Il corso dello scontro di classe in Germania

LA CLASSE OPERAIA E' CHIAMATA ALL'AZIONE


Indice


Il forte supplemento di sviluppo assicurato alla Germania (occidentale) dal processo di riunificazione e dal primo tempo dello sfondamento ad Est, pare sul punto di esaurirsi. E subito la morsa del capitale si stringe, anche all'Ovest, sul proletariato.
Mentre iniziano le contorsioni del riformismo preso tra istanze di classe contrapposte, per la classe operaia s'impone di spezzare la tregua sociale e tornare in campo con decisione. Non c'è altro modo per respingere l'attacco che le viene da più lati da un fronte borghese quanto mai aggressivo, e per riprendere il cammino della propria organizzazione indipendente di classe.


L'ondata di proteste sociali che hanno scosso i Laender orientali nel marzo '91 ha costretto la borghesia ad una serie di misure "assistenziali" (prepensionamenti, corsi di riqualificazione, finanziamento di lavori a tempo determinato hanno interessato circa 1 milione di lavoratori) che se da un lato hanno sedato l'esplosione del malcontento liberando le piazze dalle sgradevoli manifestazioni dei proletari, dall'altro vanno inevitabilmente a gravare sul bilancio statale. Parato il colpo, gli uomini del grande capitale lanciano la controffensiva: "Per noi è inaccettabile un deficit che oggi è pari al 4,5 % del PIL (…). Tutti quei sussidi di disoccupazione, quelle spese di assistenza sociale, quei contributi a fondo perduto, non hanno fatto che approfondire la voragine del bilancio pubblico senza ottenere nessun beneficio consistente in termini di crescita" (così H. Schneider, consigliere della Bundesbank a "la Repubblica", 21.11.91).

In questa fase, dunque, la guerra di classe in Germania è aperta intorno alla questione di come rientrare dal deficit statale, o per meglio dire, di come ed in qual misura riuscire a scaricarlo sul proletariato, e in relazione a ciò quali debbano essere le regole che "le parti sociali" devono rispettare affinché l'opera di ristrutturazione ad Est si traduca in un rilancio dell'accumulazione ed in un rafforzamento generale del paese, ovvero come riuscire ad ingabbiare a tutti i livelli – nella fabbrica e nella società – la classe operaia, strappando ad essa sia fette di salario che posizioni di rappresentanza dei propri interessi all'interno delle istituzioni e dello Stato.

La controffensiva capitalistica muove attraverso la messa in cantiere di una riforma fiscale il cui fine è sgravare il profitto delle imprese e facilitare il rientro dal deficit comprimendo il welfare e tutte le spese "improduttive". Nello stesso tempo la Bundesbank, ossia il vertice monetario e finanziario tedesco, rialza i tassi d'interesse - per ben tre volte in un anno! - con una manovra che dal punto di vista interno significa un perentorio sollecito rivolto al vertice politico a por fine alla politica di compromesso assistenziale "all'italiana" (che ha permesso finora la tregua sociale), e che soprattutto significa un attacco alla classe operaia, imponendo ad essa un rigido contenimento salariale sotto la minaccia, implicita nella stretta creditizia, della perdita del posto di lavoro.

La tenaglia va stringendosi intorno alla classe operaia tedesca; oggettivamente essa è chiamata all'azione. Non è forse lontano il momento in cui anche le piazze tedesco-occidentali si riempiranno delle bandiere rosse degli operai; misureremo allora il grado di determinazione e di combattività gettato nella lotta contro un nemico di classe assolutamente deciso ed obbligato a nulla concedere; misureremo come e quanto il riformismo riuscirà ad incanalare il movimento dei proletari. Certo è che la scesa in campo massiccia della classe operaia è l'elemento essenziale e determinante per raccogliere quel vasto malcontento serpeggiante negli strati popolari e per bloccare sul nascere l'opera micidiale di frantumazione del fronte proletario portata avanti in questi mesi dai gruppi dell'estrema destra attraverso gli attacchi contro gli immigrati.

