"EX"-JUGOSLAVIA: UN MARTIRIO SENZA FINE
Mentre in tutte le repubbliche nate dalla disintegrazione della Jugoslavia (comprese quelle dove non si spara o non s'è mai sparato un solo colpo di fucile) le condizioni economiche e politiche del proletariato e delle piu' ampie masse sfruttate si vanno progressivamente deteriorando, sui fronti della Bosnia-Erzegovina, accesi dall'imperialismo occidentale, si continua a morire nel nome di opposte cause di "liberazione nazionale". Sangue di diseredati per concimare l'orto delle borghesie nazionaliste micro-nazionali ed il campo sterminato degli interessi capitalistico-imperialistici dell'Occidente! E' una rotta che solo il proletariato dell'intiera Jugoslavia e di qui può invertire.
Nel numero precedente abbiamo messo in luce come la guerra in Bosnia-Erzegovina che qui si vorrebbe da pressoché tutti imputare ad un'ennesima dimostrazione di congenita barbarie balcanica (Serbia in primis, ovviamente), altro non sia che il risultato ineluttabile del lavorìo dell'imperialismo occidentale, che l'ha accuratamente preparata e provocata per proiettare i suoi artigli sull'intera regione sottomettendo i proletari delle varie nazionalità jugoslave al dominio dei propri mandatari borghesi locali, portandoli ad affrontarsi su fronti contrapposti e, per questa via, indebolendo l'insieme del proletariato internazionale.
In gioco, evidentemente, non è alcuna causa balcanica di "liberazione nazionale" tardo-risorgimentale, ma l'espandersi della sfera d'influenza economica, politica e militare dell'imperialismo, con un attacco a fondo al proletariato di là e di qui, come si conviene ad una fase in cui tutti i nodi del sistema cominciano a venire al pettine e si tratta di lavorare nelle metropoli ad un ulteriore irregimentamento del proletariato in una rinnovata "union sacrée" imperialista.
Ritorneremo ampiamente in altra sede per rispondere alle argomentazioni (non molto intelligenti, ma, in compenso, perfettamente funzionali alla campagna di avvelenamento imperialista sulla necessità di un "nostro intervento umanitario" nell'area, sotto insegna ONU o meno) di quanti ci contestano l'"enfasi" sul ruolo "dall'esterno" per quanto accade nella ex-Jugoslavia ed affermano trattarsi "principalmente" di un fenomeno di disgregazione burocratico-tribale endogena dopo la quale le potenze occidentali sarebbero, obtorto collo, entrate in gioco.
Ci limitiamo a lasciar parlare qui qualche semplice fatto. Uno: verso la Bosnia transitano tranquillamente armi (messe a disposizione da fonti non misteriose) ed eserciti "esterni" veri e propri (come nel caso della Croazia), tanto che un Tudjman può tranquillamente sottoscrivere con Izetbegovic trattati militari anti-Serbia da stato a stato, e tutto ciò secondo una ben precisa logica che implica ulteriori incendi nell'area. E davvero le potenze imperialiste non c'entrano od intervengono (ex post) per "normalizzare" l'area, così da non aver da trattare con una dozzina o più di "baronie" locali i loro interessi? Due: nessuno tace più la presenza di istruttori occidentali sulle linee di scontro con la Serbia. Ebbene? Tre: tanto si è insistito per arrivare al "referendum", e cioè all'inevitabile incendio, bosniaco ed a riconoscere con insolita tempestività la "legittimità" del nuovo stato "democratico" quanto si tergiversa sulla questione della Macedonia, andatasene in tutta tranquillità dalla Federativa e tuttora non attraversata (per quanto ancora?) da conflitti armati. Perchè? Quattro: sanno qualcosa i nostri critici degli sforzi attivi occidentali per sollevare la questione ungherese della Vojvodina e degli albanesi (non solo nel Kosovo, stavolta)? Cinque: dicono niente le grandi manovre all'ombra di Panic per destabilizzare il quadro politico in Serbia? Sei: e dov'è l'intervento occidentale per il rispetto dei diritti "democratici" e nazionali in Croazia (sulla cui violazione, beninteso, si possono chiudere gli occhi)? E si potrebbe continuare all'infinito.
