Mentre perde acqua la caravella dell'economia internazionale, l'imperialismo rilancia la sua offensiva in America Latina. Con le armi del moderno capitalismo si è impossessato per via finanziaria dell'intero continente latino-americano. Con le sue portaerei cerca di porre un argine alla reazione delle masse sfruttate. Ma se gli istituti della finanza internazionale e le moderne armi da guerra sono infinitamente più potenti della "Santa Maria" sulle coste dell'America Latina non c'è più il buon selvaggio ad aspettare. Un moderno proletariato affianca le masse sfruttate e diseredate. Dal Messico al Cile esso parla la stessa lingua, è unito dal comune sfruttamento al di là delle etnie e delle nazionalità. Insieme alle masse sfruttate Latino Americane lancia un segnale di rivolta ed attende che sia raccolto dal proletariato occidentale.
La difficile situazione di Cuba, presa d'assedio e ridotta alla
fame, il disorientamento dei movimenti guerriglieri centro-americani, ingabbiati
nei piani di "pacificazione nazionale"; l'impossibile riedizione del
populismo nel Cono Sud, uniformato ai piani di risanamento dettati dall'FMI,
rilanciano in avanti lo scontro ed impongono alle martoriate masse sfruttate del
continente di guardare al di là degli orizzonti del nazionalismo
latinoamericano.
Sapranno fare altrettanto gli "antimperialisti"
italiani?
Quanto la pressione imperialista abbia raggiunto il suo massimo storico in America Latina, è testimoniato dalla quantità di denaro che attraverso il debito prende le rotte dell'Occidente. Nonché dalla corsa dei capitali occidentali per rilevare i residui di un'endogena attività produttiva messi all'asta dalle politiche neo-liberiste, dai piani di "risanamento", dei neodemocratici governi latino-americani.
Tale immane opera distruttiva avviene nel corso di una battaglia all'ultimo sangue tra capitali statunitensi, giapponesi ed europei, per accaparrarsi quanto rimane delle risorse umane e materiali degli Stati e delle masse sfruttate del continente. Si svolge nel pieno di una crisi recessiva in atto negli USA e nel corso di un'impasse complessiva del capitalismo internazionale, che rendono oltremodo rapace l'opera di rapina dell'imperialismo. Le difficoltà economiche statunitensi, infatti, fanno capo all'impossibilità di rilanciare la macchina dell'accumulazione e rendono il pompaggio di sovrapprofitti un imperativo, sebbene non risolutivo, vitalmente necessario. Nel contempo la concorrenza europea e giapponese, riuscendo ad incrinare il predominio finanziario nord americano, rende più difficile il suo monopolio nel drenaggio delle risorse dai paesi sfruttati, nonostante la vittoria nel Golfo. Ciò impone agli Stati Uniti un controllo dell'area centro e sud americana (e cioè l'area dove storicamente il loro predominio è stato totale) ancora più stretto e feroce. In tale contesto vengono scandagliate tutte le risorse disponibili e diviene intollerabile ogni forma di resistenza. Così come scompaiono definitivamente tutte le illusioni su una possibile combinazione tra sviluppo dei paesi latino americani e mercato internazionale.
D'altro canto, la profonda incursione che dagli anni '80 in poi ha portato a serrare il dominio e il controllo sull'intero apparato produttivo del Sudamerica (comprese le risorse primarie di paesi come il Brasile e il Messico) rende illusoria qualsiasi speranza che i paesi latino-americani possano approfittare in "proprio" di momenti di acuta difficoltà economica degli stati imperialisti - come, per esempio, avvenne nel corso della seconda guerra mondiale -per collocare in maniera più favorevole le proprie materie prime nello "scambio ineguale" con le tecnologie dei paesi imperialisti. La pressione esercitata su Cuba ed in tutto il continente è il corollario necessario di uno scontro che non lascia spazio a soluzioni intermedie. Uno scontro che vede in gioco non solo l' "ordinario" drenaggio di risorse dall'America Latina, ma la sorte stessa del meccanismo internazionale di accumulazione. Uno scontro, dunque, che oggettivamente è posto come scontro internazionale, e rende la battaglia antimperialista delle masse sfruttate dei paesi latino americani un evento che necessariamente non può rimanere rinchiuso nei singoli confini nazionali.
