Qualche parola va spesa sul recente "libero" voto in Croazia (il secondo dell'"era post-comunista").
Il risultato che ha attribuito la maggioranza assoluta dei mandati parlamentari all'HDZ ed ha riconfermato Tudjman al comando sembrerebbe non lasciar dubbi sull'adesione plebiscitaria dei croati ad una politica di destra nazionalista estrema (anche se contestata al solito ancora più da destra dal filo-ustascia dichiarato Paraga). Le cose non stanno precisamente in questi termini, la vittoria di Tudjman non è stata un trionfo e, in ogni caso, va data una lettura corretta delle ragioni di essa ed, anche, degli aspetti nuovi che si vanno profilando sulla scena politica croata ad onta di un quadro politico che resta formalmente immutato.
La prima considerazione da fare è quella relativa all'alto tasso di astensionismo (sul 20% circa per le presidenziali, probabilmente ancor di più per le legislative -i dati non sono sicuri, ma "Panorama" di Fiume parla di un quarto di voti mancati). Ora, data la diligente schedatura degli astensionisti, classificati dal regime quali oppositori di fatto, non si stenta a capire il valore di protesta che esso viene ad assumere.
In secondo luogo, vanno tenuti nel debito conto brogli ed intimidazioni, denunciati da più parti ed in taluni casi macroscopicamente evidenti (Paraga si è lamentato che, in certe circoscrizioni, nelle quali tra l'altro i comizi del famigerato Partito del Diritto aveva visto affollatissime le sue manifestazioni pubbliche, i voti attribuitigli sono stati incredibilmente inferiori al numero degli stessi iscritti al partito: figuriamoci quindi quale trattamento sia stato riservato ad altri partiti di opposizione! Inoltre, un po' dappertutto, il voto "segreto" è diventato di fatto pubblico, come ha potuto constatare de visu chiunque abbia colto qualche immagine televisiva delle operazioni di voto).
Questi due fatti ridimensionano in qualche misura, non siamo in grado di dire quale, il risultato complessivo dell'HDZ, che pure non è stato, col suo 42,63% quello che la razzia di seggi dovuta al sistema maggioritario lascerebbe ad intendere.
Ma il fatto decisivo, su cui si deve maggiormente riflettere, è consistito nella sostanziale omologazione dell'opposizione (e parliamo qui solo di quella più o meno alla sinistra di Tudjman) alla demagogia ultra-nazionalista del regime, nell'insano tentativo di catturare voti a destra per una politica, poi, "di sinistra", il tutto senza neppure uno straccio di programma riferito alle tematiche sociali, particolarmente brucianti e sentite dalla massa lavoratrice. Addirittura, il Partito dei cambiamenti democratici (ex-Lega) di Racan si è spinto sino a contestare a Tudjman l'abbandono delle "sacrosante" rivendicazioni territoriali sulle krajne serbe! Nell'illusione di poter contrastare il monopolio del potere dell'HDZ, questa cosiddetta "opposizione" non è stata neppure in grado di intendere -e raccogliere- l'istanza proveniente dalla massa: basta con la fase della "guerra di liberazione patriottica" ad oltranza!, pensiamo alla ricostruzione, ai problemi sociali che sono sul punto di esplodere, con una disoccupazione alle stelle, dei salari il cui potere d'acquisto procede in picchiata, oltrepassando in giù la soglia del minimo vitale (una mesata di salario è sufficiente appena per acquistare pane e latte!). E ciò, per paradosso estremo, proprio mentre l'HDZ, o una sua parte almeno, enfatizzava una "seconda fase", quella della ricostruzione, a cui si deve ora prioritariamente guardare, lasciando intendere che la perdita di un pezzo indifendibile di "Croazia" può benissimo essere compensata, a costi minori, dall'annessione di fatto dell'Erzegovina bosniaca (dove Boban ha già stabilito una sua amministrazione politica, civile e militare, con tanto di moneta croata, facendosi altamente beffe dell'autorità "centrale" di Izetbegovic: passare alla legittimazione "internazionale" di tale annessione non potrebbe darsi senza riconoscere alla fin fine analogo diritto da parte dei serbi sulle terre da essi rivendicate). Ciò non significa, naturalmente, che Tudjman non tenga alte rivendicazioni più ampie, ma, insomma, il concorrere del fattore-compensazione territoriale sul fronte bosniaco con quello di una non più sostenibile situazione di marasma economico-sociale all'interno dei confini croati ufficiali, induce a qualche cautela che va incontro ad un diffuso sentimento di massa, e solo un campione di "cambiamenti democratici" della levatura di Racan può non essersene accorto.
Quindi: l'HDZ ha potuto capitalizzare, assieme al voto delle tradizionali classi reazionarie e degli strati più arretrati della società, persino una quota di voto popolare di attesa data l'assenza di una credibile sponda alternativa, fosse pure sul piano democratico-parlamentare, che pur sappiamo quanto poco sia decisivo, e data la persistente incapacità di organizzarsi in proprio, dal basso, per una tale alternativa, e ne possiamo ben capire il perchè.
