LA TORINO OPERAIA TORNA IN PIAZZA

La massiccia ripresa della mobilitazione della classe operaia torinese, di particolare importanza quella alla FIAT, è segno inequivocabile dell'ampiezza e della potenzialità del movimento di lotta contro la manovra del governo Amato. Una ripresa direttamente proporzionale alla rabbia accumulata dagli operai in questi ultimi dieci anni, che li ha visti duramente attaccati, a Torino come altrove, nelle loro condizioni materiali così come nelle postazioni politiche e organizzative.

Dopo che già l'accordo di luglio aveva lasciato dietro di sé un forte scontento tra tutti i lavoratori, la stangata di settembre ha definitivamente rotto gli argini a questa rabbia: scioperi spontanei, cortei, massiccia partecipazione agli appuntamenti di lotta e alle assemblee sui posti di lavoro, forte ripresa della discussione e grande disponibilità a continuare ed approfondire la mobilitazione. Nessuno ha chiamato gli operai alla lotta, e ciononostante la loro risposta è stata massiccia e immediata. Questo ritorno da protagonista della classe operaia ha lasciato e ancor più lascerà segni inequivocabili anche nel rapporto tra la massa e i vertici sindacali, la cui inconsistente risposta al governo (dopo aver firmato a luglio l'accordo sul costo del lavoro) insieme alla blindatura verso le richieste di una lotta vera è stata vissuta come un ulteriore, inaccettabile passo in avanti nella svendita degli interessi operai.

Già era forte lo scontento per l'accordo del 31 luglio. E significativa e' stata la presenza di operai alla manifestazione del 5 settembre organizzata dal Pds a Milano e ancor di più a quella del 12 di Rifondazione a Roma. Così come l'assemblea indetta da "Essere Sindacato" riempiva tutto il grande salone della Camera del Lavoro di Torino. Questo malessere però non riusciva ancora a tramutarsi in una mobilitazione generale, determinando piuttosto un senso di impotenza e una situazione di stallo. Le stesse proposte di "Essere Sindacato" del resto non indicavano nel lavoro per la ripresa della mobilitazione generale l'unica strada per capitalizzare questo profondo malcontento.

Questa situazione però è presto rotta dalla reazione determinata e compatta alla stangata del governo. Se gli operai della Carello, Pininfarina, Riv-Skf, Olivetti, ecc. scendono subito in campo con scioperi spontanei e blocchi stradali, è tutto il fronte della classe operaia che si rimette in moto con uno di quei movimenti profondi che preannunciano un terremoto. Ripresa generale della discussione in fabbrica e in tutti i posti di lavoro, assemblee affollate e incandescenti in cui esplode la rabbia contro i "sacrifici" e contro un sindacato che "non fa più i nostri interessi". E insieme forte e unitaria pressione dal basso verso le strutture sindacali per una risposta immediata e inequivoca di lotta. Questi gli importantissimi segnali di un clima oramai mutato con i lavoratori decisi a non voler più fare da carne da macello per i piani di "risanamento" di governo e padroni, a cui si tratta di contrapporsi con l'unica arma a disposizione: la lotta.

Lo sciopero generale regionale e la manifestazione di Torino del 25 settembre ne sono la riprova definitiva. Innanzitutto uno sciopero riuscitissimo in tutte le fabbriche (e in buona parte del Pubblico Impiego) con percentuali di adesione altissime anche alla Fiat Mirafiori. Nei cortei e in piazza, inoltre, si dà una forte presenza organizzata della classe operaia dietro gli striscioni di fabbrica, con una grossa determinazione a farsi sentire. E' questa determinazione unitamente alla rabbia e all'esasperazione a sfociare nella contestazione di massa che investe Cofferati e tutto il palco presto in ritirata, senza che a nulla giovi l'appello a guardarsi dai "provocatori", che anzi rinsalda la piazza rinvigorendone la protesta. Una contestazione radicale e generale che ha le sue radici nella volontà di porre uno sbarramento alla politica sindacale delle compatibilità che impedisce di lottare a fondo non contro una manovra semplicemente "iniqua e sbagliata" e quindi, al più, da correggere- ma contro un attacco diretto e profondo al salario, all'occupazione, alle postazioni sindacali e politiche del proletariato. I sacrifici richiesti non vengono accettati non solo perchè a pagare sono sempre gli stessi, ma perchè semplicemente insostenibili. Per questo la base vuole la sconfitta della manovra e del governo attraverso una vera lotta, unitaria e compatta; niente lo prova di più del fatto che i lavoratori restano al loro posto anche dopo l'abbandono del palco da parte dei funzionari e dopo le stesse cariche della polizia che, come dimostreranno poi i fatti della manifestazione del due ottobre a Roma, vogliono essere un chiaro monito a una classe operaia che finalmente ridiscende in campo.

Gli operai delle fabbriche torinesi, a partire da quelle più grandi (dalla Pirelli alla Michelin, da Mirafiori all'Iveco, alla Pininfarina alla Comau, ecc.), non arrivano a questo passaggio di lotta completamente disorganizzati. Ma c'è anche la comprensione che per portare avanti la mobilitazione in modo efficace è necessario approntare un programma di difesa che vada oltre la linea delle direzioni sindacali. In questo senso si muovono anche gli oltre 250 delegati autoconvocatisi per contribuire a dare continuità e incisività a questo movimento.

Ma per utilizzare al meglio queste energie è necessario dare una battaglia politica nella lotta e a livello di massa contro la politica sindacale di subordinazione degli interessi proletari al capitale. Su questo terreno si gioca la capacità di costruire una direzione politica all'altezza dello scontro. La prima manifestazione organizzata dagli "autoconvocati", che ha visto una buona partecipazione di lavoratori (oltre 3000), ha mostrato che esistono energie per dare questa battaglia - senza scorciatoie organizzativistiche e nella massima unitarietà del movimento.

Un movimento che ha mostrato di essere capace di continuità e forza. Così è successo che alla decisione del governo di porre la fiducia sulla legge delega, le fabbriche si sono nuovamente fermate. Scioperi spontanei, blocchi stradali; alle Meccaniche di Mirafiori, dopo anni di difficoltà e di quasi stasi della mobilitazione, sono ricomparsi i cortei interni. Imponenti, con un'altissima partecipazione dei giovani operai, capaci di ricostruire sul campo quell'unità che padroni e vertici sindacali hanno duramente minato. Un'iniezione di fiducia e di entusiasmo quanto mai necessaria!

Lo sciopero dimezzato del 13 con la sua piena riuscita e con una ampia partecipazione al corteo è l'ennesimo segnale della volontà di portare fino in fondo la lotta. La classe non ha alcuna intenzione di abbandonare il campo. Se questo sciopero è il risultato anche di tutte le iniziative di lotta dei giorni precedenti, al contempo rafforza la determinazione ad andare oltre. Ancora una volta, infatti, forte si è levata la richiesta di una vera lotta, generale e unitaria, contro l'insieme dell'offensiva borghese. Fortissime è la volontà di fare lo sciopero generale nazionale di otto ore per tutti i lavoratori. E' un'immagine di vera forza quella che esce da queste manifestazioni. E' la dimostrazione visiva delle potenzialità del movimento di classe e di come il proletariato nella lotta può modificare a proprio favore i rapporti di forza... se nella mobilitazione sarà in grado di mantenere la massima unità, superando la politica sindacale e separando i suoi interessi da quelli dell'economia nazionale.