Noi abbiamo definito la formazione di una Grande Germania, l'enorme concentrazione di capitale nel cuore europeo, come una dichiarazione di guerra alla classe operaia non soltanto tedesca ma internazionale, a cui si deve e si può rispondere unicamente con un adeguato schieramento per la guerra di classe, internazionale, senza alcun spirito di rimpianto per i tranquilli bei tempi andati, per la situazione quo ante. Il capitale tedesco non può non colpire la classe operaia, i capitalisti concorrenti devono adeguarsi non dando tregua ai propri operai. E mentre la borghesia tedesca muove i primi passi verso una propria forza militare autonoma; mentre rompe gli indugi politicamente (per il momento limitandosi a questo livello) riconoscendo per prima ed in anticipo l' "indipendenza" di Slovenia e Croazia le cui borghesie sono da essa teleguidate ed armate; mentre a dieci giorni dal vertice europeo di Maastricht "prende a schiaffi" i partners europei (fa definizione è del "Sole/24 Ore") rialzando ulteriormente i tassi quando i primi morsi della recessione dovrebbero indurre alla politica contraria per non portare al limite della rottura la pace sociale in Europa; fra le borghesie concorrenti e soprattutto, per quello che direttamente ci interessa, nel movimento operaio guidato dalla sinistra ufficiale (vecchia e nuova), comincia a farsi nitidamente strada un sentimento anti-tedesco, che vorrebbe riproporre alle masse di nuovo in movimento sotto i colpi della crisi incipiente la via di una pseudo "salvezza nazionale" con una "nuova resistenza" contro il monopolista, l'autoritario, il guerrafondaio potere germanico.

"La politica economica viene decisa da altri. Sempre più spesso da Bonn, la cui strategia attuale (economica e politica) ricorda gli "spazi vitali" e le annessioni di hitleriana memoria": così scriveva "il Manifesto" del 24.12, e così stanno le cose effettivamente. Con due precisazioni, però, che la sinistra demo-resistenziale non farà mai: 1) la democrazia imperialista necessita, come e più del fascismo, di "spazi vitali' per mantenersi; 2) per la conquista e la difesa di essi, la democrazia imperialista usa, come e più del fascismo, tutti i mezzi di violenza e terrore a sua disposizione, solo mascherandoli di norma ipocritamente dietro "alti ideali" quali 'la libertà", "i diritti dell'uomo", l'autodeterminazione dei popoli", ecc… ciò che la rende ai nostri occhi più spregevole rispetto al classico potere dittatoriale dichiarato chiaro e tondo. Il refrain neo-resistenziale verrà, allora, agitato nel proletariato deviandolo dai suoi veri interessi ed obiettivi di classe internazionale per riproporgli una politica di "indipendenza nazionale" a cui chiamare "la parte sana del paese", i "sinceri democratici" ecc.

Tutt'altro è il nostro indirizzo. Noi possiamo contrastare il capitalismo tedesco lottando contro i nostri padroni, contro la "nostra" nazione sulla base dei comuni ed unificanti interessi di classe. Già la tragedia in atto in Jugoslavia dimostra che solo da una linea di classe può venire la salvezza e la vittoria, per tutti i reparti nazionali del proletariato o per nessuno: talune forze nell'estrema sinistra (nostalgiche dello stalinismo) s'illudevano di fermare la penetrazione tedesca sulla base di una resistenza nazionale "popolare", che unisse cioè i proletari alla borghesia "non svenduta" all'imperialismo. Ed invece la difesa reale dall'aggressione imperialista e dallo smembramento del paese, non può essere messa in opera dalle masse jugoslave se non passando sui cadaveri di tutte le borghesie nazionaliste, quella serba inclusa, con una guerra di classe che, mentre fronteggia in armi l'imperialismo (tedesco e non), chiama all'azione il proletariato (tedesco e non), tende ad esso una mano.