Chiaro che a questo popolo il regime di Tudjman può molto promettere e poco o nulla dare in solido. Ma, come avevamo previsto, nell'atmosfera di relativa "normalizzazione" venutasi a creare in Croazia col venir meno della "guerra in permanenza" e della conseguente militarizzazione forzata della vita civile, la protesta proletaria e diciamo pur anche popolare si sta già traducendo in prime forme di opposizione sociale, con manifestazioni di vario tipo e scioperi che gli stessi settori più accorti dell'HDZ (un "movimento" o "cartello" di forze destinate a decantarsi ed anche separarsi in futuro) sentono di non poter indefinitamente fronteggiare con ukase e col pugno di ferro, ebbensì attraverso il varo di una qualche forma di "patto sociale" basato sul libero consenso e, perciò, su determinati meccanismi di contrattazione. Questi settori, a misura che interpretano le urgenze dell'"economia nazionale", si sentono preoccupati per due ordini di fattori, strettamente collegati tra loro: primo, l'emergere alla direzione della vita economica, prima ancora che politica, di elementi "sicuri" in termini di "fede politica" da del tutto inaffidabili quanto ad efficienza manageriale; secondo, l'eccessiva manomissione sull'economia croata da parte dell'"imperialismo estero" (parole di Tudjman, e c'è da credergli!). E siccome persino nel fare e per fare i quisling ci vuole una certa misura, ecco subentrare qui la necessità di un dato contrappeso popolare, non debordante (nei piani almeno!) dai confini fissati dal regime, ma in grado di imprimere al sistema una maggior stabilità ed efficienza.
Quello che è interessante notare, per intendere il futuro che ci attende, è che se l'emergere della protesta di classe è destinata, per forze di cose, a superare gli sbarramenti che ad essa il regime vorrebbe imporre, non potendosi adagiare sull'impotente "populismo" dell'HDZ (visto che, fermo restando il quadro d'insieme, c'è ben poco da mettere nel piatto), essa si trova sin d'ora nella corrispettiva impossibilità di poggiare, foss'anche per un (illusorio) "stadio di passaggio", su un'"opposizione" rivelatasi inesistente. Con che prospettive? Quella certamente di un doloroso calvario aggiuntivo, in fondo al quale, però, tanto più agevole risulterà l'aprirsi della nostra inequivoca e necessaria strada, tanto più se, nella tempesta che sta scuotendo l'Occidente stesso, sapranno sprigionarsi delle scintille di ripresa economica e politica da parte del proletariato metropolitano e se esse si mostreranno in grado di collegarsi internazionalisticamente al "pulcino spaiato di una stessa chioccia" costituito dal proletariato balcanico, e mondiale.
Un'annotazione veloce su quello che è un ulteriore fattore di complicazione sulla scena politica croata.
Nell'Istria e nel fiumano (la zona più "ricca" e più proletaria della Croazia) il partito di Tudjman è stato sonoramente battuto ad opera di forze regionaliste che ostentano i loro titoli di democrazia federalistica nei confronti del centralismo a tinte dittatoriali di Zagabria e già ieri si erano mostrate ad impegnarsi in proprio sul terreno della "lotta di liberazione nazionale" croatista. Nella ritrovata situazione di relativa pace, queste forze esigono ora di potersi liberamente ed autonomamente amministrare a tutela dei propri interessi regionali (non spartibili con le esigenze del centro, che ne comprimerebbe potenziale e profitti: come si vede, l'antica querelle contro il centro "rapinatore" belgradese si riproduce in piccolo, ma con non minore e diversa "logica").
Che dire di questo movimento? Qui in Italia le forze "di sinistra" (Verdi, ex-DP in primis, e PDS capintesta) hanno salutato nella Dieta Democratica Istriana in particolare un "nuovo modello" cui riferirsi: federativismo, autonomie locali e, naturalmente, democrazia a piene mani, ovvero il "modo nuovo" di fare e stare in Europa! Non mancano neppure al coro le benevole attenzioni degli anarchici. Il sistema-Tudjman ha aperto, alla riprova dei fatti, gli occhi anche a costoro, specie nel momento in cui, saremmo tentati di suggerire, è ripresa in grande stile una campagna "croatista" contro l'Italia e gli italiani (tanto che anche i super-zelanti di radio e TV Capodistria , della "Voce del Popolo" e "Panorama" si sono sentiti in dovere di lanciare alte grida di allarme). Viva dunque i regionalisti "democratici"! E questa sirena pare così suadente che persino certa sinistra belgradese, se non andiamo errati, pare disposta a giocare in funzione anti-Tudjman questa carta, in una visione "frontepopolarista" che, "per gradi", potrebbe riavvicinare l'obiettivo della ricostituzione di una "nuova Jugoslavia".
