DAL MOVIMENTO PROLETARIO DELL'IRAQ
ALLA CLASSE OPERAIA DELLA METROPOLI

 

UN APPELLO AL MOVIMENTO OPERAIO OCCIDENTALE
CONTRO LE SANZIONI DELL'ONU

Ai sindacati ed alle organizzazioni del lavoro!
Ai dirigenti ed agli attivisti del movimento operaio!
Ai giornali ed ai gruppi operai!
Ai comitati di solidarietà dei lavoratori in Nord America ed in Europa!

Il blocco economico posto all'Iraq è una politica inumana degli imperialisti, che è parte dell'attacco che il capitalismo ha lanciato contro il proletariato internazionale in nome del Nuovo Ordine Mondiale. Questo boicottaggio economico, avendo sospinto i lavoratori nostri compagni in Iraq e in Kurdistan sull'orlo della morte e della rovina, ha fornito un buon pretesto tanto ai vecchi quanto ai nuovi governanti borghesi -il governo iracheno ed il Fronte del Kurdistan- per continuare a perseguire i propri interessi contro noi proletari e contro le masse lavoratrici.

Compagni!
Noi crediamo non soltanto che il vostro sostegno militante e la vostra solidarietà saranno in grado di assicurare che questa politica sia, a nostro beneficio, spazzata via; ma anche che lo schieramento mondiale unito ed organizzato delle nostre forze potrà spezzare il sistema capitalistico ed edificare sulle sue rovine il socialismo. E' per questo che vi chiamiamo alla solidarietà ed all'unità nella lotta.

Viva il movimento di lotta della classe operaia internazionale contro il boicottaggio economico ed il furioso attacco anti-proletario del capitalismo mondiale!

(Appello pubblicato nella primavera scorsa su Serenji Kerikar, un "giornale operaio" del Kurdistan iracheno, riprodotto sul n. 26 di "Worker Today", del giugno 1992)

 

Quella banda di servi dell'imperialismo che va sotto il nome di ONU sta portando sempre più in profondità l'aggressione alle masse sfruttate irachene. Non paga di avere isolato l'Iraq dal mondo, di avergli scippato un'enorme riserva di petrolio con una banditesca revisione dei confini, e di avere legittimato i piani statunitensi di spartizione del paese; non satolla del sangue delle decine e decine di migliaia di iracheni già assassinati dall'embargo; questa accolta di gangster con valigia diplomatica è arrivata al punto di deliberare la confisca di quei beni iracheni all'estero che, per sua "umanitaria" concessione, erano finora serviti all'acquisto di viveri e medicinali.

C'è bisogno di spiegare quale inferno sia e vieppiù diventerà la vita per le masse lavoratrici povere dell'Iraq? La stessa "Unità", non l'ultima tra i sostenitori dell'embargo, deve ora ammettere, salvo a non batter ciglio, che a "far le spese dello strangolamento dell'economia irachena è la popolazione civile", ridotta ormai alla fame. Perfino alcuni tra i più compromessi regimi arabi si sentono obbligati a dissociarsi, almeno in pubblico, da questi crimini.

Ci sarebbe davvero di che meditare per quanti si sono ostinati a considerare la guerra del Golfo solo ed esclusivamente un conflitto inter-borghese, non vedendo che l'autentico scopo dell'attacco imperialista, in guerra come in "pace", era ed è quello di ricondurre all'ordine le grandi masse sfruttate arabe ed islamiche in permanente ebollizione. Ma tutto tace in Occidente in fatto di denunzia e di iniziativa di classe contro questa ennesima infamia dell'imperialismo, in fatto di solidarietà di classe al proletariato, ai diseredati iracheni e curdi (di tutte le zone del Kurdistan) ed islamici.

Non ci pare superfluo, quindi, tornare ancora una volta su questo tema, portando a conoscenza dei nostri lettori un appello dall'Iraq alla mobilitazione contro l'embargo, che è diretto esplicitamente al proletariato dell'Occidente e che rappresenta l'ennesimo invito a scuotersi dal torpore dell'indifferentismo. Non conosciamo di prima mano il giornale curdo-iracheno (Serenji Kerikar) dal quale è tratto. L'indirizzo politico (una sorta di laburismo "di sinistra") dell'organo che lo ha pubblicato in lingua inglese, "Worker Today", è ben altro dal nostro. E tuttavia ci sentiamo di affermare che, indipendentemente dalle mani che lo hanno steso e dal loro destino, questo appello esprime una precisa istanza di classe soprattutto per il fatto di avere a suo chiarissimo destinatario il proletariato della metropoli. E' questa, a nostro avviso, la cosa più importante -e questo a prescindere dalla fiducia nelle attuali dirigenze del movimento sindacale metropolitano. Lo è a maggior ragione se, come è possibile, esso proviene da un'area politica non emancipata dal maoismo, che coltiva l'illusione di poter portare avanti la rivoluzione "socialista" paese per paese, facendo affidamento su soggetti sociali diversi dalla classe operaia del "centro" ed in un collegamento con la prospettiva della rivoluzione proletaria mondiale che è, nel migliore dei casi, soltanto "ideale".