Che le sorti dello scontro si intrecciano con il campo totale dell'attività dell'imperialismo, è inoltre evidenziato dall'intensa attività economica, politica e propagandistica degli Stati Europei (Italia in prima fila) per ribadire la propria penetrazione nel continente. Le difficoltà del capitalismo internazionale toccano direttamente gli Stati e le economie europee. Ciò impone una blindatura imperialista degli Stati Europei contro i paesi del terzo mondo e la massima sollecitazione a drenare profitti in tutti gli angoli della terra (dai Balcani, al Medio Oriente, all'America Latina). Impone una stretta senza precedenti sulle masse del terzo mondo e sullo stesso proletariato metropolitano; anche qui costretto o a subordinarsi totalmente alle esigenze dello scontro inter imperialista oppure a fare della battaglia per la difesa dei propri interessi di classe un tutt'uno con l'opposizione alla politica imperialista dei propri Stati.
Cuba, Colombiadi, sono dunque due terreni intrecciati di lotta contro l'imperialismo che si inseriscono in questo contesto internazionale. Sia le masse cubane che quelle latino americane, oggetto dell' "attenzione" combinata e concorrenziale degli Stati imperialisti, affrontano questo scontro con la massima necessità di sostegno da parte del proletariato internazionale. Nonostante le enormi difficoltà create dalla "dismissione sovietica" (che ha sancito la fine di un'era dell'opposizione alla penetrazione imperialista in America Latina), un enorme potenziale di lotta preme dall'interno di tutti i paesi latino americani. Quello che ad esso manca è la presenza tangibile di una prospettiva internazionalista da parte del proletariato e delle forze rivoluzionarie occidentali. Di fronte a questo disperato bisogno, è più che mai indispensabile il massimo di chiarezza e di determinazione nell'assolvere ai compiti internazionalisti. Ma come vanno, invece, le cose da noi? Sulle celebrazioni colombiane e sull'attacco a Cuba si sono registrate, "fuori" dal coro squallido degli aperti sostenitori della penetrazione occidentale (in particolare dell'Europa), alcune iniziative "alternative". Nella piena consapevolezza dell'importanza di un risveglio della lotta antimperialista e della necessità di una forte mobilitazione su questo terreno, e fatta salva la sincera predisposizione di alcuni militanti impegnati contro gli effetti apocalittici dell'attacco imperialista, occorre sottolineare che la "mobilitazione" e gli obiettivi posti all'ordine del giorno non colgono affatto la portata dello scontro, né forniscono i giusti indirizzi per dare fiato ed estensione alla battaglia.
La "sovranità di Cuba", la "garanzia che il popolo cubano sia artefice del proprio destino", l'invito al Governo Italiano perché "riapra i rapporti con Cuba", l'appello all'ONU perché tuteli Cuba dall'aggressione USA, sono gli inviti e gli obiettivi di una "campagna di solidarietà" sostenuta tra gli altri da Rifondazione Comunista. Si è aperta a tale proposito una sottoscrizione che punta a raccogliere un miliardo da devolvere al popolo cubano.
Nessun popolo, come quello cubano, ha sperimentato in maniera così evidente quanto la propria "sovranità" sia stata garantita in qualche modo non già dalle risoluzioni dell'ONU, quanto dal "concreto aiuto" della forza delle armi. Mai un popolo ha avuto maggiore dimostrazione di come le carte dell'ONU e le etichette sui liberi destini dei popoli sono stampate sulle cartelle dei diplomatici come gli adesivi pubblicitari del Club Mediterranée sui depliant degli agenti di viaggio. Sia i diplomatici che il Club Mediterranée, quando arrivano in un paese del terzo mondo, non si presentano con le cartoline colorate (utilizzate per il pasciuto e sensibile turista occidentale, amante del mare cristallino e della giustizia mondiale), ma con le cedole di riscossione dei debiti e con i contratti d'acquisto delle spiagge. La "libera decisione" dei popoli finisce laddove comincia la "libera decisione" del capitale e della finanza mondiale.