Davvero tutto questo è "posteriore" e "conseguente" a fenomeni di natura esclusivamente o prettamente locale? E davvero avrebbe per posta il ristabilimento di una qualche forma di normalizzazione dell'area sulla cui base poter meglio, "eventualmente", fare poi i propri affari?
Possiamo intuire un certo tipo di risposta: una volta accesisi i conflitti "locali", è naturale che i vari imperialismi ci mettano mano e si scontrino tra di loro; il che non toglie che prima se ne stessero fuori.
Ma si può onestamente credere, anche senza essere marxisti, che gli attuali attriti tra pesci imperialisti piccoli e grandi nei Balcani abbiano dovuto aspettare la deflagrazione "interna" per manifestarsi? Basterebbe dare una scorsa a tutta la politica della Germania degli anni scorsi per trarre diretta conferma del contrario, ed anche il caso-Italia, per quanto miserabile sul piano del decisionismo imperialista e relativa assunzione di responsabilità, potrebbe insegnare qualcosa. E la Turchia è stata risvegliata solo ora all'interventismo nei Balcani? O non hanno niente a che fare, con quello che ora sta accadendo, gli avvenimenti d'Albania precedenti all'implosione jugoslava? Ed anche qui si potrebbe andare avanti con varie altre domandine. Ci limitiamo ad un'ultima, per ora, più indietro ancora nella storia: se è vero, com'è vero, che la disgregazione jugoslava ha preso le mosse quanto meno (per limitarci ad una data di "svolta") dalle riforme del '74 (noi andiamo più lontano ancora, com'è ben noto!), queste stesse riforme possono esser lette solo o "principalmente" come l'espressione di un'autodegenerazione della burocrazia titoista o non hanno, invece, qualcosa a che fare con i meccanismi del mercato imperialista internazionale e con l'esercizio, in ragione di essi, di precise politiche da parte dell'imperialismo stesso negli "affari interni" jugoslavi?
La nostra solida chiave di lettura marxista ci ha permesso non a caso di leggere il presente della disgregazione e della guerra jugoslava da quel dì. Ed oggi delle facce cornee, che in passato magari si consumavano le mani in applausi all'"originale esperienza jugoslava", vengono a dirci che si tratta di "fenomeni endogeni" rispetto ai quali (e soprattutto rispetto al proletariato coinvoltovi) prendere le distanze, nel mentre che le stesse distanze non si prendono di fronte al nemico in casa nostra, assolto da ogni colpa precedente e, al massimo, da "consigliare" perchè il "nostro intervento" nei Balcani risulti veramente ed esclusivamente umanitario e pacificatore! L'impudenza davvero non ha limiti.
Ma ritorniamo allo scenario di guerra.
Chi ci segue ammetterà che le grandi manovre imperialiste nei Balcani non datano da oggi, non sono state provocate dal macello in atto, ma ne stanno precisamente alla fonte. Orbene, detto questo non ne consegue affatto che l'intervento imperialista sia "unitario". Come prima l'ingresso del controllo e del dominio imperialista era solidale sì nell'aggressione all'area, ma tutt'altro che solidale ed unitario quanto alla prospettiva di dividersene le spoglie, così e più ora esso significa scontro tra opposti appetiti. La rapacità dell'una potenza direttamente alimenta (questione di vita o di morte!) quella dell'altra concorrente, non fosse che per ragioni "difensive" (come bene spiegava Mussolini quando giustificava la caccia di un "posto al sole" coloniale quale necessità di porre un argine alla strapotenza del colonialismo inglese).
L'invasione dal nord ha così richiamato la controspinta dal sud. In primo luogo c'è da rilevare la ritrovata aggressività espansionistica turca (che a sua volta crea ulteriori occasioni di conflitto nell'area, se solo si pensi alla Grecia, all'annessa questione cipriota etc.). Ma la cosa più interessante è che della bandiera islamica di Izetbegovic si sono prontamente aggrappate altre forze, dall'Iran alla Libia.
