I militanti operai più coscienti avvertono la crescita delle Leghe come un pericolo per la classe operaia, un elemento di confusione e di debolezza in più. Hanno perfettamente ragione. L'azione delle Leghe va solo e soltanto a vantaggio del padronato, e per tale va smascherata e combattuta senza indugi né indulgenze di sorta.
Mettiamo le mani avanti: sappiamo che queste note sul leghismo sono schematiche. Lo sono volutamente. Esse non hanno alcuna intenzione di andare ad ampliare la già abbondante letteratura socio-politologica sul "fenomeno"; intendono invece fornire una traccia di analisi di classe delle Leghe e un indirizzo proletario di lotta contro di esse. Andremo quindi per punti.
1) Da dove vengono.
Il movimento leghista, quale esso è oggi, è un primo momento di sintesi politica della "lunga marcia" antiproletaria delle classi medie iniziata in Italia nel 1980 con i 40.000 antisciopero di Torino, e proseguita poi nella "rivolta" dei commercianti dell'84, il blocco referendario a favore del taglio della scala mobile, le agitazioni corporative di medici e gilde d'insegnanti nell'88, l' "ammutinamento" di auto-trasportatori ed agenti di borsa nel '90-'91.
A dargli impulso è stato il venir meno, con la fine del ciclo post-bellico, delle possibilità che lo sviluppo garantisse a tutte le classi sociali la prospettiva di un continuo miglioramento in solido delle loro condizioni. In assenza di una forte iniziativa anticapitalista del proletariato, capace di immobilizzare questi settori della società e di legarne a sé la parte proletarizzata, è avvenuto che siano stati invece questi settori a mobilitarsi in proprio aggressivizzandosi in forme più o meno aperte contro il movimento operaio (e contro i "diseredati" della "periferia").
Il salto dalle agitazioni corporative ad una prima forma di aggregazione partitica si è dato in coincidenza non casuale con grandi sconvolgimenti internazionali che, dopo un istante di euforia, hanno fatto crescere a dismisura in queste classi, specie negli ultimi anni, la paura del futuro. Questa preoccupazione le spinge a serrar le file superando le divisioni categoriali, ad organizzarsi in "partito".
Ma non c'è dubbio che la impetuosa crescita del leghismo è anche il risultato del forte sostegno ricevuto, sempre meno "al coperto" da settori del grande capitale entrati in attrito con il vecchio "sistema" politico-amministrativo ed intenzionati a "riformarlo".
2) Base sociale attiva, elettorato, rappresentanza di interessi.
Un preciso riscontro di questa loro natura sociale è nel fatto che il grosso del quadro dirigente e più attivo delle Leghe appartiene alla piccola-media borghesia accumulatrice: piccoli-medi industriali, artigiani (non poveri), commercianti, professionisti, agenti di borsa, ecc., così come il grosso del loro elettorato proviene dalla DC e dagli altri partiti di governo.
E' tuttavia evidente, ed opportunamente strombazzato dalla "libera" stampa per aumentare la confusione nella classe operaia, che la presa elettorale del leghismo cresce anche in un proletariato indebolito dalla propria inazione e dal collaborazionismo più smaccato delle "proprie" organizzazioni. Ma il fatto di ricevere una quota del voto operaio (non certo la più ,,avanzata") o di avere un po' di consiglieri comunali di estrazione operaia non muta in nulla la natura e la funzione di classe anti-operaia delle Leghe.
Queste sono decise, infatti, dagli interessi di cui il leghismo è portatore, interessi che, come per ogni altro movimento politico, sono espressi dal programma e dall'azione politica svolta "in concreto".
