Il gen. Cappuzzo ed il ministro Rognoni ci informano sui "nuovi indirizzi di politica militare" corrispondenti all' "importante ruolo" che l'imperialismo italiano intende giocare nel mondo.
La maggiore aggressività interna ed "esterna" del capitalismo "nazionale" si riflette puntualmente anche sul piano militare, che non è un piano separato dall'economico e dal politico, con la parallela riorganizzazione degli apparati repressivi interni (per la prima volta costretti a coordinarsi) e delle forze armate.
Su questo secondo aspetto è utile scorrere un lucido saggio del gen. Cappuzzo pubblicato sulla "Rivista militare" di novembre-dicembre '91.
Il punto di partenza del suo ragionamento è che con il collasso del "blocco " dei paesi del "socialismo reale", pur essendo venuto meno il "tradizionale nemico "dell'Occidente, i pericoli per la "nostra sicurezza " non sono diminuiti, ma paradossalmente aumentati (evidentemente il vero nemico non era l'URSS…). Soprattutto se della "sicurezza " non si ha una concezione angustamente militare, bensì "globale", ovvero si intende per essa la stabilità del sistema sociale capitalistico. Una stabilità ("I1 fine è la stabilità") che dipende da una pluralità di fattori, "dei quali quello militare è uno dei tanti" (bravo il generale, più materialista di certi "rivoluzionari"… ).
Alla stregua di questa concezione "globale " ed "allargata " della sicurezza, Cappuzzo constata (tacendo, ovviamente, sulle cause profonde di questo processo) che il mondo capitalistico è passato dall' "epoca delle certezze " all'epoca delle incertezze " e ciò esalta il lavoro di stabilizzazione politico-sociale non meno che militare che ricade sulle istituzioni borghesi.
Quanto agli aspetti specificamente militari, «si profila all'orizzonte un nuovo scenario che non potrà non richiedere il rimescolamento di tutte le carte». La NATO "ci sta ancora (n.b.) benissimo", ma è ormai all'ordine del giorno "la valorizzazione del pilastro europeo", ossia il riarmo in grande dell'Europa, che sempre meno potrà fare affidamento sull'ombrello statunitense, e sempre più dovrà salvaguardare da sé, coni corrispondenti "oneri", i propri interessi.
Ma dire Europa è, anche in questo caso, parlare di una cosa che non c'è se non come somma, se va bene, di differenti e confliggenti interessi "nazionali". E' sostanzialmente una metafora diplomatica per intendere i "nostri" interessi in Europa e, al massimo, nel quadro degli organismi europei fintantoché dureranno).
La questione che preme è quindi quella della "valorizzazione del pilastro "italiano, e lo si dice chiaro e tondo: "non si può essere 'Paesi di serie A' senza avere 'Forze Armate di serie A'. L'epoca dei "funambolismi intellettuali" è ormai giunta alla fine. I nostri problemi vanno visti, con serietà e metodo, in Europa e con l'Europa, alla luce delle condizioni poste dalla individuazione delle "nuove frontiere", nella prospettiva di una "nuova stagione".
Nuove frontiere di espansione - c'è bisogno di specificarlo? -per il "nostro" capitalismo e una nuova stagione di aggressioni e di guerra da parte dell'imperialismo.
Un altro articolo della "Rivista militare" dà un ottimo esempio di come effettivamente ci si stia cominciando a sbarazzare dei "funambolismi intellettuali", fornendo la seguente illustrazione del concetto di difesa dell'Italia: "negli ultimi anni gli impegni internazionali ed il primario interesse dell'Italia perla pace, la sicurezza e la stabilità del Mediterraneo e delle vicine aree vitali del Medio Oriente impongono con la forza dei fatti e delle cose - un sufficiente supporto militare della politica estera, corrispondente ad un concetto allargato di difesa. per questo la "Nota aggiuntiva" al bilancio della Difesa 1991 precisa per la prima volta (p. 9) che la "difesa delle frontiere terrestri, marittime e aeree va intesa, più che come presidio territoriale (dei "nostri " confini formali -n. n.), come idoneità ad intervenire tempestivamente laddove si manifesteranno minacce al suolo nazionale, agli spazi aerei ed alle linee di comunicazione marittime". Queste parole hanno un ben preciso significato. Oggi la difesa reale di un Paese - ed a maggior ragione di un Paese come l'Italia, povero di materie prime e senza energia nucleare - si estende a quelle aree dalle quali dipende in buona parte non solo il suo benessere, ma la sua vita. La stabilità, la pace, il rispetto del diritto internazionale in queste aree vitali riguardano direttamente anche l'Italia, che dunque deve dotarsi dello strumento - anche terrestre - necessario: è questo l 'insegnamento più pregnante della guerra del Golfo".
