Mentre ci riserviamo di ritornare ampiamente sul prossimo numero, od in altra sede, sugli attuali sconvolgimenti ad Est (in primo luogo nell'ex Unione Sovietica), ci corre l'obbligo di dire alme brevi parole sull'ennesimo, e non ,timo, incendio che sta divampando nell'ex-Jugoslavia.
Sul "Manifesto" del 28 febbraio scorso la "pacifista" fiumana Sura Dumanic suonava un chiaro campanello d'allarme: l'occasione irripetibile di fare della Bosnia-Erzegovina, paese a composizione multi-etnica assai equilibrata sin qui esempio indiscusso di convivenza tra le varie etnie, un avamposto di ricomposizione pacifica dei dissidi nazionali" sfociati nella guerra tra Seria e Croazia, è entrata nel mirino dei giochi di destabilizzazione del capitalismo occidentale. Il referendum sull'indipendenza "richiesto dalla Comunità europea" è stato l'ottimo trampolino di lancio attraverso cui attizzare dall'esterno un conflitto che non aveva ragion d'essere nella realtà bosniaco-erzegoviana.
Concludeva amaramente la Dumanic: "Era, questa, l'unica repubblica della vecchia Jugoslavia ad avere libertà di stampa, di parola, di associazione politica, ad essere priva di polizia segreta. E ad essere per una politica di pace. Tutto questo non è bastato ai padroni europei. L'Europa ha accettato (o qualcosa di più, n.) l'argomento della Forza nei Balcani, con un referendum che potrà diventare l'inizio della escalation bellica."
E cosi è stato.
La Bosnia-Erzegovina, al di là del fatto che a muoversi qui siano contrapposte forze locali, è un campo di battaglia degli interessi occidentali per interposta persona. Mentre una Serbia sempre più isolata dall'Occidente tenta di preservare i propri confini di stato borghese "di tutti i serbi" (sola risposta concepibile in termini borghesi al problema della dissoluzione della vecchia Jugoslavia), i paesi dell'Occidente usano in maniera sempre più massiccia e spregiudicata il proprio avamposto croato, armandolo sino ai denti e gettandolo nella mischia (e, intanto, installandosi da padroni nella libera e indipendente" Croazia) e si apprestano ad appiccare un ulteriore incendio a sud, nell'area di etnia albanese chiamando il Kosovo all'insurrezione (con base operativa nella Tirana or ora liberata dal "comunismo" ed in cui sono, non a caso, di stanza anche nostre truppe militari "a scopo umanitario").
L'opera di destabilizzazione e conquista che viene dal Nord (Germania in primo luogo, ma senza mai dimenticare le neo-ambizioni imperialistiche italiane, di deboli mascelle ma appetiti robusti) ha però messo in moto una spirale inarrestabile di altri e concorrenti interventismi. Da Sud, mentre la Grecia protesta contro l'istituzione di una Macedonia indipendente considerata "destabilizzante" nei suoi confronti, la vicina ed ostile Turchia allarga la propria presenza diplomatica, ideologica e militare cercando di accreditarsi quale punto di riferimento di una "riscossa islamica" del mondo ex"comunista", dalla Bosnia alle regioni sud-occidentali dell'ex-URSS. "Pan-islamismo" in concorrenza (e, potenzialmente in rotta di collisione) con la Grande Albania, Sud contro Nord. Ankara non manca di carte adatte a fare questo suo gioco sub-imperialista (in cui è da vedere qual è il ruolo degli USA, preoccupati dell'espansionismo tedesco): molti dirigenti mussulmani di Sarajevo e del Kosovo si rivolgono già direttamente ad essa invocando appoggi militari, tanto più in quanto stanno fiutando cosa c'è dietro certa "solidarietà" europea. Da Est, poi, si sa che dalla Bulgaria affluiscono sempre più massicci rifornimenti di armi agli albanesi del Kosovo e si stanno accendendo gli animi di quelli della Macedonia (che da sempre Sofia sogna di annettersi). E si potrebbero aggiungere altri protagonisti, a cominciare dall'Ungheria
Insomma: l'ex-Jugoslavia è stata messa a ferro e fuoco ed intorno ad essa si scontrano ora fin troppi pretendenti alle sue spoglie. Tra questi ultimi matura uno scontro che, comunque vadano le sorti immediate della spartizione del paese, è destinato ad accentuarsi e ad esplodere.
Il futuro potrà riservarci interessanti "sorprese". Non è detto, ad esempio, che la Serbia non venga fatta uscire dall'attuale isolamento da qualcuna delle parti in causa oggi ad essa ostile per essere usata come alleata nell'opera di contenimento delle pressioni di opposti concorrenti. Tenendo in buon conto i rischi che certo pan-croatismo, sempre più "ustascia", potrebbe rappresentare per i suoi attuali protettori qualora fosse tentata di rompere il proprio vassallaggio offrendo ad altri i propri servizi da stato-quisling, l'ipotesi non è da scartare. Le crescenti attenzioni USA verso l'ex-Jugoslavia fanno presagire delle importanti novità a venire nello scenario balcanico.
Intanto, però, cresce tra le popolazioni slave del sud l'insofferenza per le tragiche condizioni in cui sono state fatte precipitare dai "propri" capi politici e cresce anche quella coscienza, di cui si è fatta portavoce la Dumanic, che i reggitori delle vicende in corso stanno altrove, fuori dall'ex-Jugoslavia, nelle capitali capitalistiche di Occidente. Da questa miscela, presto o tardi, potrà riesplodere un movimento di classe unitario che, per forza di cose, dovrebbe abbracciare, quanto meno, l'intero campo visuale costituito dalla ex-Jugoslavia. Occorrerà aspettare prima la "pace", o le "paci" provvisorie dettate dall'imperialismo? E' probabile. Ma tanto più le classi sfruttate dovranno prima bersi sino in fondo l'amaro calice della guerra, tanto più salato sarà il conto che esse dovranno presentare ai loro "pacificatori" e padroni.