In che cosa consiste il programma del leghismo? In "poche e sanguigne esigenze", per usare l'espressione di Miglio, che l' ha espresso in una serie di articoli pubblicati dal "Sole-24 Ore". Sceverando da esse le richieste di contorno, più o meno folkloristiche, buone a catturare ed irretire i minchioni - valligiani o urbanizzati che siano - del tipo "difesa dell'identità culturale" di questa o quella zona, tali esigenze si riducono sostanzialmente alle seguenti tre: a) riorganizzazione in senso federativo dello stato; b) maggiore autonomia fiscale e finanziaria delle regioni ricche; c) privatizzazione e parziale gestione locale dei servizi come via per vincere inefficienza e corruzione della pubblica amministrazione.
Qual è il contenuto reale di questo programma? E' esattamente opposto a quello apparente: non "decentramento", bensì centralizzazione.
3) Le leghe sono uno strumento di centralizzazione del capitale. L'agitazione leghista contro lo "stato romano" ed a pro della "repubblica federale" ha come suo bersaglio quello che si può chiamare il "welfare state" territoriale, ossia quel complesso di interventi di politica economica e sociale che in questo dopoguerra ha trasferito al Sud, anche a vantaggio dell'industria padana che oggi se ne lamenta, una quota della spesa statale superiore al contributo del Sud alla formazione del prodotto nazionale. Ieri, quando la barca andava, tale intervento è servito ad allargare il mercato interno a tutto vantaggio del capitale più concentrato. Oggi, che il meccanismo dell'accumulazione si è inceppato e si tratta di tagliare i "rami secchi" la borghesia padana preme per avere direttamente a propria disposizione il massimo di risorse. L'obiettivo è il medesimo di ieri (la crescita del profitto e della concentrazione del capitale), ma mentre ieri passava attraverso l'intervento dello stato, ora passa attraverso il "mercato".
Il taglio del "welfare state" territoriale è due volte profittevole per la borghesia padana (e per il sistema industriale e finanziario italiano in generale, di cui essa è tuttora il centro più forte): le mette a disposizione masse di capitali liberate da impieghi "pubblici", e poi, esaltando la diseguaglianza tra Nord e Sud, consente un uso di questa ancora più capitalisticamente "razionale". "Abbandonare" e "criminalizzare" il Sud serve ottimamente alla bisogna, di tutto il capitalismo "nazionale", di poter usufruire ancora più a buon mercato della sua forza-lavoro in così larga parte disoccupata o sottoccupata, tanto a fini "civili" (vedi le regole di tipo "giapponese" imposte dalla Fiat nel nuovo stabilimento di Melfi), quanto - un domani non troppo lontano - a fini militari.
Nella stessa ed identica direzione va la rivendicazione della maggiore autonomia fiscale delle regioni, che consente alle regioni più ricche mezzi di accumulazione e di espansione più ingenti, accrescendo il differenziale di sviluppo tra Nord e Sud ed accrescendo, quindi, attraverso il decentramento formale, l'ulteriore accentramento reale della ricchezza sociale.
4) Ma le Leghe sono anche, e lo rivendicano, uno strumento di maggiore accentramento del potere politico borghese. Non soltanto perché la riorganizzazione in senso federalista dello stato non rappresenterebbe certo un suo indebolimento (gli USA o la Germania, stati federali, non possono davvero considerarsi degli stati deboli). Non soltanto perché sostengono la repubblica presidenziale ed il massimo di concentrazione dei due poteri-chiave dello stato, quello di "guidare" la politica estera e quello di comando sulle forze armate e sulle forze di polizia. Lo sono, come osserviamo nell'editoriale, in quanto stanno facendosi veicolo sempre più attivo di una propaganda "anti-partitocratica", che prepara il terreno alla richiesta di più stato, di uno stato borghese più forte, più efficiente, più totalitario all'interno ed all'esterno. Uno stato che le Leghe stanno contribuendo a "rifondare" su basi ancora più ferocemente classiste, a misura che (come l'azione di Cossiga evidenzia al meglio) l'apparentemente generico attacco ai partiti è innanzitutto attacco all'organizzazione politica "distinta" del proletariato.