Così il casino suscitato in Bosnia-Erzegovina avvicina sempre più, anche geograficamente, il conflitto nord-sud, l'urto tra pressione islamica e metropoli imperialiste, con effetti imprevedibili alla distanza (specie qualora si surriscaldasse l'Islam albanese). Per dialettico "paradosso" della storia, l'intrusione reazionaria degli stati borghesi islamici nei Balcani porta con sé il presagio di un ben altro conflitto potenziale, estremamente pericoloso per l'Occidente. In breve: la marcia di avvicinamento su contrapposti fronti di guerra tra i differenti stati borghesi approssima anche, potenzialmente, quella della riunificazione del mondo degli oppressi e di conseguenti esplosioni sociali, a condizione che si ricostituisca preventivamente un'organizzazione di classe in grado di trasformare la guerra borghese in guerra civile di classe trapassando i fronti contrapposti.
Questa potenzialità - noi diciamo - è resa più prossima a misura che l'islamismo degli stati borghesi, fissandosi al potere ed espandendosi, viene in crescente contraddizione con l'islamismo delle masse sfruttate (ciò che, come da previsione, stiamo toccando con mano in Iran e Iraq). Una Bosnia od un "Grande Albania" islamiche sconterebbero ancor prima questo passaggio obbligato. Resterebbe, allora, insopprimibile e vitale, la necessità anti-imperialista ed anti-borghese di classe che si cela oggi sotto il manto islamico, a doversi scontrare direttamente e fino in fondo con la forza concentrata dell'Occidente imperialista. E chi, se non il proletariato jugoslavo ed internazionale potrebbe offrire a questa forza storica la possibilità di esprimersi vittoriosamente?
Questo incubo, non a caso, sta turbando i sonni dell'Occidente, che comincia a rendersi conto di dover pararne a tempo il colpo frenando un processo da esso stesso messo in moto, ma che potrebbe uscir fuori di controllo.
Nonostante tutta la costanza nell'infierire contro la Serbia (tentando in primo luogo di destabilizzare il quadro del potere attuale in loco, più che pensare ad un'azione di intervento diretto - data anche la scarsa propensione dei lavoratori delle metropoli, stretti per loro conto dalla crisi, a farsi coinvolgere attivamente in operazioni "extraterritoriali" di guerra -), la "sistemazione" del caso bosniaco sta, infatti, imboccando strade più tortuose e prudenti. E lo stesso Izetbegovic, tra i più oltranzisti nell'appiccare il fuoco in Bosnia, e nel reclamare soluzioni di tipo kuweitiano contro la Serbia, pare ora indotto ad accontentarsi, tanto dai fatti quanto dai propri preoccupati padrini d'Occidente, di una "sovranità" e di una "unità" della Bosnia del tutto formale.
Un'altra complicazione è determinata dagli atteggiamenti croati. Tudjman e i suoi si dimostrano profondamente grati alla Germania, ma, ricalcando le orme dello stesso Pavelic, nella loro megalomania da "poglavnik" assoluti, hanno bisogno di credere e far credere che la Croazia appartiene ai soli croati, tuonando all'occorrenza contro i pericoli...imperialisti.
A farne le spese sono un po' tutti quelli che sin qui gli hanno tenuto bordone. L'Italia in primo luogo, accusata (non del tutto a torto) di manovrare la "minoranza nazionale" istriana in funzione dei propri interessi di potenza. Già Mussolini era stato ripagato di questa moneta da Pavelic ed ora Tudjman ricorda che "con l'Italia imperialista abbiamo già fatto i conti nel corso della seconda guerra mondiale". Tant'è: persino "La Voce del Popolo" comincia a lanciare segnali preoccupati alla...madre patria, evocando lo spettro di un "secondo (e definitivo) esodo". I "sentimenti" filocroati in Italia potrebbero all'uopo affievolirsi vistosamente da un momento all'altro...