A Cuba, con i concreti mezzi di una rivoluzione antimperialista, sulle spiagge si sistemarono bunker e mitragliatrici per accogliere come si conveniva i "turisti" di Playa Giron; e la violazione della "libera decisione" degli Stati Uniti di invadere Cuba venne impedita a fucilate (con tanto di risoluzioni ONU di condanna alla mancanza di riguardi e di rispetto "per i diritti umani" di Castro nei confronti degli agenti USA a l'Avana). Ma i mezzi a cui ricorre l'imperialismo sono potenti e non solo militari. L'indipendenza può ben essere aggirata-attraverso le armi della finanza. Una penetrazione "soft" che, però, l'imperialismo non ha riservato a Cuba, sia perché il suo esempio rivoluzionario è stato ed è troppo pericoloso per l'intera area latino americana, ed andava perciò, per l'imperialismo, e va tuttora stroncato in quanto tale, in quanto "alternativa rivoluzionaria" alla dipendenza; e sia perché l'alleanza interstatale con l'URSS ha a lungo preservato l'economia cubana dal rapporto con i capitali occidentali, Ancora una volta, sono stati i rapporti di forza (economici e militari) a determinare la capacità di resistenza dei paesi dominati e le corrispondenti forme di aggressione dell'imperialismo, che nel caso cubano si racchiudono nel tentativo di strangolare l'economia dell'isola caraibica, un tentativo che oggi è già in uno stadio Molto avanzato.
E dunque: la drammatica situazione delle masse cubane, l'incrudirsi dell'assedio che le riduce alla fame sarà ostacolato dal libero consesso delle nazioni?
Dal libero accesso del Club Mediterranée sulle spiagge di Varadero?
Dai democratici capitali europei che intendono conquistare Cuba (previo strangolamento del governo di Castro) con le armi del libero commercio?
Una favola russa parla di un gatto, il gatto Sasha, che ha rubato un pezzo di carne in cucina e mentre mangia sta ad ascoltare con estrema attenzione la predica del cuoco. Gli appelli al gatto imperialista (che di carne si ciba e non di principi democratici) affinché non mangi Cuba e rispetti i liberi destini del suo popolo, assomiglia molto alla predica indignata di quel cuoco. Laddove il gatto andrebbe preso a calci (e l'imperialista a…), ci si "illude" di poterlo convincere che è ingiusto cibarsi di ciò di cui esso ha bisogno per vivere, e si sventola sotto il suo naso il menù che prevede a colazione libera cooperazione" e "rispetto dei diritti dei popoli". "Il gatto Sasha sta a sentire e mangia". Ma l'appello che accompagna la richiesta di sottoscrizione in favore di Cuba contiene il peggio. E cioè un'avvertenza per i sottoscrittori: l'adesione all'iniziativa non implica "lo schierarsi a sostegno delle scelte del governo cubano- accusato di autoritarismo, ovvero di non voler spalancare completamente le porte agli l'anti-autoritari" capitali occidentali ed ai loro agit-prop cubani. Ma soprattutto - è questo il punto - non implica alcun sostegno ad una vera battaglia anti-imperialista contro l'assedio a Cuba da parte delle masse cubane e latino americane.
L'avvertenza in calce alla richiesta d'aiuto rinnega l'aiuto stesso. Il sincero democratico da coinvolgere nella "battaglia civile" (?!) in favore di Cuba, può versare tranquillo il suo soldo per la libertà, poiché ciò non lo impegna a disattendere (anzi!) il proprio impegno civile pro-democrazia che è, in sostanza, a pro della democrazia imperialista che sta soffocando il popolo cubano. Un impegno che affossa il popolo cubano più di quanto 10.000 lire ne possano alleviare le sofferenze. La strategia imperialista per lo scardinamento della resistenza di Cuba, infatti, combina la preparazione dell'intervento militare con tutti gli sforzi affinché la "liberalizzazione democratica" (e cioè l'apertura senza condizioni della debole economia cubana ai capitali occidentali) consenta una vittoria dell'imperialismo senza i rischi di un intervento militare.
Il primo passo per un reale sostegno a Cuba sta proprio - invece - nel denunciare i fini dell'offensiva "democratica" dell'imperialismo. Sostenendo senza condizioni la lotta antimperialista delle masse cubane. E se, come è evidente, la strategia nazionalista di Castro non favorisce la scesa in campo delle masse cubane, né l'unificazione della loro lotta con quella degli sfruttati latino americani, ciò è da imputare proprio ai limiti democratici del nazionalismo borghese di cui Castro è interprete. Il cui fine (ed illusione) è quello di potersi conquistare un posticino "indipendente" in quel mercato internazionale, che sta strangolando Cuba.