5) Anti-proletaria dal momento che favorisce il rafforzamento della centralizzazione capitalistica sul piano economico e su quello politico, l'azione del leghismo lo è anche, e doppiamente, in quanto promuove la balcanizzazione del proletariato a tutti i livelli. Ampliare la distanza tra Nord e Sud significa, evidentemente, rafforzare il potere di balcanizzazione "spontanea" del mercato, che già di per sé produce differenziazioni tra le condizioni materiali dei lavoratori delle zone più sviluppate e quelli delle aree sottosviluppate. Le Leghe, però, non si limitano a questo: tutta la loro propaganda contro i lavoratori immigrati (che la marmaglia dei padroncini leghisti è vogliosa di torchiare come schiavi), tutta la loro propaganda contro il Sud "parassitario" (sulla cui forza-lavoro ha abbondantemente parassitato il capitalismo interno ed internazionale) ha l'evidente e voluto effetto di attizzare le divisioni nel corpo del proletariato, spingendo al Nord i lavoratori a far blocco con la "propria" borghesia contro il Sud "mafioso e clientelare".
Né le Leghe si fermano qui. Utile strumento per l'espansione internazionale del "nostro" capitalismo (che rimane il loro obiettivo di fondo), le Leghe lavorano nello stesso tempo (le due cose si tengono) a regionalizzare il movimento sindacale ed a regionalizzare quelli che sono stati per decenni strumenti di difesa unitaria della classe operaia, quali la scala mobile, la contrattazione nazionale, la parità retributiva tra Nord e Sud. In nome della "lotta al clientelismo", il loro sindacato giallo SAL (ed i suoi corrispettivi veneto, piemontese, ecc.) chiama la classe operaia della Padania a fare da massa di manovra della pressione padronale volta a ridurre gli interventi sociali dello stato (già tanto decurtati) sia al Nord che al Sud, prospettando da una riduzione delle trattenute fiscali un beneficio per i lavoratori, mentre è evidente che, corrispondendovi un parallelo smantellamento di quel che rimane dei "pubblici servizi", il saldo complessivo dell'operazione sarebbe sicuramente negativo per gli stessi.
La loro presa sindacale nel proletariato è certamente molto più ridotta della loro presa elettorale, proprio perché poco o nulla è in grado di garantire quanto a miglioramento delle condizioni materiali dei lavoratori. Ma la loro azione di divisione, confusione, diversione e disorganizzazione del proletariato non deve essere sottovalutata, e tanto meno lo dovrà essere un domani se le Leghe riusciranno a gestire in proprio una parte della spesa statale.
6) Il leghismo, dunque, raccoglie la massa piccolo-borghese ponendola a servizio degli interessi del grande capitale, sia in quanto movimento statalista d'ordine, sia in quanto dà impulso alle ragioni ed alla dittatura "più dura" del mercato, e cioè del capitale più forte e accentrato, sia perché sistematicamente rafforza e moltiplica gli elementi di divisione della classe.
Dal punto di vista degli interessi di classe, è solare che esso va dunque combattuto in quanto variante, subalterna e certamente transitoria - ma non per questo poco pericolosa - della offensiva capitalistica in atto.
L'atteggiamento della "sinistra" (e non ci riferiamo solo al PDS) verso il leghismo è soggetto a continue oscillazioni. In alcuni momenti infatti prevale la condanna morale delle spinte desolidarizzanti insite nel "separatismo" regionalistico, condensata in qualche deprecazione che rimane senza visibili conseguenze. Altre volte prevale un senso di disagio dovuto all'impotenza nel contrastare un "fenomeno" di cui non si prevedeva l'origine e di cui si ignora l'itinerario di sviluppo. In altri momenti ancora prevale un vero e proprio inseguimento delle tematiche leghiste, con l'evidente speranza di sottrarre consenso alle leghe mimando alcune parti dei loro programmi. Un vero e proprio "bestiario" di questi tentativi di rincorsa è fornito dalle dementi declamazioni di Occhetto, di vari ex-dippini, di una certa campionatura di "anarchici" e di "trotskisti" a favore dell'autonomismo, del regionalismo, del bio-regionalismo, ecc. Rivendicazioni reazionarie già se riferite allo stato borghese-imperialista (cui va almeno il grande merito di avere unito imperialisticamente, s'intende - più nazioni e di avere dato un formidabile contributo ad unificare il mondo, ed anche - in una certa misura - il proletariato mondiale). Ma doppiamente reazionarie se riferite al movimento proletario che ha un bisogno vitale di unirsi, di contro-centralizzarsi a scala nazionale ed internazionale, se non vuole soccombere per manifesta inferiorità di forze nello scontro con un nemico il cui totalitarismo occupa l'intero pianeta.