Certo, a considerare superficialmente le cose, "meglio" la DDI che l'HDZ. In Istria e nel fiumano, perlomeno, non si fanno crociate di "purificazione etnica"; croati, mussulmani, italiani, ed anche serbi, "convivono" in pace; le "idee" possono liberamente esprimersi (fin dove la democrazia senza virgolette lo permette, e ci capiamo subito...).
Tutto OK allora? E come si potrebbe non "scegliere" tra due modelli così antitetici?
In materia, la nostra posizione è "leggermente" diversa. L'"istrianismo", nella sua fase costitutiva, si è reso responsabile dello stesso processo di divisione della Jugoslavia e del suo proletariato di cui è responsabile Tudjman. Volevano arrivarci "in pace"? Può darsi. Ma dopo aver seminato la guerra. Non si voleva la guerra? Già, non la si voleva per l'Istria e per gli istriani, ma a patto che sul fronte ci andassero gli altri per la propria bottega, come dimostrano da un lato le solenni dichiarazioni "irredentistiche" da un lato ed il rifiuto in contemporanea di vedersi la "propria terra" invasa da profughi incompatibili con le esigenze... della stagione turistica sulla costa. E che significa "autoamministrarsi", in questa ottica, se non pretendere di usare il differenziale economico di cui si dispone a proprio favore per istituire una sorta di "sviluppo combinato e diseguale" all'interno delle stesse frontiere croate? Dei seguaci autoctoni della DDI non a caso hanno rimarcato una certa rassomiglianza tra i loro programmi e quelli della Lega Nord, mettendo in sordina Proudhon (al quale, per altro, abbiamo visto qui riferirsi un Gipo Farassino quale "antesignano").
Orbene, questa prospettiva non solo è reazionaria per quanto riguarda i problemi della Croazia (istituendo un'ulteriore linea di frattura nazionalistica all'interno del proletariato croato, chiamato a mettersi alla coda di una "sua" propria micro-borghesia istriana o, per contrappasso, consegnato alle istanze "unitarie" dell'HDZ), ma è anche completamente irrealistica, perchè un qualsiasi decentramento amministrativo, se vuole funzionalizzarsi agli interessi del capitalismo, ha bisogno di più centro, più Stato, pena l'asfissia e la sottomissione più dura ad altri centri, altri Stati esterni, ben più forti e rapaci che quelli cui si pretenderebbe di sottrarsi. E' una regola dell'imperialismo questa, tanto più vera e palpabile nella concreta situazione dell'ex-Jugoslavia, e quando l'Istria "democratica" abbozza ad autonomizzarsi da Zagabria (in nome degli stessi principi liberal-borghesi sempre!) non fa altro che offrirsi in svendita ad un'Europa già per conto suo abbondantemente proiettata sulla regione, alla quale sta letteralmente "prelevando di mano" le risorse turistiche ed industriali (ne dicono qualcosa le holding che si stanno pappando l'industria alberghiera e portuale, di cui è poi conseguenza l'esodo delle migliori maestranze locali verso lidi migliori: 40 lavoratori specializzati abbandonano in media ogni mese i cantieri di Scoglio Ulivi!).
Altro problema è: si deve o no reagire all'invadenza in Istria e nel fiumano dell'HDZ, che cerca di imporvi i suoi uomini, i suoi metodi, le sue patenti illibertà? Certo che sì. Ma questo significa, ad un tempo, farlo non a suon di blocchi "popolari" (leggi: borghesi) istro-fiumani, bensì sotto il vessillo di un primo inizio di riunificazione e battaglia proletarie capaci di aggredire il potere tanto a Zagabria che a Fiume o Pola, ricucendo l'opera di divisione inferta al paese ed alla classe, per proiettarsi poi in direzione dell'imperialismo occidentale che sta dietro ad essa e ne profitta.
Il proletariato come e più della borghesia deve essere centralista al massimo se vorrà contare qualcosa, e lo sarà. Contro Tudjman sì, ma affilando, non spuntando, le proprie armi.
Il problema si svelerà nei suoi contorni reali quando masse di lavoratori cominceranno a muoversi insieme, per i propri unitari interessi, in tutta la Croazia. Contro questa minaccia vedremo allora coalizzati assieme centralisti di Zagabria e decentralisti istriani. Le illusioni di una parte del proletariato croato (quella "più favorita" sulla carta) di poter proteggersi "a sè", in compagnia e sotto tutela della "propria" borghesia, dai colpi inferti dalla logica capitalista si dovranno allora scontrare con la dura realtà.
Il compito dei comunisti rivoluzionari, indeffettibilmente inchiodati alla prospettiva di una Jugoslavia unitaria (che sarà proletaria o non sarà, come mai ci stanchiamo di ripetere), sta tutto ed esclusivamente qui, nel riannodare i fili dispersi del proprio esercito di classe.
Senza di che, non v'è neppure un'ultima trincea "democratica" che possa restare in piedi.