Ma le iniziative di sostegno a Cuba raccolgono anche l'adesione di militanti operai animati, nelle intenzioni, da uno spirito ben diverso. Per essi il sostegno a Cuba è una necessità, l'erezione di una barricata contro la marea montante dell'imperialismo, contro l'opera di devastazione nei confronti delle masse latino americane che alimenta l'arroganza padronale verso la classe operaia occidentale. Un sano sentimento che si aggrappa però alla (fallita) prospettiva stalinista, sulla quale non sarà mai troppo presto aprire gli occhi.
L' "internazionalismo" stalinista è cresciuto anche a Cuba su due micidiali illusioni (e travisazioni della prospettiva comunista):
1) che si potesse costruire un "mercato socialista" (vera e propria contraddizione in termini, poiché socialismo è negazione del mercato) alternativo, in rapporto ed in competizione con il "modello occidentale", senza continuare la lotta internazionale per sradicare il meccanismo internazionale di sfruttamento imperialista.
2) che questo "mercato socialista" facesse capo ad un modo di produzione degli Stati partecipanti diverso dal capitalismo, che non riproducesse cioè - sia all'interno dei singoli Stati, sia nei rapporti reciproci - le leggi del capitalismo, e con esse l'apertura e la conseguente subordinazione dei più deboli Stati del blocco sovietico all'imPerialismo occidentale.
Il crollo dell'Est, la dismissione sovietica dal sostegno a Cuba non sono forse il punto d'approdo di tali prospettive?
Ma l'inevitabile conclusione dell' "esperimento" del "mercato alternativo" (e delle teorie del socialismo in un solo paese, che nulla ha mai avuto a che spartire con la necessità dell'internazionalismo proletario e della rivoluzione comunista internazionale) non sancisce la fine della lotta di classe, né dell'attualità dello scontro con l'imperialismo per il socialismo. Il problema è quello di individuare questa attualità non nelle ricette nostalgiche del passato, ma nello scontro che è prepotentemente in atto. Il problema è dunque come e dove indirizzare gli sforzi. Quali lezioni non solo la storia, ma l'urgenza della battaglia impone.
Si può sperare di surrogare l'assenza e la fine del "blocco socialista" con la riedizione, limitata, tra l'altro alla sola e piccola Cuba, del resistenzialismo nazionalista (ammantato di socialismo)?
Esiste una reale alternativa tra la malinconica riproposizione del "sostegno al mercato socialista cubano" e la sottomissione ai principi dell'imperialismo democratico?
Le masse cubane, quelle nicaraguensi, hanno sperimentato sulla propria pelle quanto sia impossibile scrollarsi la pressione imperialista senza continuare ed estendere oltre i confini nazionali la battaglia contro l'imperialismo. Quanto sia impraticabile attestarsi sull'obiettivo di costruire un «proprio mercato", "una propria nazione" un "proprio socialismo", "liberi" ed "uguali" alle potenze imperialiste, senza ricadere nelle fauci della finanza internazionale o sotto le bombe dei B52. Ad esse la storia continuamente impone di fare i conti con la potenza concentrata del capitale imperialista e di travalicare il ghetto di una battaglia nazionalista, di unificare le proprie forze, di stroncare il meccanismo internazionale di sfruttamento imperialista, pena un'immancabile ricaduta all'indietro. Il primo compito dei proletari, dei comunisti, per un reale sostegno a Cuba è perciò quello di favorire l'unificazione delle masse del continente latino americano. Ma tale compito può essere concepito nell'ambito di un semplice "aiuto" o "solidarietà"?
Esiste o no un filo comune di classe che fa della battaglia antimperialista un terreno unico di scontro con lo sfruttamento capitalistico da parte del proletariato occidentale e delle masse sfruttate?