Ribadiamo perciò i nostri chiodi rispetto ai tempi di "vento e tempesta" a venire ed al motivo anti-tedesco che verrà riproposto: non abbiamo alcuna "indipendenza nazionale" da preservare dalla prepotenza "straniera"; siamo invece dipendenti, per così dire, dalla classe operaia tedesca e dal corso della sua lotta (e viceversa ovviamente); abbiamo da conquistare con essa l'unità d'azione, il collegamento, l'organizzazione comune!

La crisi comincia a mordere, e il riformismo comincia a ballare

Anche la possente macchina produttiva tedesca comincia ad essere investita dalla recessione, e ben difficilmente potrà fungere da "locomotiva" trainante del capitalismo internazionale. La stessa domanda di merci che dall'unificazione è provenuta dai Laender orientali e che ha gonfiato sensibilmente gli ordini delle imprese non soltanto tedesco-occidentali ma europee in generale - mostra segni di affievolimento. Essa era e rimane comunque una domanda drogata, sussidiata dal governo occidentale, non poggiante cioè su un'espansione della base produttiva. Al contrario, prosegue ad Est il taglio draconiano di interi settori produttivi. Dall'unificazione ad oggi, nel settore industriale sono stati tagliati oltre 2 milioni di posti di lavoro, mentre l'espansione nei settori del commercio e dei servizi non compensa assolutamente il taglio occupazionale nell'industria, e per la prima volta anche ad Ovest la disoccupazione ha ripreso a crescere varcando nel luglio '91 la soglia del 6%.

In questo contesto la borghesia ha assoluta necessità, sul piano economico, di "liberare" il profitto delle imprese addossando il peso dell'indebitamento sul lavoro salariato e, sul piano politico-sociale, di evitare che l'acuito contrasto sociale porti all'unificazione del fronte proletario. Funzionali a questa bisogna del grande capitale sono, perciò, le azioni dei gruppuscoli e della teppaglia d'estrema destra con il loro spargimento di sangue e di veleno contro una parte fondamentale del proletariato in Germania, ossia i lavoratori immigrati. La borghesia non si sporca le mani in prima persona; per il momento non ha bisogno di finanziare e dirigere la sporca opera di questi sbandati, permettendosi anzi il lusso di condannarne "l'intolleranza" e "l'esaltazione", ma li utilizza per il proprio scopo centrale di dividere e frantumare la classe.

Il varo della riforma fiscale, dicevamo, rappresenta in questa fase un passaggio decisivo per quella "redistribuzione del reddito" dal lavoro salariato verso il capitale, che è necessaria al rilancio dell'accumulazione, ma, e qui entriamo in un altro terreno di scontro aperto nella guerra di classe, la SPI) ha tuonato contro il progetto governativo ("nessun governo tedesco ha messo in cantiere una politica fiscale così ingiusta"!), e lo sta bloccando con le schermaglie parlamentari utilizzando la maggioranza che essa detiene al Bundesrat (la camera dei Laender). La socialdemocrazia non può avvallare una politica che colpirebbe duramente la sua base sociale; essa rivendica una politica "più equa", una ripartizione più giusta dei costi della ristrutturazione fra tutte le parti sociali", e così ha controproposto la proroga della tassa del 7,5% su tutti i redditi, anche sui salari!, in vigore fino al 1° luglio 1992 ma, e qui sta il punto, i bisogni del capitale tedesco vanno ben oltre e devono colpire ben più in profondità il proletariato di quanto prevede la "equa ripartizione dei sacrifici" che è nelle intenzioni dei riformisti.

Stiamo entrando decisamente nella fase da noi anticipata ed attesa, in cui il riformismo si sente tremare la terra sotto i piedi e, stretto nella contraddizione tra doversi adeguare alle esigenze del capitale e conservare il controllo delle masse, non può che arrovellarsi in politiche incerte, preda di convulsioni interne sempre più acute in ragione dell'incedere della crisi capitalistica.