Più dura ancora la contestazione verso l'UNPROFOR. Se Paraga addirittura ha parlato al Sabor dell'occupazione di parti del territorio croato "da parte dei cetnici e delle forze dell'ONU", Tudjman, senza arrivare a tanto, ha respinto il disegno ONU-CEE di creare zone-smilitarizzate in Croazia che, di fatto, costituirebbero dei "protettorati" occidentali sottratti alla sovranità statale croata ed ha dichiarato che, alla fine del mandato attuale il 31 marzo prossimo, se l'ONU non avrà assolto al compito di ridare ad esso i territori occupati dai Serbi, non ci sarà motivo di addivenire ad una proroga del mandato stesso. Nè sono diventate più distese le relazioni con la Slovenia, "sorella" antesignana nel processo di secessione, di cui si denuncia ora la ritornante "tentazione neo-coloniale" verso la Croazia e con cui si ritiene aperto perfino un contenzioso territoriale (oltre quello sulle acque costiere).
Ma, sotto la pressione della protesta sociale, che tocca con mano il nesso tra peggioramento delle condizioni di vita e la crescente manomissione tedesca sull'economia croata, non è affatto escluso che lo stesso governo HDZ debba addivenire a qualche forma di contestazione contro l'eccessivo accaparramento delle risorse nazionali a prezzi stracciati da parte del suo più deciso protettore. Sarebbe questo il segnale dell'approssimarsi della fine del regime, per sua natura impotente a dar conseguenza ad una tale contestazione, e del passaggio delle consegne ad un ritrovato movimento di classe. Un altro bell'imbroglio dialettico, non c'è che dire!
Un nodo essenziale che, in tutta questa vicenda, resta da sciogliere è quello serbo. In assenza di un decisivo movimento di classe, il "popolo" serbo si è trovato nelle condizioni di seguire l'onda del nazionalismo, da quello, tutto sommato assai misurato, di Milosevic a quello dei suoi contestatori di destra e di "sinistra" (c'è anche chi accredita Draskovic "alla sinistra" di Milosevic !). Il fatto di essersi trovato oggetto diretto dell'attacco occidentale, sino all'ultima buffonata dell'espulsione della "Nuova Jugoslavia" dall'ONU, ha miscelato sentimenti anti-imperialisti al più stolido nazionalismo, contribuendo ad allargare il fossato oggi esistente tra i vari popoli dell'ex-Jugoslavia.
La tendenza ad una "autodifesa dall'imperialismo" di questo tipo ha contagiato anche forze che sinceramente si esprimono per un programma di fratellanza ed unità sovrannazionale. Di qui certi "frontepopolarismi democratici" serbi accreditati ed impulsati, ad esempio, dalla Lega dei Comunisti-Movimento per la Jugoslavia.
E, invece, la difesa anti-imperialista della "Nuova Jugoslavia" e, tanto più, la ricostituzione di una vera Jugoslavia (che sarà socialista o non sarà) implica la rottura anche e principalmente qui dei fronti interclassisti, una lotta senza quartiere contro tutte le frazioni borghesi che stanno o ambiscono al potere, per rimettere il programma "jugoslavo" sui solidi piedi di un fronte internazionalista di classe. Le premesse di ciò esistono e, a quanto ci è stato dato di constatare, esistono anche sin d'ora delle forze che soggettivamente stanno su quest'onda. Non si tratta che di tirarne le debite conseguenze in tutta coerenza. La politica del "minor male", delle "trincee attuali da difendere" (sempre più...in ritirata) sarebbe una pessima, suicida politica. Osiamo credere che essa troverà, nell'inevitabile decantazione teorico-programmatica ed organizzativa futura, una valida controrisposta.
Il contatto diretto con la realtà jugoslava ci dice che lezioni come quelle della grande manifestazione classista di Sarajevo non sono andate perdute e tornano, anzi, sempre più e sempre più radicalmente di attualità. E' troppo immaginarci che una ripresa del movimento proletario qui possa ricollegarsi alle voci che in tutta la (ex) Jugoslavia si muovono e dare ad esse l'ossigeno di cui hanno bisogno? Noi, comunque, a questo lavoriamo, e poco ci cale di esser circondati da chi questa realtà neppure vede o, se la vede, cerca in ogni modo di esorcizzarla per le buone sorti del Nuovo Disordine Mondiale!