Lo stalinismo e un certo terzomondismo "progressista" hanno sempre disegnato la battaglia contro l'imperialismo come un processo a tappe (disorientando e disperdendo le forze di classe che si esprimevano contro il capitale) . Ma il capitale concentrato delle nazioni imperialiste non ne vuol sapere di aspettare che si compiano le "conquiste parziali". Non aspetta che si compia tranquillamente la crescita delle economie nazionali dei paesi liberati, né che si costruisca un fronte dei "popoli liberi" che sia un surrogato tattico (nella speranza di un graduale accumulo di forze) all'unificazione della lotta delle masse sfruttate e della classe operaia occidentale.
Impone al proletariato occidentale di raccogliere il messaggio di lotta delle masse sfruttate di essere l'organizzazione della forza delle masse diseredate contro il capitalismo. Una battaglia comune, quindi, e non un mero esercizio di solidarietà. Solidarietà alla lotta "altrui". Un fronte di classe internazionale, allora, e non un' "alleanza tra popoli".
Le problematiche imposte dalla portata dello scontro in America Latina rimbalzano inevitabilmente qui in Occidente. Il nuovo mondo di Cristoforo Colombo non è più nuovo da un pezzo. Gli avvenimenti che si svolgono nel continente americano trovano un risvolto immediato nella lotta di classe in Europa. Anche se per una parte delle forze impegnate contro le celebrazioni colombiane, la "soluzione" del problema del "sottosviluppo" in America Latina sembra potersi individuare nel riportare indietro la ruota della storia all'età precolombiana. Nella "riscoperta" delle etnie e delle culture locali e nella difesa della separazione dei due mondi, evitando così di fare i conti con la natura dell'imperialismo, e buttando a mare, insieme alle caravelle, il vantaggio storico che l'unificazione totale del mondo sotto le leggi del moderno capitalismo ha dato alla lotta contro la barbarie dell'attuale oppressione di classe: l'unificazione dei destini degli sfruttati di tutto il mondo, il nodo indissolubile che lega la lotta di liberazione delle masse sfruttate latino americane al proletariato occidentale.
E' subito da chiarire che l'impresa di Colombo (storicamente formidabile, frutto ed impulso verso il mercantilismo ed il moderno capitalismo) viene celebrata dall'imperialismo non certo perché i termini del suo rapporto di sfruttamento dell'America Latina si ripropongono nello stesso modo di 500 anni fa. Così come, invece, sembra riecheggiare nell'analisi di un certo anti-imperialismo (sinceramente reazionario) che vede la presenza imperialista come un continuum di forme e classi da Pizzarro ai giorni nostri, e che in pari tempo individua le contro-risorse al capitalismo moderno nella riscoperta dei discendenti dei Maya o degli Atzechi.
Il saccheggio dei conquistadores, è stato un passaggio attraverso cui si diede alimento all'accumulazione primitiva in Europa e si gettò la base per una moderna forma di organizzazione produttiva e sociale in America Latina. Spagnoli e Portoghesi spazzarono via le arretrate forme di organizzazione sociale pre-colombiane e fecero dell'oro utilizzato dagli indios per le catenine lo strumento e l'impulso per un gigantesco passo avanti dell'accumulazione capitalistica. Contemporaneamente alla dissoluzione dei rapporti pre-colombiani, l'insediamento dei coloni dava inizio al lento rivoluzionamento del rapporto con la rendita agraria nella stessa America Latina. Il commercio con la madrepatria, l'arricchimento dei proprietari terrieri, rendevano maturo il passo successivo e cioè l'alienabilità della proprietà della terra e la liberazione degli schiavi. Nel tempo e sotto l'egida prima del colonialismo mercantile inglese e poi del nuovo imperialismo USA si completava quel processo di dissoluzione e si rendeva potenzialmente possibile lo sviluppo moderno e capitalistico dell'America Latina.