Accennavamo sopra all'ulteriore livello di scontro apertosi: quello istituzionale. L'opposizione parlamentare esercitata dalla SPD, la quale non ha bisogno di scioperi generali burletta come nel caso italiano per essere più seria e sostanziale rispetto a quella degli Occhetto e dei Trentin, è di evidente intralcio al procedere spedito che un potere esecutivo all'altezza dei tempi deve garantire al capitale. Si pone cioè anche in Germania la questione di una riforma istituzionale che assicuri un potere decisionale più rapido e snello. Non dovremo perciò stupirci se anche la borghesia tedesca farà imbracciare il piccone a qualche "alta autorità", come nel copione della "commedia italiana" di questi mesi, in cui dietro la mascheratura "antiburocratica" e la reazione all' "eccessivo potere dei partiti", si esegua un'operazione anti-proletaria, ovvero, reale sostanza della manovra, vengano ulteriormente compresse e limitate le sacche non di "socialismo reale" (il "contropotere", come usa definirlo la sinistra socialdemocratica), ma di rappresentanza dentro lo Stato riconosciute, per il tramite del riformismo, alla classe operaia.

Anche da questo lato, bufera in arrivo per la socialdemocrazia! In una guerra di classe che si va dispiegando a tutto campo, dalle prime scaramucce armate contro i proletari immigrati all'attacco economico condotto in fabbrica, a quello portato indirettamente con le misure fiscali e le manovra finanziarie dello Stato, fino al livello più generale politico-istituzionale contro le postazioni di difesa riformista della classe operaia dentro lo Stato.

Per gli anni delle vacche grasse per i borghesi (e per la pletora piccolo-borghese), negli anni '80 di crescita drogata, la forbice fra capitale e lavoro salariato non ha mai cessato di divaricarsi nella stessa affluente Germania. I dati ufficiali attestano che dal 1982 al '90 gli utili netti delle imprese tedesche sono cresciuti del 118%, mentre nello stesso periodo il salario reale è aumentato dell'11%. Il riformismo non ha mai cessato di rivendicare il riequilibrio della forbice ed ancora oggi, finito il tempo dell'affluenza, mentre una sua parte ripiega prudentemente su una politica "di sacrifici equi", un'altra parte, soprattutto quella legata più direttamente ai sindacati, continua a sostenere la necessità di "non accettare passivamente l'esplosione degli utili imprenditoriali come negli anni '80"; per essa è giunto il momento di riequilibrare i redditi in favore dei salariati, tesi - questa - che si è attirata i fulmini (la grande stampa si scaglia contro le piattaforme rivendicative sindacali, con richieste d'aumenti salariali oltre il 10%, bollandole di "irresponsabilità", di "provocazione", di "mancanza di solidarietà verso i concittadini dell'Est") del fronte borghese confindustria-governo-Bundesbank mai così livido e compatto.

Saprà questo riformismo mantenere la parola data di fronte agli operai? Saprà perseguire realmente questo obiettivo che si è dato e che ha proposto al proletariato?

Sono domande per noi retoriche; esso non ne sarà capace, e dovrà essere una classe operaia tedesca compatta ed attiva a chiedere il rendiconto ai riformisti; il loro naufragio nell'inconcludente demagogia non dovrà essere la deriva per il movimento di classe.

Nel solo anno alle spalle l'incalzare degli eventi ha aperto ad ogni occasione ampie falle all'interno della compagine riformista. Dalla guerra del Golfo, che ha visto l'ala giovanile riottosa rispetto al contegno moderato del centro del partito, con quest'ultimo che, per quanto ha potuto, ha svilito ogni "eccessiva" azione contro la guerra, ma non ha potuto evitare che si sviluppasse nel paese il più forte movimento anti-guerra in Europa (con tutti i limiti e l'inanità della sua ottica pacifista piccolo-borghese, da noi ampiamente denunciata), un movimento in larga parte autonomo dalla SPD; alla questione jugoslava, che ha visto una maggioranza SPD partita sparata in favore dell' "autodeterminazione" di Slovenia e Croazia e per converso una sinistra molto più cauta ed ostile a che il paese venga trascinato ad intervenire direttamente in quel conflitto; alla questione della partecipazione tedesca all'UEO, cioè della forza militare autonoma dagli yankee a cui l'SPD si dichiara contraria, baloccandosi in vuote declamazioni di principi pacifisti ed antimilitaristi, con una linea politica "che potrà accontentare l'impotenza piccolo-borghese ma che è totalmente inadeguata ad affrontare una realtà che ripropone ad un paese imperialista di tal portata la necessità di interventi anche militari a difesa del proprio "spazio vitale"; fino alla bruciante questione del controllo sull'immigrazione nella quale SPD (come i liberali del resto) rifiuta la modifica della costituzione che impone il riconoscimento del diritto d'asilo, l'alloggiamento ed un minimo di sussidio ai profughi, ma al tempo stesso attivamente promuove una normativa che di fatto tende a bloccare l'immigrazione ed a espellere "i non aventi diritto", spinta a ciò anche dal malcontento di larghi strati popolari portati a vedere nell'immigrato, nell'assenza di un'azione di classe, una delle cause, se non "la causa", del crescente disagio sociale.