Affermazioni veramente apprezzabili per quanto sono esplicite: per l'imperialismo, ed in particolare per un paese imperialista che aspiri ad entrare o a restare nelle posizioni di vertice, area vitale ("spazio vitale-, diceva il vituperato Hitler: qual è la differenza?) da difendere con tutti i mezzi è il mondo intero. t storia vecchia, e di "nuovo " c'è sà11anto il fatto che, finito il ciclo di sviluppo "pacifico", lo scontro violento inter-capíta1istico per la rispartizione delle "aree vitali" tornerà a ripetersi con un massimo di capacità distruttive, se la rivoluzione proletaria non riuscirà ad impedirlo. E che questa volta,avendo l'Italia allargato il raggio del proprio campo di sfruttamento, ha la necessità di dotarsi di "di forze terrestri (e non solo – n.) modernamente e logisticamente compatibili (diciamo pure: concorrenziali n. n.) con quelle di altri Paesi europei: cioè di qualcosa, notiamo bene, che non è mai esistito -.
Esatto. Ed è ancora Cappuzzo ad esortare "la politica" a "percepire la necessità di cambiamento" ovvero a non frapporre indugi nel prendere alto dei "nuovi compiti" militari in Medio Oriente, nel Mediterraneo, nel Sud del mondo più in generale, e naturalmente in Europa, nonché, come ha accennato in qualche intervista Rognoni, anche nell'ex-URSS: del resto, non è da lì che viene buona parte del gas della Padana?
La creazione di una forza o di più forze "di rapido intervento" è un passo obbligato in questa direzione: gli "interventi fuori area " (ossia fuori dell'area NATO) andranno a moltiplicarsi. Ma il "nostro" generale, che non dimentica mai il "nemico interno ", specifica che il primo tra i compiti della "componente mobile polivalente" delle FF.AA. sarà quello di "fronteggiare improvvise emergenze e situazioni di crisi di esclusivo interesse nazionale": il compito anti-proletario e controrivoluzionario interno. Non ne dubitavamo.
La ristrutturazione dell'esercito per adeguarlo ai "nuovi compiti" non si esaurisce certo in questo. Nella realtà non c'è posto per il sogno piccolo-borghese di un esercito di soli soldati di mestiere. La difesa degli interessi imperialisti "allargati" richiede una cospicua massa di uomini in divisa, di cui soltanto una parte minoritaria (con buona pace del PDS) potrà essere composta di volontari. Ci sarà una razionalizzazione, non una soppressione della leva e Cappuzzo, preoccupato che a farne parte siano soltanto proletari in divisa, chiede una "effettiva democratizzazione del sistema della leva" che ridimensioni "i privilegi oggi concessi" alle classi borghesi, per evitare "situazioni di ingiustizia sociale, (che) intaccano il principio di solidarietà nazionale"…
E dunque: forza o forze di rapido intervento, arruolamento dì 40. 000 volontari, mantenimento di una forte leva e - dulcis in fundo - un generale salto di qualità nel livello degli armamenti (aerei, carri armati, bombe 'intelligenti', sistemi anti-missili, ecc. ecc.). Con simili obiettivi, è inevitabile che la quota di prodotto nazionale da destinare alla "difesa " debba essere elevata. Solo per i nuovi armamenti è stata decisa una legge extrabilancio ordinario che è scontato sarà molto onerosa per i lavoratori (si è lasciata cadere lì la cifra di 30-40. 000 miliardi in 10 anni: per quanto la si dovrà moltiplicare?).
Esercito "più leggero", si dice nella propaganda ufficiale. Spese di certo più pesanti. Un tale rafforzamento delle forze armate borghesi imperialiste non potrà che avere dei costi materiali enormi, ed altrettali costi politici. L'ex-capo distato maggiore non tralascia il problema: bisogna - dice - "eliminare o ridurre i tentennamenti legati ai meccanismi del consenso", e convincersi che "il consenso si costruisce", non lo si raccatta. L'allargamento degli spazi vitali imperialistici da "difendere" comporta la secca riduzione degli spazi vitali di lotta e di organizzazione del proletariato. Le "missioni di pace" in Libano, nel Sinai, nel Mar Rosso, in Albania, in Kurdistan e… nel Golfo Persico sono state appena delle prove tecniche di trasmissione, degli spot promozionali… Ora, ci avvertono all'unisono i signori dello stato maggiore del capitale, si comincerà a far le cose "con serietà e metodo".
Starà alla classe operaia e ai lavoratori che questi programmi criminali sono destinati a pagare con sudore e sangue, dare ad essi ed al sistema che li produce la risposta che meritano.