Gli scontri drammatici che il movimento insurrezionale arabo-islamico ha dovuto sopportare con i locali regimi borghesi e con l'imperialismo, lo stanno costringendo a prendere embrionalmente coscienza, non soltanto di quanto sia vitale la propria unità e la propria emancipazione dal nazionalismo borghese, ma di quanto sia decisiva, per gli esiti della sua lotta al capitalismo ed all'imperialismo, la costituzione di un fronte unitario con il proletariato occidentale, di come -per dirla con le stesse parole dell'appello- "soltanto lo schieramento mondiale unito ed organizzato delle nostre forze, potrà spezzare il sistema capitalistico ed edificare sulle sue rovine il socialismo".

Questa medesima embrionale consapevolezza affiora anche negli altri due testi che pubblichiamo.

In essi si traccia un bilancio della sollevazione nel Kurdistan dell'Iraq seguita alla resa del regime baathista. Nel marzo 1991, vi fu nel Kurdistan iracheno una sollevazione popolare contro il regime di Saddam (su di essa, vedi il n. 21 di "Che fare") nel corso della quale si formarono, soprattutto nelle città di Sulaimanyia e di Hawlir, degli shoraz, dei consigli di lavoratori, sia curdi che arabi, sull'esempio dell'insurrezione iraniana del 1979. Si trattò di un movimento effimero (durato soltanto dal 7 al 2O marzo) e abbastanza confuso sul piano politico. All'interno di esso, tuttavia, una tendenza proletaria ebbe la forza di lanciare parole d'ordine quali "tutto il potere agli shoraz", "armamento popolare per garantire l'autorità degli shoraz", "governo dei consigli e non democrazia parlamentare", "autodeterminazione della nazione curda", "libertà politica incondizionata" per i lavoratori, "eguaglianza di diritti tra uomini e donne" e "nessun impedimento alla partecipazione delle donne alla lotta rivoluzionaria", etc.

Prima ancora che dalla repressione baathista, questo movimento fu disperso dalle organizzazioni del Fronte del Kurdistan, il Puk (membro osservatore della Seconda Internazionale e partner subalterno, insieme al Pdk, delle iniziative imperialiste nella regione) in prima fila, che lo accusò di dividere la nazione curda e di voler propagandare il comunismo. Ma fu sconfitto innanzitutto dall'isolamento internazionale, nonché dalla propria stessa debolezza, ossia dal non avere saputo tracciare una netta demarcazione di classe dalla direzione "nazionalista" feudal-borghese curda.

Ora, in sede di bilancio, questa debolezza non viene nascosta. Anzi da parte di una componente del movimento dei consigli si arriva fino al punto, davvero cruciale, di rimettere in discussione la propria stessa comprensione della guerra del Golfo. Non abbiamo capito per tempo -si dice nel testo ripreso da "Proletariat"- che si trattava di "una guerra dell'imperialismo mondiale contro il proletariato mondiale", e di conseguenza non abbiamo saputo orientare la nostra lotta come una sezione del proletariato internazionale. Il nostro fianco è rimasto perciò sguarnito sia nei confronti dell'opposizione borghese e nazionalista al regime, di cui non abbiamo messo a sufficienza in luce la natura sociale anti-proletaria ed il legame con l'imperialismo; sia -addirittura, come ammette H. Aso nella sua intervista- nei confronti dello stesso imperialismo, che non è stato mai identificato come nemico da combattere direttamente.

Preziosa riflessione, questa, quale che sia poi la consequenzialità nei fatti: nei paesi dominati dall'imperialismo non può esserci nessuna vera lotta alle borghesie locali ed ai loro regimi che non sia al contempo lotta all'imperialismo.

Non ci sfugge il carattere un po' astratto del primo testo, che può far supporre, da lontano, il rischio di una linea di fuga per la tangente di tipo "principista" rispetto alla necessità ed alla difficoltà di compiere un bilancio materialistico, puntuale, "concreto", degli avvenimenti, delle classi, delle forze in campo, dei compiti di battaglia dell'organizzazione comunista nelle condizioni date. Non diamo poi affatto per scontato che il richiamo ad una non troppo definita "alternativa socialista" corrisponda di già ad un saldo collegamento al programma comunista ed alla tradizione marxista. Anzi, siamo convinti che così non è, e non potrebbe essere diversamente.

Nondimeno, quello che ci sembra -lo ripetiamo- particolarmente importante è che, nel vivo dell'incandescente scontro di classe del Medio Oriente, inizi ad emergere come tutti i problemi degli sfruttati di quell'area e del mondo possano trovare la loro soluzione soltanto attraverso la instaurazione di un rapporto di unità strategica con il proletariato occidentale.