Gli immigrati, una questione di classe

Gli attacchi contro gli immigrati di questi ultimi mesi sono la risposta antiproletaria ed anticlassista, a tutto beneficio della strategia del grande capitale, ad un problema reale che investe di petto un proletariato che ad Est si misura con la disoccupazione e con salari che a stento seguono il progressivo aumento del costo della vita verso livelli occidentali, e che ad Ovest sente ormai tangibilmente la minaccia padronale alle sue condizioni generali di vita e di lavoro.

Non deve stupire che la risposta "antirazzista", peraltro più debole di quanto ci si potesse attendere in un paese come la Germania dove più forte che altrove è il movimento giovanile "antagonista", abbia portato nelle piazze in solidarietà con gli immigrati non tanto i proletari quanto la piccola-borghesia coi suoi motivi di filantropia, di comprensione verso "i deboli" e le "culture diverse" tanto nobili quanto impotenti ad affrontare un problema sociale e di classe, e non "di razza "appunto, che reclama per la sua soluzione che venga posto decisamente il tema della lotta al capitalismo.

Difficile ed irreale è per la massa proletaria, confrontata ad una cruda realtà quotidiana, scendere in piazza per un generico antirazzismo; il suo impulso immediato è di rispondere: "pensiamo prima ai nostri grossi problemi, poi, eventualmente, a quelli degli altri" la doverosa presa in carico, da parte dei lavoratori tedeschi, della questione della vita e del destino dei fratelli di classe immigrati, non può darsi che sulla base della lotta per l'accanita difesa dei propri interessi e delle proprie condizioni generali di vita. Quando verrà ingaggiata, questa lotta di classe, mentre farà riscoprire agli operai "che il nemico è in casa nostra" chiamerà a raccolta gli immigrati non in quanto "gli altri" o i "diversi" ma per il loro potenziale sociale di rivolta anticapitalistica, in quanto cioè proletari immigrati.

L'esplosione in termini violenti del problema immigrazione, sfruttata ancora una volta dalle borghesie concorrenti per fomentare il sentimento antitedesco (notoriamente i borghesi italiani o francesi sono "più buoni" nel trattare gli immigrati), era in realtà nell'ordine delle cose. La Germania in soli 2 anni, dal fatidico '89 al 191, è stata investita da una vera e propria ondata migratoria che ha portato nel paese oltre 2 milioni di uomini (gli "asylanten" cioè chi richiede asilo politico, sono circa 450 mila, in maggioranza

jugoslavi, rumeni, turchi; gli "aussiedler", cioè chi dimostra anche una lontana origine tedesca provenienti da tutto l'Est ex-"socialista", assommano a 920 mila, mentre sono circa 650 mila i cittadini della RDT trasferitisi ad Ovest). Anche un paese ben organizzato ed ancora potente come la Germania, non poteva non subire il trauma di una tale migrazione nella situazione di crisi internazionale capitalistica, ben diversa quindi da quella del dopoguerra quando il paese fu in grado di assorbire senza gravi tensioni "razziste" milioni di proletari immigrati.