Il leghismo ha potuto entrare nelle fila operaie e può ora svolgervi la propria azione demagogica e diversiva a causa degli enormi vuoti lasciati dalle organizzazioni "riformiste" e della stasi della iniziativa di classe nel suo insieme.
Rompere questa stasi è perciò la prima e fondamentale condizione per bloccare la pestifera influenza leghista. A misura che l'attacco capitalistico va colpendo tutta la classe operaia in ogni sua sezione aziendale, settoriale e regionale deve emergere con forza che per approntare un argine di difesa reale non vale a nulla sperare di chiudersi in fantomatiche isole localistiche o rincorrere soluzioni che introducono ulteriori differenziazioni di salario (le gabbie salariali diversificate da regione a regione invocate dal leghismo come "naturale" riconoscimento della diversa produttività degli operai) o delle condizioni normative. L'argine reale di difesa può essere costituito unicamente mettendo in campo tutta la capacità di lotta degli operai, il cui potenziale sarebbe moltiplicato dall'unificazione delle loro forze. La lotta unitaria delle degli operai del Nord e del Sud, dei proletari bianchi e "neri", in opposizione organizzata, indomita alle misure che il capitalismo adotta per fronteggiare la sua crisi è l'unica che può dare risultati anche sul piano immediato e, nel contempo, togliere il terreno sotto i piedi ai fautori di ipotesi federaliste (ove federalismo sta, l'abbiamo già detto, per massimo accentramento del capitale e massima frantumazione del proletariato).
La classe operaia è, e sarà, costretta, suo malgrado, a sperimentare sotto i colpi di maglio indirizzatagli dall'avversario di classe che non ha altra prospettiva che quella: mettere in campo tutta la sua forza per difendere ogni sua singola sezione e tutta intera se stessa. E' costretta, suo malgrado, a verificare quotidianamente come una precisa parte ben precisa della sua stessa regione o nazione non esita a scaricarle addosso tutto il peso di una crisi a tal punto generale, internazionale, da non poter a lungo essere giustificata con l'"eccessivo" assistenzialismo concesso ai proletari "improduttivi" di alcun Sud. Il corso degli eventi può fornire, dunque, un grande aiuto a ricostruire nel proletariato la consapevolezza di dover rispondere come classe ad un'altra classe sua nemica sul campo, al di là della identica provenienza geografica.
Lungi dall'attendersi che il "corso degli eventi" sbarazzi il campo da tutte le illusioni, i comunisti rivoluzionari e i militanti operai più coscienti devono, già da oggi, indicare al proletariato quella strada, la ripresa della lotta unitaria, come l'unica percorribile per difendere i propri interessi sia all'immediato che nelle prospettiva storica, contrastando così, nei fatti, la logica leghista, e dando un senso ben diverso anche ad alcune tematiche care al leghismo, come per es. la lotta al fisco "iniquo" o alla mafia (che, come accenniamo nell'articolo di apertura, altro non è che un'articolazione del dominio e dello sfruttamento capitalistico). Problemi seri e veri anche dal punto di vista operaio, la cui soluzione negli interessi del proletariato - è, però, esattamente il contrario di quella proposta dalle leghe.