L'accordo del 31 Luglio scorso ed i vari provvedimenti del governo Amato si sono inseriti in una congiuntura difficile per la classe operaia napoletana. Se il lento, ma costante, disimpegno delle Partecipazioni Statali era ormai una tendenza già affermata da qualche anno, il varo della nuova normativa sulla Cassa Integrazione -la Legge 223- e l'affacciarsi della crisi di alcuni comparti (aerospaziale, elettromeccanico, cantieristica) hanno prodotto una potente accelerata dei processi di ristrutturazione e ridimensionamento dell'apparato produttivo.
Ma andiamo con ordine.
All'Alfa-Lancia si susseguono, come da sapiente manuale di strategia Fiat, settimane di cassa integrazione con reparti dove l'azienda impone straordinari e sabati lavorativi; all'Alenia dopo i due accordi sottoscritti dalle segreterie nazionali, in barba al voto contrario degli organismi territoriali e nonostante dure lotte condotte dai lavoratori dei diversi stabilimenti campani, si accavallano voci che prefigurano nuovi tagli all'occupazione; all'Indesit di Teverola la prossima scadenza definitiva del periodo di cassa integrazione per i 2500 addetti ha rimesso in moto le iniziative di lotta, in sintonia con lo stabilimento Torinese; alla Sebn i lavoratori scendono periodicamente in piazza contro le decisioni della Fincantieri di cedere completamente ai privati, sia gli impianti che la gestione degli "esuberi"; nelle fabbriche dell'area stabiese (Cantieri Navali e Mcn), si susseguono scioperi e manifestazioni per il rispetto degli impegni ed il rientro dei cassintegrati.
Questo il quadro sintetico di quel che accade nei poli operai più significativi in questo scorcio autunnale, anche se lotte e scioperi si sono verificati in quasi tutte le realtà colpite dalla crisi (Itc di S. Giorgio a Cremano, con una dura contestazione alla sede Fiom e relativa devastazione dei locali, alla Pirelli-cavi di Pozzuoli con blocchi ferroviari, alla Icm ed Iritecnica di San Giovanni, alla Fmi-Mecfond di Gianturco, alla Fag-cuscinetti di Somma Vesuviana).
Senza contare la interminabile vicenda della siderurgia. A due anni dagli accordi sottoscritti in cui si prevedevano progetti di reindustrializzazione e "produzioni più competitive e diversificate" (Contenitore di Imprese Cisi, Progetto Utopia) per ricollocare gli esuberi di Bagnoli e dell'indotto, i lavoratori stanno verificando "l'utopia" di quelle promesse. Anzi Abete si permette candidamente di dichiarare che gli accordi stipulati due anni fa furono stipulati per calmare la piazza e che oggi, simili impegni non hanno nessuna validità economica di mercato. In questo clima i lavoratori della ex Italsider sono tornati in piazza con la loro consueta determinazione e combattività, anche se ancora con forti illusioni sulla possibilità di tenere in vita un accordo irrealizzabile e, con una sfiducia di fondo nei dirigenti napoletani di Fiom, Fim e Uilm, che sono gli stessi che negli ultimi dieci anni hanno avallato tutte le tappe dell'attacco padronale contro la classe operaia di Bagnoli.
A Napoli, come da altre parti, i padroni stanno facendo un uso terroristico della Legge 223, specie nel settore della piccola e media impresa (vetro, pelli, alimentare, tessile, distribuzione). C'è un ricorso impressionante a tale normativa con il rigonfiamento abnorme degli iscritti alle Liste di Mobilità (oltre 7000 unità a fine agosto 92). Naturalmente non essendoci capacità di assorbimento in altri comparti produttivi e con l'avvicinarsi delle prime scadenze dei periodi di cassa integrazione, è nato un Coordinamento di Lotta degli iscritti alle Liste di Mobilità, promosso da delegati Cgil, Cisl e Uil. Vi sono stati già svariati cortei ed azioni di lotta, anche se si nota una certa tendenza a sentirsi "soggetto a parte" dall'insieme della classe operaia, senza ancora trovare percorsi e obiettivi unitari di lotta.