Ma (ed è qui il nodo della questione) l'accesso allo sviluppo capitalistico, già ritardato e cauzionato dalla colonizzazione pre-imperialista, avveniva sotto le pesante ipoteca della potenza economica e finanziaria dell'imperialismo. Alla presenza militare sul territorio occupato, alla rapina delle materie prime, si sostituiva la capacità di condizionare lo sviluppo capitalistico, e la stessa formazione degli stati latino americani, con le armi più sofisticate della finanza. I moderni Stati latinoamericani pagavano lo scotto di essere arrivati sul mercato internazionale quando già il capitale concentrato delle metropoli imponeva a tutti i paesi le leggi dell'accumulazione capitalistica matura. Lo squilibrio maturato storicamente veniva poi completato dalla concreta attivizzazione (politica e militare) degli Stati Uniti per gestire in proprio il "cortile di casa" (dottrina di Monroe). Così l'imperialismo Nord Americano liberava definitivamente la terra dai lacciuoli pre-borghesi, si insediava con i suoi capitali ed imponeva ai paesi latino americani (sotto le nuove forme di sfruttamento capitalistico) il ruolo di esportatori di materie prime, costringendoli ad uno sviluppo castrato e dipendente e ad un ruolo subordinato nella divisione internazionale del lavoro.
Ma ancora una volta la novità del rapporto di dipendenza dall'imperialismo stava nella capacità di quest'ultimo di imporre il proprio "dominio" attraverso la forza del capitale concentrato. Anche quando attraverso la forza di rivoluzioni popolari si spezzava il fronte imperialismo-classi reazionarie, si imponeva una politica di maggiore protezione del mercato interno, si concentravano in mano allo stato le risorse per contrattarle più favorevolmente sul mercato internazionale, il processo di formazione di un capitalismo completo ed indipendente si scontrava con la forza del mercato e della finanza internazionale. L'enorme quantità di capitali necessari per diversificare e completare il proprio apparato produttivo di base e per rendere competitive le proprie merci, il "ritardo tecnologico", l'impossibilità di operare il passaggio ad un economia industriale, equilibrando in qualche modo, la contraddizione città-campagna (contraddizione ineliminabile dello sviluppo capitalistico, "superata" storicamente dalle potenze imperialiste proprio sulla base della rapina di materie prime nei paesi del terzo mondo) hanno reso vano lo sforzo di dare compiutezza allo sviluppo capitalistico.
Anche nei paesi più forti e ricchi di materie prime del Cono Sud, l'industrializzazione e la formazione del mercato interno impattavano tragicamente con le leggi imposte dal capitale finanziario. I capitali necessari alla "riconversione" dovevano essere ripagati all'Occidente a suon di interessi, onere aggiuntivo rispetto allo scambio ineguale con le tecnologie; ciò imponeva la necessità dì impiantare quell' "economia di esportazione" che cinicamente gli economisti occidentali attribuiscono ad un errore di politica economica dei governi latino americani. Il continuo drenaggio di risorse riproduceva il circolo vizioso della dipendenza che diveniva più stretto proprio nel momento in cui le economie latino americane cercavano dì compiere il salto verso un capitalismo più completo.
Dopo una prima fase espansiva, il processo di industrializzazione produceva niente altro che milioni di diseredati che dalle campagne affollavano le bidonville delle città ed una dipendenza più spietata dalla finanza internazionale (tanto più meschina in quanto ottenuta coi paravento dei liberi rapporti economici). In seguito, ed è storia dei giorni nostri, l'operato dell'imperialismo è andato ancora più a fondo: rilevando direttamente pezzi dell'apparato produttivo dei paesi latino americani, privati perfino dell' "indipendenza" sul terreno "privilegiato" della produzione agricola e delle materie prime. E' stata ed è la storia e la versione attuale di quel libero scambio, di quel libero mercato, che nelle illusioni delle anime candide potrebbe riabilitare e ridare vita alle esangui economie latino americane. Ma il libero mercato, la libera competizione, sono categorie che vivono nel moderno capitalismo sotto l'egida delle concentrazioni finanziarie (evoluzione storica del capitalismo primitivo, anch'esso mai esistito sotto la forma dell' "equilibrato scambio mercantile"); e, nel rapporto tra capitali più forti e più deboli vale la legge dello sviluppo combinato e diseguale dell'accumulazione capitalistica. Per l'America Latina, cresciuta ed imbavagliata ai piedi del gigante statunitense, il problema della compiutezza dello sviluppo capitalistico è sempre più divenuto irrisolvibile, essendo preclusa la classica evoluzione del capitalismo mercantile (e ciò, alla lunga, è valso anche per i casi in cui tale obiettivo è stato posto in maniera rivoluzionaria).