Come il capitalismo tedesco è quello largamente dominante nella penetrazione verso tutto l'Est, così la Germania è anche il paese più massicciamente investito dal boomerang di un Est sconvolto dalla crisi. Questi milioni di proletari che vi si sono riversati incarnano, sono la forza fisica vera e propria di questo boomerang. L'aut-aut drammatico ed ineludibile è già posto: o la loro forza d'urto verrà utiliz-zata dalla borghesia- per scompaginare le linee di difesa e l'organizzazione della classe operaia, oppure quest'ultima saprà farne un possente e decisivo alleato contro il potere dei padroni.

Se la battaglia è già in atto, come lo è, diventa improrogabile la messa in campo della forza operaia. Ogni ritardo, ogni esitazione nel ritorno della lotta di classe viene sfruttato dal nemico per debilitare e dividere il proletariato.

Un segnale d'allarme in questo senso è l'esito del test elettorale di Brema, dove la lista di destra ha toccato il 10% dei consensi nei quartieri popolari con un travaso secco di preferenze dalla SPD. Il dato significativo di questo test elettorale (che si è poi riproposto nelle elezioni di Vienna ed in Belgio, e che del resto segue il fenomeno francese di conquista da parte di Le Pen delle banlieu operaie) è appunto lo spostamento a destra dal punto di vista elettorale di una parte non irrilevante di classe operaia.

Qualcuno ha voluto parlare dello sviluppo di un fenomeno di l'autoritarismo operaio", la richiesta cioè di ordine e di disciplina da parte operaia nell'approssimarsi ora tangibile della crisi. Noi interpretiamo diversamente questo fenomeno reale, che non a caso avviene sul terreno elettorale e non sul piano sociale-sindacale, giacché la demagogia più o meno becera dei nazional-popolari può sì profittare della prostrazione in cui versano le masse per strappare consensi, ma nulla può dare di concreto ad esse perché ciò implicherebbe una lotta contro il capitalismo; lo interpretiamo come un segnale di una difficoltà reale vissuta dalle masse nel duro impatto con la crisi e di un'enorme difficoltà da parte del riformismo a dare al proletariato una risposta coerente e credibile, ovvero nel venir meno della sua capacità di controllo indiscusso su di esso.

Che cosa possiamo realisticamente attenderci dalla prossima tornata della guerra di classe in Germania?

Tutto ci porta a prevedere che è infine giunto il momento in cui la classe operaia riprenda decisamente la parola. Noi ci aspettiamo che la lotta sia ingaggiata, e che alla prossima tornata contrattuale faccia davvero caldo in Germania. Ci auguriamo che il più possibile la lotta si estenda e si radicalizzi nel paese: bisognerà riuscire a strappare dalle unghie del capitale anche la virgola d'aumento salariale - e non dimentichiamo che ogni punto strappato ad Ovest si riflette in uno scatto anche per il salario degli operai tedesco-orientali: questa sì è reale solidarietà di classe, reale processo di unificazione! -; ma si tratterà anche e soprattutto di ritrovare nella lotta il senso della propria forza, di cementare la propria organizzazione di classe, di attirare intorno a questa forza centrale tutti gli sfruttati di questa società.

Del resto, i lampi di lotta dei minatori rumeni, la ripresa della resistenza operaia in Polonia e l'annunciarci di quella nell'ex URSS, i fermenti che agitano i lavoratori ed il mondo degli oppressi in generale negli USA, preannunziano da Est e da Ovest che l'ora della ripresa è giunta anche per il reparto centrale del proletariato internazionale, pur essendo ancora difficile e confuso il contesto generale per il rilancio in grande stile della nostra controffensiva.

La discesa nel maëlstrom della crisi capitalistica non deve trovare impreparata la classe operaia tedesca: la prossima stagione di lotta sia un allenamento delle forze proletarie in vista degli svolti decisivi della guerra di classe!

ULTIME NOTIZIE

LO SCONTRO PER ORA E' SOLO RINVIATO

"Il tanto temuto sciopero siderurgico in Germania non si farà più": "Il Solee-24 ore" di martedì 4 febbraio tira, e non sarà il solo, un bel respiro di sollievo.

