PER UN PRIMO INQUADRAMENTO DELLA QUESTIONE JUGOSLAVA
A nome del nostro governo, il ministro De Michelis non ha mancato di compiere larghi giri per la Jugoslavia. Nel corso di essi la raccomandazione a tutti i "partner" locali con cui s'è incontrato è stata quella, consona al "comune" orientamento CEE, di lavorare a mantenere la Jugoslavia unita, sia pure in quadro "profondamente rinnovato" ed ha anche avuto modo di scontrarsi con gli esponenti più spinti della disintegrazione (gli sloveni in particolare che, per parte loro, hanno preannunziato una sorta di nota di protesta alla CEE per l'incomprensione della "reale situazione nel paese" e, pensa un po'!, per l’"interferenza estera" nei confronti della loro secessione, "irrevocabilmente" fissata per i prossimi mesi. Allo stesso modo (le cronache nostrane non lo dicono, ma ci è noto per certo) forte è stata la tirata d'orecchi ai "revanscisti pan-serbi", diffidati dal voler regolare i destini del paese (compito che tocca a "noi", in tutta evidenza) con atti di forza "unilaterali", che "ci vedrebbero costretti ad intervenire" (dato che ciò costituirebbe, come ognun capisce, una violazione dei "nostri" interessi nell'area).
Sul perché di questo richiamo "unitarista" s'è già detto: al capitale occidentale interessa mantenere un controllo sull'insieme del paese, senza incorrere negli oneri e nei rischi di una frantumazione di esso che rischierebbe di vanificare tale controllo, di limitarlo alle ristrette regioni slovena e croata (poco - relativamente - appetibili in quanto entità separate prive del vitale retroterra che si espande dalla Serbia al Kossovo e, di qui, alla stessa Albania), con la messa in moto poi - e qui sta un punto decisivo - di fenomeni non facilmente dominabili en avance (non potrebbe anche darsi che, di fronte alla "necessità" di un intervento anche militare in Jugoslavia da parte dell'Occidente, abbia a riesplodere un movimento di resistenza nazionale in cui, tra l'altro, forte sarebbe il peso del proletariato indigeno, spinto a sostituire le borghesie repubblicane al potere entrando in lotta contro di esse e contro l'aggressione imperialista?).
Ma c'è un altro motivo aggiuntivo: l'Italia teme fortemente la tendenza, "autonoma" dalla CEE, della Germania riunificata di aggirare la politica "unitarista" di quest'ultima e sconfinare sin d'ora pro domo sua in Slovenia e Croazia, puntando sulle proprie capacità di penetrazione in quest'area (nella considerazione che, comunque la si giri e la si rivolti, la divisione della Jugoslavia è già all'ordine del giorno e tanto vale dividersene le spoglie in buon anticipo, fottendo la concorrenza degli altri aspiranti al banchetto). Non è più un mistero per nessuno che la Slovenia, ad esempio, delusa dall'Italia, sta cercando appoggi preventivi alla propria secessione in Austria e, via essa, in Germania, "mettendosi a disposizione" e che anche Tudjman ha imboccato, sia pur con qualche titubanza in più, questa via. Non dice niente, sempre per restare nell'esempio, il progetto del governo sloveno di abbandonare il dinaro quale moneta di riferimento e di sostituirlo, se del caso, con lo scellino austriaco, facendo a meno della progettata "lipa" quale moneta nazionale? Su un giornale antifederalista jugoslavo si è detto, senz'ombra di ironia, che gli sloveni stanno sempre più "assomigliando" agli austriaci...
Con questo non è che l'Italia se ne stia con le mani in mano. Il suo intervento nell'area è già massiccio attraverso una politica industriale e finanziaria particolarmente aggressiva (anche se il paragone col potenziale dispiegato dai tedeschi ci mette un po' di vergogna). E in questo un suo ruolo di rilievo l'acquista la questione della "minoranza italiana" in Slovenia e Croazia.