Ogni serio tentativo di sviluppare il capitale nazionale dei paesi latino americani è avvenuto dietro una potente spinta di rottura rivoluzionaria contro l'assetto imperialista. Anche se in maniera temporanea, queste rivoluzioni hanno affermato i propri interessi nazionali spezzando con la forza gli istituti e le convenzioni (commerciali, economiche ed istituzionali) dell'economia mondiale. Ma proprio nel momento in cui, conseguentemente ai programmi nazionali e capitalistici delle proprie direzioni, gli Stati indipendenti hanno cominciato a costruire il proprio mercato e ad inserirsi nella rete dei rapporti capitalistici internazionali, si è riproposta puntualmente l'alternativa: o continuare la lotta rivoluzionaria contro l'imperialismo, o ripiombare sotto il suo dominio finanziario o militare.
Non si può, dunque, impostare la battaglia antimperialista come una perenne ricerca dello sviluppo perduto, della "compiutezza" e dell' "armonia" dell'assetto borghese e capitalistico degli stati latino americani da realizzare: per i più "puri" (!) con una versione bonaria e cooperativa dell'imperialismo, per i nostalgici con la riedizione dell'isolamento precolombiano dei Maya, per i più "agguerriti" con la lotta nazionale a base contadino-popolare e con un'alleanza politico-economica dei mercati latino americani.
L'imperfezione dello sviluppo capitalistico in America Latina non è il frutto degli "errori" delle classi dirigenti latino americane, né di una ingiustificata "volontà di dominio" dell'imperialismo, ma dell' "imperfezione" e dell'anarchia dell'accumulazione capitalistica internazionale, giunta al suo stadio maturo. L'ideale dì uno sviluppo capitalistico armonico dell'America Latina è un sogno che si arresta ben prima della sua borghese e limitata realizzazione. La lotta antimperialista (oggi più che mai) è costretta, dunque, ad ogni suo manifestarsi a fare i conti con l'intera impalcatura del sistema di sfruttamento imperialista. E le sue prospettive sono legate all'estensione della lotta oltre i confini nazionali, oltre le alleanze popolari; verso la lotta del proletariato internazionale.
Il senso di una battaglia per la difesa di Cuba e dei popoli latino americani, ancorata alla "rinascita delle economie latino americane" alle "strategie di alleanza nazional popolare" alla "concertazione interstatale" si perde di fronte all'incalzare dello scontro di classe. Non a caso, mentre si assiste proprio all'impasse delle "soluzioni" nazionalpopolari, i fautori di un "contro ordine mondiale dei popoli" si attestano su obiettivi sempre più minimalisti ed incapaci di sbarrare il passo al rullo compressore imperialista.
Il tormentato cammino che il proletariato latino americano e le masse sfruttate dell'area hanno intrapreso da quando l'imperialismo ha liberato le forze di classe per una nuova fase storica del conflitto tra ex colonie e "centro", è giunto ad un passaggio cruciale. Lungo questo cammino si sono date le spinte rivoluzionarie all'indipendenza, i tentativi di riorganizzazione economica populisti, il risorgere delle rivolte contadine e la guerriglia; si sono viste in azione masse rivoluzionarie che hanno spinto l'imperialismo alle corde; e c'è stata, poi, la revanche imperialista e le ricette dei nuovi democratici seguaci dei Chicago Boys. Ma in questo tormentato cammino, che oggi vede l'America Latina ancora più sottomessa alle leggi del capitale internazionale, smembrata, comprata a pezzi, è maturata un'esperienza fondamentale per le classi sfruttate. Sta maturando all'ombra del fallimento delle esperienze nazionaliste e populiste, dell'incapacità del movimento guerrigliero di raccordare la lotta delle masse contadine a quella della classe operaia, della dismissione sovietica e dell'attacco imperialista degli ultimi anni. Sulle ceneri dei quartieri operai di S. Salvador e di Panama. Sulle sconfitte del sandinismo, sui tentennamenti e gli arretramenti del partito di Lula in Brasile, sui confini del Messico e sulle spalle dei chicanos.
