sistema capitalistico.
E' all'interno di questo sistema fondato sullo sfruttamento salariale e sull'appropriazione privata che stanno le cause del fiorire del fenomeno mafioso.
E' all'interno dello stato borghese che vanno ricercati i principali alleati della mafia e le sue rappresentanze politiche.
Non è tra i padroni e i commercianti che troveremo alleati per combattere la mafia ne tra i partiti e le istituzioni di questo stato.
I pochi settori del mondo imprenditoriale che imprecano contro la mafia lo fanno solo perché non hanno nessuna intenzione di spartire con la criminalità organizzata i profitti che si procurano sfruttando "legalmente" la classe operaia.
Il sindacato invece ci chiama a stringere un alleanza con l'imprenditoria "sana", a difendere la "legalità". Ci chiama ad una mobilitazione generale contro l'"emergenza" mafia e non ha trovato il tempo per indire uno sciopero generale contro l'emergenza degli attacchi padronali alla scala mobile e all'occupazione. Non una parola viene spesa per denunciare i progetti di svolta autoritaria, per condannare quella "legalità" che consente quotidianamente ai padroni "sani" di licenziare, di imporre condizioni di vita e di lavoro intollerabili alla classe operaia, di produrre quel degrado sociale in cui fiorisce la mafia.
La ripresa della lotta generalizzata del proletariato, della sua indipendenza politica ed organizzativa rappresenta invece il principale antidoto contro l'ulteriore diffusione del fenomeno mafioso.
Come non vedere che il dilagare della criminalità organizzata procede di pari passo con gli arretramenti delle lotte operaie. Un proletariato combattivo ed organizzato è in grado non solo di reagire alle intimidazioni mafiose, ma soprattutto può essere punto di riferimento per tanti giovani, che, soprattutto al sud, per sfuggire ad un futuro di miseria e di emarginazione finiscono per alimentare le fila delle organizzazioni mafiose arricchendole di nuova manovalanza.
Una classe operaia che non riesce a ritrovare la sua unità, che non riesce a respingere gli attacchi al salario e all'occupazione scatenati da padroni e governo, difficilmente riuscirà a mettere in campo quella forza necessaria per contrastare la diffusione del fenomeno mafioso.
Una classe operaia che non sappia recuperare le sue tradizioni di lotta per il socialismo, per la distruzione alla radice del sistema fondato sullo sfruttamento salariale, difficilmente potrà contrastare l'ideologia dominante basata sull'individualismo più esasperato, sull'arrivismo e sull'accumulo di ricchezza sempre maggiore a qualsiasi costo, che è il brodo di coltura in cui si affermano i borghesi, mafiosi e non.
Solo risalendo questa china si possono creare le premesse di una lotta efficace contro la mafia.