Dopo aver per decenni "sacrificato" gli interessi dei nostri connazionali sull'altare di (fruttuosi) rapporti con Tito, oggi si torna a scoprire come questi debbano essere tutelati "sino in fondo" e vada ripreso il tema dell’"esodo" del secondo dopoguerra dall'Istria per dargli una nuova e "giusta" soluzione. (Com'è noto, la presenza italiana nel litorale si è andata riducendo a poche migliaia di soggetti dopo la fuga dal paese di qualcosa come 350.000 italiani, secondo le correnti stime). Col censimento di quest'anno, il gruppo nazionale italiano sembra stia riguadagnando terreno, in quanto non solo gli italiani veri e propri non hanno più il timore, ma al contrario tutto l'interesse, a dichiararsi tali, ma molte famiglie "miste" cominciano ad intravvedere dei possibili vantaggi a definirsi "italiane" piuttosto che slovene, croate, "nazionalmente indefinite" o, peggio, "jugoslave": il miele del capitale italiano si sta facendo ghiotto.
L'Italia promette a costoro che le nostre operazioni economico-finanziarie sul territorio sloveno-croato passeranno attraverso il nostro gruppo nazionale in loco in primissima istanza e capitali ingenti saranno destinati alla promozione di iniziative economiche in loco da parte di esso. A ciò si deve aggiungere la pressione affinché i "fuoriusciti" del dopoguerra possano legittimamente rientrare in possesso delle loro proprietà perdute (per confische od indennizzo irrisorio) e addirittura, se questi e i loro eredi non se la sentiranno di rientrare, possano farlo nuovi titolari di proprietà cui si sia passata la stecca.
La difesa dei "diritti della minoranza" sta procedendo a così gonfie vele che da molte parti si alza la richiesta della "doppia nazionalità" (cittadini più o meno italiani di Slovenia e Croazia, ma, al tempo stesso, cittadini d'Italia, con tanto di bandiera tricolore). Come stupirsi, poi, se la Destra giuliana (da sola - ma non isolata -, per intanto) agita già la questione del ritorno pieno dell'Italia quale stato nelle terre "rubateci" da Tito? C'è tanto poca occasione di stupore che ci è occorso di sentire alcuni di questi "neo-irredentisti" discuterne liberamente e pacificamente in dibattiti alla rete televisiva di Koper/Capodistria (anche, se poi, da Roma o da Fiume, ci si straccia le vesti a giurare e spergiurare che questa questione non si pone - od è "prematura"? -, e che gli "italiani" ripudiano ogni revanscismo).
Sempre più, tra l'altro, si parla dell'Istria come di una regione "ad identità autonoma" da non annegare in nessun caso puramente e semplicemente nel contesto di uno stato croato unitario. (È da ridere: da un lato "si raccomanda" di non smembrare la Jugoslavia, dall'altro anche la sola unità croata diventa un troppo di cui sbarazzarsi !).
Una contraddizioncella suscitata da queste grandi manovre sta nella diffidenza crescente dei capi croati nei confronti dell'Italia: le "nostre" imprese, a sentire Roma e Trieste, vengono "slealmente" sfavorite nel gioco concorrenziale sul terreno jugoslavo da Zagabria a vantaggio dei nostri "sodali" e concorrenti tedeschi. Sono già piovuti degli avvertimenti da Roma in proposito: attenti a non tirar troppo la corda, o saremo anche noi costretti ad alzare il prezzo (e a ridefinire gli obiettivi).
Le carte del gioco, come si vede, sono già state distribuite. Staremo a vedere come andrà a finire la partita. Lasciateci monotonamente rivolgere ai nostri fratelli proletari italiani in Jugoslavia questo appello: battetevi contro le classi dominanti delle vostre repubbliche di appartenenza; battetevi contro le sirene dell'Italia (imperialista) che "vuole ritornare" ; mostrate (l'essere minoranza nazionale avrà tanto più valore in ciò) di esser parte dell'esercito unito di tutti i proletari jugoslavi e dei proletari di tutto il mondo!