L'accordo del 31 Luglio ed i provvedimenti del governo sono caduti come un macigno su questa situazione ridando fiato alla volontà di contrastare globalmente l'attacco padronale e governativo, ma anche al manifestarsi della sfiducia, oramai profondamente radicata, verso i vertici sindacali.
All'Alfa, numerose assemblee hanno bocciato l'intesa che cancella scala mobile e contrattazione richiedendo lo sciopero generale, ma sono stati i lavoratori della Sevel (gruppo Fiat) di Pomigliano ad essere i protagonisti di una giornata di lotta che esprimeva il senso comune della classe. All'indomani della stangata di Amato, hanno immediatamente scioperato ed in corteo hanno raggiunto una sala di Pomigliano dove era in corso un dibattito tra sindacalisti locali, il pidiessino Bassolino e "l'emergente" Cofferati; in particolare su quest'ultimo e su alcuni esponenti socialisti si è abbattuta la collera operaia, e , solo dopo un'interminabile opera di mediazione di Bassolino, che ha dovuto sfoderare tutto l'armamentario operaista di cui è capace ed impegnarsi a sostenere la necessità di uno sciopero generale, autorganizzato qualora le confederazioni non lo indicessero, l'ira operaia cominciava a placarsi. Non senza ottenere dall'assemblea l'approvazione di una mozione che impegnava le istanze locali alla proclamazione di uno sciopero regionale, tanto per cominciare.
Che questo fosse il senso comune presente nella massa dei lavoratori lo ha dimostrato la massiccia partecipazione di tutte le categorie allo sciopero regionale che hanno caratterizzato la manifestazione con richieste di sciopero generale, per il ritiro dei provvedimenti governativi e dimissioni del governo, senza dimenticare l'accordo del 31 Luglio e le "responsabilità" sindacali. Nonostante le avverse condizioni atmosferiche ed una "stretta collaborazione" tra polizia e servizio d'ordine sindacale, tutto il corteo esprimeva una critica al comportamento sindacale ed una opposizione alle misure del governo non riconducibile alla logica "emendativa" o "migliorativa" dei provvedimenti.
E se Morese ha potuto concludere quasi indisturbato il proprio comizio ciò è dovuto sia al fatto che il comizio è iniziato prima che il corteo si muovesse ma anche ad un nubifragio che rendeva materialmente impossibile la presenza dei lavoratori in piazza. Questo ha scosso notevolmente la fiducia di molti proletari sulla collocazione di classe di San Gennaro.
Il problema che ora si pone è come dare continuità alle lotte e soprattutto collegamento reale alle "fiammate", e alla conflittualità presente su tutti i luoghi di lavoro. Compito che né Rifondazione Comunista né Essere Sindacato intendono assumersi sino in fondo, indipendentemente dalle buone intenzioni di singoli militanti, per la profonda inconseguenza politica di queste forze e per la radicata vocazione a rivolgersi quasi esclusivamente alla "sinistra" intesa come ceto politico istituzionale. Sul piano locale ciò è testimoniato dalla sterile caparbietà con cui, sia R.C. che Essere sindacato, si ostinano in una battaglia tutta interna alle pastoie sindacali e burocratiche. In molti posti di lavoro i militanti di queste forze agiscono senza un preciso piano d'intervento e di coordinamento in quanto completamente immersi dentro una logica aziendalista, senza porsi il problema del necessario collegamento unitario delle lotte.
Questo limite aziendalistico va assolutamente superato! Gli attacchi cui saranno sottoposti gli operai nelle singole fabbriche nel prossimo futuro, vanno visti dall'insieme dei lavoratori come attacchi a tutto intero il nostro esercito di classe e contrastati unitariamente in quanto tali. Questa la strada da intraprendere, questo uno dei compiti che ci consegna questa tornata di mobilitazioni, verso una prospettiva politica unitaria dell'intera classe operaia.