Nelle aree dominate dall'imperialismo, dall'America latina all'Africa araba e nera, dall'Islam all'estremo Oriente, non c'è ormai angolo in cui il movimento proletario non stia facendo, in mezzo ad indicibili dolori e traversie, le sue prime prove di lotta e di organizzazione indipendente. La sua debolezza numerica ed organizzativa, l'immersione in un ambiente sociale spesso in larga misura pre-capitalistico, l'insufficiente preparazione politica dovuta anche alla mancanza o alla fragilità delle tradizioni rivoluzionarie, il fossato che ancora separa le lotte degli sfruttati della "periferia" da quelle della classe operaia metropolitana: tutto questo lo costringe ad avanzare come sulle sabbie mobili. Eppure esso continua a battersi indomito per avanzare e si rende capace di vibranti appelli al proletariato d'Occidente quali quelli qui riportati.

La ripresa della lotta proletaria nel centro del sistema imperialista, la contestuale ripresa di una tendenza marxista integrale -i due fattori in ultima analisi decisivi, che dal magnifico moto insurrezionale degli sfruttati della "periferia" stanno ricevendo un grande impulso-, debbono sapergli assicurare quell'aiuto, quella direzione e quello sbocco rivoluzionario proletario che esso già oggi reclama. Un compito, questo, che per noi internazionalisti è già ineludibilmente del presente!

PER UN BILANCIO DEL MOVIMENTO DI LOTTA DEL MARZO 1991

"Per noi, la questione non è quella di negare la nostra lotta contro la guerra del Golfo e l'offensiva americana, ma di domandarci: questa lotta è stata l'asse centrale della nostra pratica e dei nostri orientamenti politici? e l'interesse internazionalista del proletariato è stato realmente l'asse centrale del nostro movimento oppure no? (...)

"In realtà, ci è mancata una prospettiva internazionalista comunista nella comprensione delle cause e degli scopi di questa guerra in quanto guerra dell'imperialismo mondiale, ed in conseguenza di ciò noi non abbiamo orientato la nostra lotta come una forza del proletariato internazionalista...Nel migliore dei casi, noi abbiamo sviluppato un'azione ed una critica radicali piuttosto che un'azione ed una critica internazionaliste, e questo fatto ha avuto come conseguenza che non abbiamo avuto un'attitudine ed una politica che fossero il diretto prodotto degli interessi e delle prospettive del proletariato internazionalista." (...)

"Il non aver avuto una politica ed una critica pratica internazionaliste comuniste nella valutazione e nell'analisi della guerra del Golfo come una guerra imperialista mondiale contro il proletariato mondiale, mette in evidenza la mancanza, da parte nostra, di una critica della pratica, della politica e della strategia della borghesia di opposizione davanti agli avvenimenti sociali e politici dell'Iraq. (...) Noi non siamo stati in grado di mostrare i legami tra queste opposizioni borghesi (nazionisti curdi, arabi, sciiti...) e le forze dell'imperialismo mondiale, e questo sopratutto nella pratica...(...) Nella nostra critica all'opposizione borghese in generale ed al nazionalismo curdo e sciita in particolare, noi abbiamo perso di vista i legami di tutte queste frazioni tra di loro. Noi non siamo riusciti a mostrare l'unità di interessi e la coordinazione delle loro azioni contro il comunismo e contro il proletariato mondiale. Il non aver potuto chiarire il posto della borghesia d'opposizione all'interno della strategia dell'imperialismo mondiale ha lasciato il campo libero alla borghesia per imporre la propria influenza in un ampio spazio sociale all'interno del proletariato insorto."

(da Proletariat, n. 7 del settembre 1991, rivista dell'organizzazione Prospettiva comunista, ripreso da "Communisme", n. 36 del giugno 1992)


"La debolezza di questo movimento (il movimento degli shoraz -n.) e dei suoi attivisti è stata la mancanza di qualsiasi critica nei confronti della borghesia americana e dei suoi alleati, che hanno iniziato una guerra brutale per il perseguimento dei propri interessi. Nessuno mise all'ordine del giorno il compito di bruciare i ritratti dello 'zio Bush' in modo da mostrare a tutto il mondo che i lavoratori nel Kurdistan sono fautori di una politica diversa ( da quella di Bush -n.) e non difendono le sue azioni criminali. Da questo punto di vista, al movimento degli shoraz è mancata una politica socialista, una politica che lo mettesse in grado di agire come una sezione del proletariato mondiale contro lo schieramento della borghesia mondiale. (...) Durante la guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq, e poi durante la guerra civile, il messaggio del nazionalismo curdo è stato uno soltanto: "indebolire il regime iracheno". La sua propaganda contro ogni movimento indipendente della massa dei lavoratori era incentrata sul fatto che un tale movimento avrebbe spaccato la nazione curda davanti al regime. Questa propaganda è risultata efficace. La paura del selvaggio regime baathista ed il dominio delle idee nazionaliste sulle menti delle masse lavoratrici indebolì il movimento degli shoraz. L'assenza di una prospettiva socialista, di una alternativa socialista, fece sì che il movimento degli shoraz fosse messo ai margini."

(da una intervista a H. Aso, attivista del movimento operaio iracheno, pubblicata sul n. 24 di "Worker Today", dell'aprile 1992)