Il boomerang del capitalismo occidentale ha abbattuto ogni ostacolo alla sua penetrazione ad Est. Ora...
Il 1989 fu universalmente salutato come l'anno della seconda rivoluzione borghese, a distanza esatta di due secoli da quella del 14 luglio francese.
Tutti i muri tra Est ed Ovest, tra "socialismo" e capitalismo, rovinosamente cadevano e, ad una ad una, le roccaforti del "socialismo" di ascendenza staliniana si aprivano ed allineavano ai nuovi padroni. Finita un'era di antagonismi, si disse, tra classi e stati, ed inaugurata un'era nuova, di pacifico ed affluente "ordine democratico internazionale" all'insegna dei valori borghesi.
Attenti!, dicemmo. Quest'ordine, proprio in quanto democraticamente spartito a tutto il mondo, si rivelerà sempre più una dittatura centralizzata nelle mani di un pugno di potenze imperialistiche. Progresso e pace per tutti? No, affluenza sempre più concentrata in un ristrettissimo numero di mani a prezzo di una sempre più generalizzata rovina della massa dei "popoli", degli stati, delle classi sfruttate.
Questo "nuovo ordine" ha fatto le sue prime prove nella Guerra del Golfo, con gli USA a farla da padroni per siglare il rafforzamento del proprio dominio imperialista sulle masse arabo-islamiche (e chi crede più, oggi, alla favola della crociata a favore del "povero", violentato Kuwait?) mettendo in fila, al proprio seguito, i "partner" europei e giapponesi e costringendo l'URSS a firmare assassine deleghe in bianco al Grande Fratello di Washington in cambio della propria legittimazione nel consorzio dei "paesi civili".
1991: il "nuovo ordine" ha conseguito un ulteriore, estremo successo: non solo sono caduti tutti i muri, ma, proprio nel cuore dell'ex "patria del socialismo", il "comunismo" è dimissionato (o si autodimissiona) convertendosi, anche nominalmente (nella realtà dei fatti la cosa va ben altrimenti datata all'indietro!) alla pratica ed all'ideologia borghesi. Che dunque? C'è ben da esultare per l`Unità": "Il comunismo è morto, e noi siamo contenti"; "noi", anticomunisti da lunga pezza, siamo finalmente liberati da un peso ed è ora che ci si aprano le porte del banchetto…
Con efficaci colpi di boomerang l'imperialismo ha sbirillato pezzo dopo pezzo quanto restava della rivoluzione proletaria del '17, tradita prima, sfigurata e capovolta di segno poi dallo stalinismo. E non ha dovuto neppur fare troppa fatica: quei birilli si erano posti da sé nella giusta traiettoria di mira…
Ebbene, il boomerang ha completato la sua marcia in avanti ed ora sta invertendo la rotta. Nella sua marcia di ritorno - affermiamo noi (confortati da un'incrollabile teoria via via sempre più, e non meno, confortata dalla riprova dei fatti) - il bommerang colpirà al cuore chi l' ha lanciato.
Non più scontro Est-Ovest? Non più scontro tra "socialismo" in salsa staliniana e capitalismo? Già: ma più che mai scontro internazionale di classe tra sfruttati e sfruttatori, tra socialismo e capitalismo. Nessun nuovo "rinascimento" è in vista per un capitalismo che ha compiuto intiero il suo ciclo storico e sta affondando nel parassitismo e nella putrefazione. Ben al contrario, sono maturi i tempi acché sul cadavere di esso si affermi la prospettiva nostra dell'utilizzazione a fini sociali delle immense risorse consegnateci dal capitalismo sottraendole alle categorie della merce, del profitto, del lavoro salariato…
Il movimento di ritorno del boomerang si sta già palesando nei paesi dell'Est "liberati dal comunismo": a questa "liberazione" è conseguito non il promesso mondo nuovo della cuccagna, ma l'affondare delle economie "interne" strette nella morsa dell'imperialismo e di già il "nuovo ordine" suona per essi con la voce delle armi (come in Jugoslavia e nella stessa ex-URSS) con l'effetto non solo di tradursi in "disordine" lì, ma di minacciarne la trasmissione (e sia la benvenuta!) qui, laddove esso si determina.
