In barba a certo disfattismo in voga a "sinistra", che dalla riunificazione, tedesca ha visto e continua a vedere esclusivamente il gigante borghese e dietro di esso il fantasma dell'hitlerismo, un altro gigante muove in Germania i propri passi: il proletariato, che è sceso in campo anche all'Ovest. Questa lotta sarà, è già una leva per la riunificazione del fronte dì classe, entro ed oltre i confini tedeschi.
Le avvisaglie c'erano tutte. A meno di un anno dalla prima scesa in campo del proletariato tedesco-orientale nella Germania riunificata e dopo la mobilitazione dei minatori, minacciati a Ovest come a Est nei livelli occupazionali dai pesanti tagli delle sovvenzioni governative nel settore (estate '91), la preparazione dello sciopero dei siderurgici e gli scioperi attuati nel settore bancario nel febbraio di quest'anno indicavano chiaramente che la classe operaia tedesca - e finalmente anche la sua sezione occidentale, quella finora "privilegiata" - si apprestava a scendere massicciamente in campo, per ingaggiare una lotta dura contro governo e padronato. L'andamento dell'attuale tornata contrattuale a Ovest, apertasi con gli scioperi dei lavoratori del settore pubblico, che iniziano ad estendersi, mentre scriviamo, anche ai metalmeccanici, lo conferma pienamente. Alla luce di ciò, nei confronti di chi ha visto e continua a vedere nella riunificazione della Germania esclusivamente l'aspetto del rafforzamento dell'imperialismo tedesco, ribadiamo la nostra tesi: la riunificazione, con quel che significa in termini di pesante attacco al proletariato tedesco tutto, rappresenta un passaggio fondamentale dell'inasprirsi dello scontro di classe, che impone anche alla sezione occidentale della classe operaia tedesca di scendere in lotta e di affrontare concretamente il problema della propria riunificazione con i compagni di classe dell'ex-Germania orientale.
Lo scontro, dunque, si sposta decisamente a Ovest, senza che peraltro il capitale tedesco abbia potuto normalizzare la situazione a Est, dove il proletariato sta dando segnali che preannunciano la sua non lontana rimessa in moto (il 4 maggio i ferrovieri di Berlino Est sono scesi in sciopero in appoggio ai ferrovieri dell'Ovest). Ed è uno scontro duro, che vede l'intero fronte dei lavoratori sotto il fuoco di un violento attacco da parte del governo Kohl e del padronato, pressati da una situazione economica interna e internazionale che ammette, se pure, margini di mediazione assai esigui (soprattutto se rapportati agli ultimi due anni). Di fronte alle richieste del sindacato del settore pubblico che dall'iniziale incremento del 9,5% dei salari era già sceso al +5,4% proposto dalla commissione arbitrale, il governo ha ribadito la sua proposta di aumenti del 4,8%, escludendo categoricamente che la "situazione economica della nazione" permetta incrementi salariali superiori al 5% (che è il livello oramai raggiunto dall'inflazione). A rincarare la dose, gli imprenditori metalmeccanici offrono per il rinnovo dei contratti di questo settore (con quasi 5 milioni di addetti) non più del 3,3 % di aumenti (di contro alle richieste sindacali di un +9,5%), agitando inoltre la minaccia della serrata in caso di risposte conflittuali dei lavoratori.
La posta in gioco, anche tenuto conto dell'attacco già portato avanti con l'aumento delle tasse e con la compressione della spesa sociale, è dunque di grossa portata: rigido contenimento salariale oltre tutto sotto la minaccia della perdita massiccia di posti di lavoro contro l'esigenza della classe operaia di difendere il proprio salario (e il proprio "potere", la propria organizzazione) dagli assalti finalizzati a scaricare su di essa i costi della riunificazione. Non è un caso che il leit-motiv della propaganda borghese che accompagna questo attacco sia quello dei "sacrifici necessari per risollevare i nostri connazionali a Est".
I lavoratori stanno dimostrando di non volersi piegare a questo ricatto. A partire dal settore pubblico (che comprende anche ferrovie, trasporti, poste, nettezza urbana, ospedali, ecc.), sceso in sciopero in maniera compatta e determinata laddove chiamatovi dal sindacato. Si tratta di scioperi fortemente voluti dalla base (i primi dal '74) in un settore già percorso da un notevole malcontento dei lavoratori, accresciuto dal modo "indolore" con cui sono stati rinnovati i contratti degli ultimi anni, a cui ha dato la stura l'intransigenza del governo. La lotta si estende progressivamente a partire dai centri più importanti, sì da coinvolgere, in teoria, un numero sempre maggiore di lavoratori (più di 200 mila a fine aprile) e di settori.
Diciamo in teoria, perché il sindacato, mentre è costretto a riconoscere che si sta combattendo "per qualcosa dì più di uno zero virgola. Ci opponiamo al diktat salariale dei datori di lavoro pubblici. Non accetteremo che Kohl usi il nostro rinnovo contrattuale come piede di porco per scardinare le successive trattative" - al contempo si rivolge allo stesso Kohl chiedendogli, al fine di poter porre termine agli scioperi, di non comportarsi come "imprenditore numero uno", bensì di adempiere alla sua funzione di garante super partes della "pace sociale".
Stretto fra la spinta non ulteriormente contenibile dei lavoratori da un lato e l'oggettivo restringimento degli spazi di manovra per mediazioni socialdemocratiche dall'altro, il sindacato non può comunque non dare espressione, pur deviata negli obiettivi e contenuta entro i limiti di una più "equa" ripartizione dei sacrifici, alla durezza dello scontro in atto. Una contraddizione, questa, che già sta mettendo in seria difficoltà e in modo più diretto la SPD (che nei Laender in cui è al governo rappresenta l'immediata controparte dei lavoratori), costretta a richiami alla "conciliazione" e al "dialogo" sulla proposta, bocciata dagli imprenditori, della commissione arbitrale. Attestata sulla linea dei "sacrifici per il bene della nazione", purché divisi fra tutti i cittadini, la SPD (e il sindacato) non può non dare ascolto agli inviti di parte padronale a un comportamento più "ragionevole", che lavori ad evitare l'allargamento della lotta prima che essa possa prender piede anche in Germania est, ciò che più di tutto la borghesia tedesca teme.
Alla classe operaia il compito dì presentare nel prosieguo della lotta il conto anche alle "sue" direzioni, facendo in modo che al loro fallimento e tradimento non segua la deriva del movimento, bensì la ripresa del proprio programma di classe.
Per intanto la tregua sociale è finalmente rotta: agli scioperi del settore pubblico già stanno seguendo gli "scioperi di avvertimento" dei metalmeccanici, da sempre il comparto più combattivo e organizzato; e sarà poi l'ora dei tipografici e degli edili. L'ondata di lotte "rischia di estendersi all'intera Germania Ovest", lamenta il giornale della Confindustria tedesca. Essa, al di là degli esiti immediati, è il primo, importantissimo passo -segnale per il proletariato di tutti i paesi- verso la rottura del fronte interno a preparazione delle future battaglie che vedranno ne siamo certi schierati uniti operai dell'ovest, dell'est immigrati contro il comune nemico di classe. E' questa, per chi non l'avesse capito, la riunificazione per la quale ci battiamo e della quale seguiamo con entusiasmo il procedere.