L' intesa prevede un aumento salariale medio del 6,3%, circa un 2% al di là del tasso di inflazione e circa i 2/3 di quanto richiesto dai sindacati, nonché la parificazione delle retribuzioni-base dei siderurgici a quelle dei metalmeccanici. Se l'intesa sarà, come è altamente probabile, approvata dai lavoratori (si usa ancora far così nella Germania che certa "sinistra " vuole terra di elezione dell'autoritarismo), la miccia di "uno sciopero che avrebbe avuto gravi conseguenze, anche su settori a valle della siderurgia, tra cui l'auto", è stata disinnescata. A quale prezzo?

Ad un prezzo piuttosto alto per il padronato, se è vero che è stato violato il tetto tassativamente fissato dalla Bundesbank per gli aumenti salariali contrattuali: il 5%. Se è vero che il Presidente degli industriali siderurgici, pur apprezzando la moderazione dei dirigenti sindacali, ha parlato di "costi ancora molto alti" (ma allora quale è stata la innominabile parte in causa che li ha imposti?). E se il presidente della Volkswagen si è affrettato a giudicarlo, "completamente fuori linea" e si è lasciato andare ad un grugnito simile a quello di certi maiali di casa nostra, affermando: "Noi imprenditori dobbiamo chiudere le porte in faccia ad un socialismo strisciante che sopravvive al tracollo dei regimi orientali " ("la Repubblica" 4 febbraio).

Dunque? Una classe che per quasi unanime convinzione è defunta, si prende la paradossale licenza di mettere sul piede di sciopero (attenti: non ancora in sciopero) l'appena" 130. 000 dei suoi effettivi, e cosa succede? Che il padronato più forte e più rampante d'Europa, fresco reduce dall'aver snobbato le richieste degli USA, prende tanto timore da uscire "completamente" dai binari tracciati nientedimeno che dalla più potente ed inflessibile istituzione bancaria europea. E succede pure che non un qualsiasi Brambillen renano ma il celebrato capo della Volkswagen si senta trascinato ad evocare addirittura il fantasma del socialismo ed a stigmatizzare quanti "riescono a concepire il rapporto tra capitale e lavoro solo come uno scontro"!

Escluso che ce l'abbiano con i dirigenti sindacali, il cui senso di responsabilità hanno sempre apprezzato e lo dato, par evidente che il loro bersaglio è il proletariato tedesco con la sua determinazione di far valere le propri ragioni e, naturalmente, il proletariato tutto che potrebbe esser tentato dal seguirne l'esempio.

In Germania la classe operaia è chiamata all'azione, diciamo nel nostro articolo, scritto prima della conclusione del compromesso sul contratto dei siderurgici. Ebbene, non abbiamo nulla da rettificare, ma solo da constatare: la classe operaia era pronta all'azione. Per questa e soltanto per questa ragione il padronato tedesco ha ritenuto preferibile evitare di sfidarla in campo aperto. Del resto cos'altro vuol significare l'astuto Steinkueler (presidente dell'IG-METALL) quando dice che il risultato (più che discreto, dati i tempi) ,è stato possibile perché i lavoratori con la loro decisione di scioperare hanno manifestato una forte volontà di non farsi 'incartare' a basso costo"?

Neanche un briciolo di retorica c'è, perciò, nel parlare del proletariato di Germania (non è questione "nazionale": è il più "plurinazionale" d'Europa) come di un gigante che sta rimettendosi in movimento e che tutte le circostanze storiche oggettive indicano come il reparto potenzialmente più agguerrito dell' intero proletariato mondiale.

La piena riaccensione dello scontro di classe in Germania potrà dunque avere un rinvio. Ma, vista l'evoluzione della situazione internazionale e le intenzioni della borghesia tedesca, pare evidente che gli spazi per altre "brillanti" mediazioni socialdemocratiche stanno facendosi maledettamente strette. Per i tempi (temuti da Hahn) in cui il rapporto tra capitale e lavoro tornerà ad essere un rapporto di scontro aperto, e - aggiungiamo noi - scontro per il potere, la classe operaia di Germania già manda a dire che sarà al suo posto di battaglia.