Sconfiggere il "real-socialismo" è stato facile. Altrettanto non lo è, e meno lo sarà, gestire questi nuovi territori di conquista, proprio perché l'affluenza ad un polo del sistema comporta, per le leggi stesse dell'evolvere del capitalismo imperialistico, la depressione ed il regresso all'altro polo sottoposto al suo dominio. Tanto più questo è vero in una situazione in cui la crisi storica, strutturale, del capitalismo ha messo fine all'epoca dello "sviluppo pacifico" e del "progresso per tutti" nel cuore stesso delle metropoli (poniamo una semplice domanda: quali mai orizzonti di neobenessere si sono aperti per il proletariato metropolitano in seguito a quest'ultima conquista di nuovi gli "spazi vitali"? Non è vero, invece, che, anche e proprio in presenza di essi, il torchio si stringe sempre più qui sulle spalle del proletariato?)
Non si è quasi ancora sancita la conquista di un nuovo territorio da sfruttare che il capitalismo imperialista reclama nuovi pasti. Ieri la periferia dell' "impero" sovietico. Oggi la stessa URSS, e già l'appetito insaziabile dell'imperialismo mira alla Cina. Il mondo intero: ma esso stesso rappresenta uno spazio troppo angusto per un sistema divorato dal cancro delle proprie contraddizioni insanabili.
Non ci sarà limite all'abbuffata, almeno sino a quando essa non avrà divorato l'intero pianeta? Questo limite c'è. Esso sta (vecchio "ABC del comunismo" del '21) nel fatto che il "libero" corso del capitalismo è libero in tutto, fuor che in una cosa: esso è costretto a suscitare contro di sé, in progressione geometrica, l'odio e l'antagonismo di classe e ad imprimere a quest'ultimo una dimensione sempre più mondiale, internazionalista.
L'imperialismo ha vinto nel Golfo? In effetti, esso vi ha allargato ed approfondito il solco di odio di classe che separa gli sfruttati della regione dal 1ibero" e "pacificatore" Occidente. E questa è, alla distanza, una bomba ben più pericolosa che tutti gli arsenali "chimico-batteriologici ed atomici" di un qualunque Saddam anche moltiplicati all'ennesima potenza.
Ma veniamo più vicino. Lo stesso, limitato, esempio albanese dà il segno dei tempi e delle battaglie che si preparano. Il "popolo" degli sfruttati albanesi, chiamato a liberarsi dalla "tirannia marxista" per ricongiungersi all'Occidente felix e vivamente chiamato a venir qui, a toccare con mano le delizie della "libertà", è stato nel giro di pochi mesi retrocesso al ruolo di "ospite indesiderato" da ricondurre a viva forza in quella sua "patria" dove deve acconciarsi ad essere disciplinatamente sfruttato dalla locale borghesia che vi si sta apprestando e da "noi" …liberatori ! all'occorrenza sotto l'occhio vigile e i fucili puntati delle "nostre" truppe. Ed allora, non c'è da aspettarsi che in esso si faccia viva la necessità (prima che la coscienza) che contro di "noi" dev'essere combattuta la guerra di emancipazione?
E che succede in Polonia di diverso? O in Ungheria, Cecoslovacchia, o, domani, nella stessa Russia? E i minatori rumeni davvero si sono rivoltati solo contro i Roman e gli Iliescu? O non hanno toccato pericolosamente interessi "nostri" a difesa dei quali è sempre legittimo accorrere?
E i proletari jugoslavi, chiamati a scannarsi fra loro per sancire il diritto di quisling locali di affittare a pezzi il paese all'Occidente, fino a quando potranno non vedere dietro le figure decorative dei Tudjman e dei Peterle la presenza di questo "nostro" stramaledetto Occidente?
Fino a quando il gioco dei "nostri" capitali, delle "nostre" diplomazie, dei "nostri" eserciti potrà rimandare la resa dei conti? Non c'è da dubitarne: l'ora di essa inesorabilmente s'avvicina e il suo scoccare segnerà, col venire meno dell'ammortizzatore esterno, la ripresa dell'antagonismo di classe nelle stesse metropoli ed il ricongiungersi delle diverse sezioni nazionali del proletariato mondiale in un solo esercito internazionale.
Cammino lungo e difficile, certo, per il proletariato e le masse sfruttate, poiché decenni di ondata controrivoluzionaria stalinista hanno spezzato la trama tessuta in quel lontano Ottobre e che occorrerà pazientemente ricucire, tra mille e mille travagli - non c'è dubbio -. Ma cammino esaltante e sicuro.
Con questa certezza salutiamo il boomerang che ritorna indietro ed accogliamo la sfida che esso ci indica, nel nome del COMUNISMO. Di quel comunismo definitivamente fondato nel lontano 1848 e non bisognoso di ritocchi e rappezzi, ma unicamente di essere fatto venire finalmente alla luce.