L'esperienza della necessità di un antimperialismo che sia incentrato su gli interessi e sul protagonismo del proletariato e degli sfruttati, che esca fuori dalle frontiere ghetto degli Stati latino americani, che superi definitivamente l'alleanza con le borghesie dei propri Stati (un alleanza che quest'ultime non possono e non vogliono riproporre), che dia all'endemica rivolta delle masse contadine gli strumenti per uscire dalla speranza vana (tragica illusione di un certo maoismo) che la "liberazione" dal tallone della miseria sia realizzabile erigendo steccati al proprio campicello. La grande manifestazione di Città del Messico contro l'aggressione all'Iraq, il dibattito attivo e lo scontro all'interno dei sindacati nazionali messicani come quello all'interno del fronte sandinista, riflettono - in qualche modo - la volontà-necessità delle masse di spezzare il cerchio senza uscita delle risposte precedenti, dai piani di "risanamento nazionale", e di "pacificazione", alle tragiche caricature del neo-populismo, all'antimperialismo dì facciata delle borghesie locali, e finanche alla debolezza e all'inconseguenza della stessa linea di resistenza di Cuba.
Nel momento in cui l'attacco imperialista chiama alla massima concentrazione ed unità la forza delle masse sfruttate, sarebbe delittuoso, oltre che "ingenuo" chiudere gli occhi di fronte a quest'urgenza e nascondersi dietro il paravento dell' "orgoglio dei popoli", "dimenticando" il ruolo che le borghesie e le prospettive nazionalistiche e "popolari" hanno avuto ed hanno nel sabotare la lotta antimperialista, nel tagliare le gambe ad una organizzazione rivoluzionaria del proletariato e delle masse sfruttate.
Le uniche istituzioni che possono realmente incrinare e spezzare il "dominio" imperialista sono quelle rivoluzionarie a guida proletaria, che spazzino via istituti e classi borghesi, senza alcun rispetto per l'esercito nazionale, le banche, l'amministrazione finanziaria statale, la magistratura, la patria, il mercato.
A queste ipoteche sono invece legati mani e piedi anche quei rappresentanti borghesi che spesso sono sbandierati come i protagonisti illuminati dei fronti popolari per il "riscatto latino americano". L'orizzonte in cui queste classi borghesi si muovono nelle loro intemperanze antimperialiste è quello della costruzione del mercato capitalistico "indigeno" basato anch'esso sullo sfruttamento del proletariato. Un orizzonte che limita di continuo le armi rivoluzionarie, confina la battaglia nell'ambito nazionale e predispone, col disarmo politico e materiale degli sfruttati e del proletariato, la vittoria della revanche reazionaria e dell'imperialismo. E ciò vale, per gli aspetti di fondo, anche per le prospettive contadino-nazionali che affidano all'alleanza popolare, ed alla costruzione del micro mercato contadino, i destini della battaglia rivoluzionaria.
In realtà è lo stesso orizzonte borghese che diviene sempre più stretto e limitato dalle esigenze dell'imperialismo in crisi. L'intolleranza imperialista per qualsiasi forma di indipendenza nazionale spinge sempre di più la battaglia sul terreno dello scontro frontale, richiamando la necessità di un fronte di classe internazionale. Ma il limite più letale dell'antimperialismo che aspira all' "alleanza tra i popoli", che nel pieno di un attacco concentrato del capitale al proletariato internazionale si appella all'orgoglio dei popoli, è l'incapacità di rapportare la lotta delle masse sfruttate a quella del proletariato metropolitano. Riproponendo la scissione netta tra gli obiettivi delle masse sfruttate e quelli del proletariato internazionale. Occhieggiando, nei casi peggiori, ad un fronte metropolitano interclassista di "onesti democratici".
Massimo sostegno, dunque, alla lotta contro l'attacco a Cuba, contro le celebrazioni colombiane. Massimo impegno nella denuncia dell'operato dell'imperialismo. Sostegno incondizionato alla lotta delle masse latino americane. E al contempo massimo impegno nel sollecitare le forze di classe che a questo attacco possono dare una risposta. Massimo impegno per l'unificazione della lotta di tutte le masse latino americane. Massimo impegno per impedire che la battaglia antimperialista sia confinata nel "mondo a parte" della rivolta dei "popoli contro l'ingiustizia" e perché essa viva come carne e sangue della lotta del proletariato metropolitano contro lo sfrutta mento capitalistico.